di DANILO SANGUINETI
Fin da piccolo ti ammoniscono “Tieni la testa alta, non guardare per terra!”. Ineccepibile dal punto di vista del posturologo, discutibile per l’esteta. Trascurare che cosa si ha sotto i piedi renderà più degni di appartenere alla categoria Homus Erectus ma impedisce di assaporare alcuni capolavori dei nostri artigiani che vanno avvertiti con le suole ancor prima di essere assaporati con gli occhi. Non è detto che ciò che meritevole e nobile sia sempre e solo appeso sui muri o addirittura elevato sopra le nostre teste.
In una variazione della filosofia “saint-exuperiana” nel Levante, e per la precisione a Lavagna, una famiglia di costruttori, da ben cinque generazioni, dimostra che l’essenziale va cercato dove non ci si aspetta di trovarlo. Nel percorso esistenziale prima che industriale dei Boletto, stirpe che probabilmente ha le sue origini attorno al Lago di Como, feconda patria di indiscussi maestri dell’arte di trattare i materiali lapidei. Le tracce sicure partono però da Lavagna dove il fondatore della ditta viveva e dove nel 1871 aprì la ditta che portava, e porta, il suo nome la “Ditta Settimio Boletto e figli”. Il patriarca preavvertiva che la storia si sarebbe dipanata nei decenni, anzi ormai nei secoli, quindi diede spazio nel “logo” anche alla discendenza.
Settimio Boletto era maestro nell’arte del mosaico e del “risseau” (le tipiche pavimentazioni a ciottoli di mare). E la sua arte venne continuata e accresciuta dal figlio Nicolò che sviluppò la produzione di cementine e piastrelle in graniglia di marmo anche a Chiavari in una sede produttiva più grande. I fratelli di Nicolò si incaricarono di seguire le sedi distaccate a La Spezia, Viareggio e Firenze. Una sola generazione e già la Boletto era diventata una azienda con la quale si doveva fare i conti (anche nel senso letterale) quando si trattava di edilizia nel levante ligure. I tre figli di Nicolò, Settimio, Nicola e Luigi – perché nelle dinastie che contano i nomi vanno ripetuti per tenere vivo il ricordo dei grandi avi – incentivarono l’attività commerciale anche con la vendita indiretta verso prodotti in ceramica.
La quarta generazione è quella dell’oggi, rappresentata dall’ingegnere Mariano Boletto e dalla cugina, la dottoressa Adriana Boletto. Solo con la genealogia ci sarebbe da scrivere un libro: oltre ai tre fratelli c’erano le sorelle, figlie di Nicolò, una di loro Delia era la moglie dell’ammiraglio Luigi Faggioni, ufficiale di Marina, incursore con la XMas, medaglia d’oro al valore militare nel 1941, la moglie di Nicola era la nipote del senatore Dallorso, fondatore del Banco di Chiavari.
Si respira storia negli uffici della ditta. Un afflato che presto si espanderà fino ad arrivare alla Società Economica di Chiavari che nella Galleria G.F. Grasso dal 24 maggio all’8 giugno ospiterà la mostra espositiva “Ditta Settimio Boletto e Figli – eccellenza storica nell’arte delle piastrelle e delle costruzioni dal 1871”. La mostra in piazza San Giovanni 3 sarà aperta da lunedì a venerdì dalle 16 alle 19, sabato, domenica ed i festivi dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19.
A spargere una mano di sgargiante vernice mediatica a una attività troppo spesso colpevolmente ignorata dai più, quando non malgiudicata ed accantonata con la sprezzante definizione di “roba da palazzinari”, ci sono i due cugini, portabandiera della quarta generazione Boletto. “In realtà – precisano all’unisono – siamo alla quinta. Perché i figli di Mariano, architetti, lavorano con il padre, e il figlio di Adriana, un altro Luigi, lavora con la madre”. Una coppia ben assortita: distanti quasi opposti nel carattere, uniti nell’incondizionato amore per la loro ditta, convinti che lo scopo della loro impresa non sia solo “cazzuola e fatturato”.
L’ingegnere Mariano e la dottoressa Adriana (che così chiamano solo gli estranei, per tutti gli altri è solo “Gege”) si completano, sono lo Yin e lo Yang, l’impulso stabilizzatore che sta dietro alla mostra dell’Economica. La parte razionale, più posata e riflessiva, rappresentata da Mariano che a volte frena, a volte incanala la fantasia della parte emotiva, rappresentata da quella forza della natura della signora Gege, che inventa, propone e stimola collaboratori ed amici. Lei primo motore per niente immobile, lui metronomo che scandisce tempi e modi della sinfonia celebrativa.
Uno sforzo organizzativo imponente, un iter preparatorio durato mesi e seguito da fior di professionisti che hanno voluto mettere in risalto l’impegno costante ultracentenario nel campo dei materiali edili, nell’esecuzione di lavorazioni particolari e nello sviluppo urbanistico-edilizio di una zona centrale della città di Chiavari iniziata nel primo novecento (zona ad ovest di piazza N.S. dell’Orto), dove ancora ora si percepisce l’attenzione ed amore per uno sviluppo di qualità urbanistico-edilizio. I curatori della mostra sono Lia Gnecco (coordinatrice dei progetti artistici della Società Economica) e l’architetto Luciano Maggi. Ecco come descrivono il percorso che il visitatore della mostra potrà affrontare accompagnato da una spiegazione accurata quanto non invasiva. “Abbiamo impostato il percorso espositivo in più settori per meglio evidenziare i riferimenti storici della famiglia, e l’eccellenza storica dell’azienda sia nella produzione di materiali edili innovativi ed intramontabili sia nella costruzione di edifici di particolare impatto visivo iniziati nel primo novecento da Nicolò Boletto e proseguite dagli eredi”.

Dopo una sezione dedicata alla storia della famiglia Boletto, ci sarà una sezione dedicata al mosaico alla genovese e al “Risseau”. “Tra tutti da evidenziare i sagrati della Basilica di S. Stefano a Lavagna e della Parrocchia del Divo Martino a Portofino per i “risseau” e di pavimentazioni private e pubbliche (generalmente sottoportici) quali piazza N.S. dell’Orto e Corso Gianelli a Chiavari, nonché via Chiodo a La Spezia per quanto riguarda i mosaici alla genovese”.
La terza sessione sarà dedicata alle piastrelle. “Illustrerà la ricca ed originale produzione di cementine e piastrelle in graniglia di marmo con presenza del primo catalogo storico dell’azienda e materiale originario. Nella numerosa produzione non si possono dimenticare le “chiavarine”, che hanno pavimentato numerosi marciapiedi non solo a Chiavari (da cui il nome) e Lavagna (molti ancora intatti) e le “esagonelle”, dal disegno geometrico tridimensionale, ancora presenti diffusamente in molti appartamenti inizio novecento. Per le piastrelle in graniglia di marmo decorate, il catalogo presenta una innumerevole scelta che dimostra la perseveranza ed il gusto artistico dei Boletto”.
Infine una sezione dedicata ai palazzi e la rivalutazione edilizio-urbanistica. “Nicolò Boletto aveva acquistato, ad inizio ‘900, un vasto lotto di terreno ad ovest di Piazza N.S. dell’Orto. In questa zona ha costruito pregevoli palazzi che la mostra riporta con descrizioni e fotografie anche di particolari architettonici. L’inizio di corso Gianelli è un esempio di raffinata espansione urbanistica con palazzi di gusto eclettico ed uso di materiali pregiati, che ancora oggi possiamo ammirare nella loro dignitosa conservazione e manutenzione. Ciò rappresenta un documento storico di quanto l’artigianato ligure era capace di produrre. Non manca, inoltre, uno scenografico trattamento ad affresco proprio realizzato nel palazzo di presentazione del 1913 in corso Gianelli 20, che fa volgere ancora oggi gli occhi al cielo per ammirarlo”.
Ci sarebbe da dire della casa di Portofino di proprietà della signora Maria Pia Fanfani, del palazzo Verdi a La Spezia, un grandioso e scenografico palazzo degli anni venti del secolo scorso che fa da quinta al lato sud della piazza e dove all’interno sono conservati originali e pregevoli pavimenti policromi in mosaici di marmo alla genovese. Basta così per comprendere che qui non stiamo parlando di costruttori edili qualsiasi. Siamo lontani anni luce dai produttori in serie di obbrobri cementizi, stile palazzinaro della Capitale o imprenditore spregiudicato alla meneghina. Qui c’è il senso estetico e il dovere della durata, la regola della serietà che ancora oggi fa premio. L’ingegnere Mariano concorda. “Oggi costruiamo e adattiamo, facciamo manutenzione e interveniamo dove ci chiamano. Il nome Boletto da solo vale come garanzia, lo dico senza falsa modestia”. Gege si accoda: “I nostri clienti sono prima che convinti conquistati dalle nostre proposte. Perché va bene guardare al portafoglio ma noi accontentiamo anche l’occhio”. Siamo tornati alla capacità di rendere bello anche ciò che appare lontano dal sublime, ciò che si ha attorno tutti i giorni, il tetto sulla testa, il muro dietro le spalle, e, naturalmente il pavimento sotto i piedi. I Greci lo avevano giù compreso. Bonariamente deridevano, raccontando tramite la paradigmatica”servetta di Tracia”, il primo filosofo, Talete di Mileto, che, assorto nelle ricerche sul cosmo, con lo sguardo rivolto agli astri aveva finito per cadere in una buca. Se il presocratico non vide il pericolo sotto i suoi piedi probabilmente fu perché non aveva un “Risseau” dei Boletto da ammirare.
