(r.p.l.) La settimana scorsa con una sentenza di grande rilevanza la Corte Costituzionale ha dato ragione a Matteo Renzi accogliendo la proposta di conflitto di attribuzione nei confronti della Procura della Repubblica di Firenze avanzata dal Senato della Repubblica.
I fatti sono noti. La Procura di Firenze ha considerato legittimo sequestrare delle conversazioni che coinvolgevano Renzi contenute nello smartphone di uno degli indagati dell’inchiesta Open.
Ricordiamo ai nostri lettori che l’inchiesta Open è quella arzigogolata inchiesta (che finirà in un nulla di fatto, potete scommetterci) che pretende di assimilare Open, che era la fondazione che ha organizzato la Leopolda e che ha raccolto offerte e donazioni per la sua realizzazione, ad un partito politico. In base a ciò la tesi dei pubblici ministeri fiorentini è che questa attività di raccolta fondi, nonostante tutte le offerte fossero trasparenti, realizzate tramite bonifici bancari e quindi regolarmente tracciate e registrate, sia avvenuta in violazione alla legge sul finanziamento dei partiti politici.
La tesi dell’inchiesta è peregrina e si vedrà se ha le basi per reggere. Come sia possibile infatti assimilare ad un partito politico una fondazione che ha come unico scopo quello di organizzare una convention non è chiaro.
Ma quel che è stato davvero grave è stato il comportamento dei pm fiorentini, che sono intervenuti sulla corrispondenza di un parlamentare violando palesemente la Costituzione. L’art. 68 della Carta tutela infatti l’attività dei parlamentari e in particolare la loro corrispondenza, per avere accesso alla quale bisogna chiedere l’autorizzazione alla Camera di competenza, in questo caso il Senato.
È del tutto evidente che i pm Turco e Nastasi conoscono perfettamente l’art.68 della Costituzione, ma per aggirarlo (e un magistrato che cerca di aggirare un articolo della Costituzione ci pare cosa molto grave) hanno formulato la tesi secondo cui i messaggi sms o WhatsApp, nel momento in cui sono inviati e letti, cessano di essere corrispondenza (su quale base?) e diventano semplici ‘documenti’ privi delle caratteristiche coperte dalle garanzie costituzionali.
La Corte Costituzionale con la sua sentenza ha spazzato via questa capziosa interpretazione, ed ha ristabilito con forza il principio, che a noi sembra sacro, di tutela dell’attività parlamentare, stabilendo che anche messaggi sms o WhatsApp sono corrispondenza. L’oggetto della decisione della Corte non è ovviamente l’interesse di questo o quel parlamentare ma piuttosto la definizione del perimetro delle prerogative e delle garanzie che vanno assicurate, seguendo lo spirito della Costituzione, all’organo elettivo che rappresenta il popolo sovrano.
In una democrazia parlamentare poche cose sono così importanti come la tutela dell’attività dei rappresentanti del popolo. Se tali garanzie e tutele non ci sono, o vengono messe in discussione, si apre uno spiraglio verso uno stato totalitario.
La sentenza è quindi importantissima dal punto di vista della tutela democratica dell’attività parlamentare. Ed è anche una sentenza fondamentale dal punto di vista dell’equilibrio dei poteri tra il legislativo e il giudiziario, che è uno dei capisaldi della nostra democrazia.
Alla luce di tutto ciò era lecito aspettarsi che la sentenza della Corte Costituzionale fosse salutata, non solo dalla politica ma anche dal mondo degli organi di informazione, come un fatto rilevante ed una buona notizia per tutti.
Nulla di tutto ciò. I giornali in generale hanno relegato la notizia nelle pagine interne dandole pochissimo risalto, spesso poco più che un trafiletto. Uno dei più grandi giornali nazionali non ha neanche ritenuto meritevole di menzione la decisione della Corte.
Sviste? Dimenticanze? Sarebbe bene chiarirlo, onde fugare il dubbio che alcuni grandi giornali di opinione in questo Paese siano afflitti da pregiudizio o vedano all’opera, in servizio permanente ed effettivo, elementi del ben noto circuito mediatico-giudiziario che tanti abusi e danni ha provocato in questi anni alla convivenza civile del Paese.
Un circuito che in certi organi di stampa continua a tutelare e proteggere, come dice il direttore del Foglio Cerasa, “la presenza di una magistratura inquirente che in teoria dovrebbe garantire il rispetto della legalità ma che, nella realtà, si sente così spesso al di sopra delle parti dal ritenersi autorizzata a violare le regole per affermare i propri pieni poteri. E la realtà di questa storia, della storia di Renzi, evidenzia un tema enorme: il tentativo da parte di un magistrato di violare la Costituzione per poter utilizzare le conversazioni private di un senatore della Repubblica senza passare prima dal Parlamento”. Un comportamento che, se giudicato con attenzione, appare eversivo.
L’antipatia, la faziosità, il disprezzo nei confronti di Matteo Renzi, il ‘mostro’ come lui stesso si è definito in un suo libro recente, sono tali che, da parte di molti, anche una violazione eversiva della Costituzione nei suoi confronti viene giustificata e tollerata. Ma non è sulla base della simpatia della vittima che si giudica la gravità della violazione nei suoi confronti. Su questo la Corte Costituzionale ha messo un punto fermo.
Di fronte a questo tentativo di eversione viene da chiedersi: ma dove sono i difensori della ‘Costituzione più bella del mondo’?
Dove sono tutti quelli che un giorno sì e l’altro anche urlano e strepitano perché vivremmo ormai in un regime autoritario dove le libertà fondamentali sono quotidianamente messe in discussione? Muti come pesci, non pervenuti, spariti dalla scena. Non è così che si fa informazione e nemmeno opinione.