di SABINA CROCE
Dove vanno, i padri, quando muoiono? I padri dei maschi, quando sono stati molto amati e mai del tutto compresi in vita, dove vanno? Come li si raggiunge un’altra volta? Come ci si libera dal ruolo di figlio
La ‘Casa del Mago’ è il racconto molto personale del percorso di Emanuele Trevi.
Alla morte del padre, l’autorevole e famosissimo psicoanalista junghiano Mario Trevi (il guaritore, il Mago), Emanuele si trasferisce nella sua casa, dal momento che per qualche oscuro motivo apparentemente legato ad una volontà propria della casa stessa, questa non si riesce a vendere.
Cosa c’è di più simbolico del trasferimento nella casa del padre come viatico verso un personaggio dotato già in vita di una sua peculiare inafferrabilità?
“Lo sai com’è fatto”, gli ripeteva la madre: un uomo che possedeva al massimo grado la capacità di ritirarsi repentinamente in un suo privato ‘retrobottega mentale’, sfuggendo così al contatto con gli altri; nella fattispecie col figlio, che lo amava e che soffriva di questa mancanza di connessione.
All’interno della casa il viaggio verso il Mago è costellato di piccole tappe di riappropriazione di ricordi e frammenti utili a ricomporre una figura completa, e anche a lenire certe piccole delusioni filiali; e passa per gli oggetti a lungo appartenuti e maneggiati dal padre: la sua poltrona girevole, la monumentale scrivania con tutto il suo contenuto; il manuale di studio preferito, opera fondamentale di Carl Jung, fitto di puntigliosi appunti a margine con cui il padre intratteneva un implacabile quanto unilaterale battibecco a distanza con il maestro (non c’è un solo padre in questa storia). E poi, i complicati disegni forse eseguiti come esercizi di umiltà, una sorta di mandala grafici; o i ciottoli di fiume raccolti nelle passeggiate e diligentemente, instancabilmente sfregati e scartavetrati fino a tirarli a lucido.
Non è vuota, la casa del Mago. La abitano almeno due presenze femminili, tanto elusiva e misteriosa la prima quanto rumorosa e ingombrante la seconda.

La Visitatrice non si fa mai vedere, ma lascia inequivocabili segni della sua capacità di andare e venire indisturbata a dispetto di porte e serrature. Le viene attribuito il genere femminile in virtù di una macchia di rossetto lasciata un giorno su un mozzicone schiacciato in un portacenere. Il suo andirivieni inquietante ed incontrollabile pare significare ad E. che nessuno è davvero padrone della propria vita.
In compenso la Degenerata, così E. chiama la colf peruviana Rocío, è pervasiva, impicciona, del tutto inadatta a qualsivoglia lavoro domestico, e pure un po’ truffaldina, ed è dotata di una sterminata compagine di parenti, amiche, colleghe ed affini che ad intervalli irregolari ed arbitrari si installano in casa di E. per conciliaboli, confessioni, riunioni familiari inderogabili ed improvvisate festicciole che il nostro non può che subire.
Si direbbe che la Degenerata incarni l’ineluttabilità delle seccature quotidiane che la vita ci infligge.
Anche Rocío è a suo modo una guaritrice: mentre con una mano sbatte a casaccio l’aspirapolvere qua e là, con l’altra regge, attaccato all’orecchio, un cellulare nel quale rovescia consigli e prescrizioni a non meglio identificate ‘pazienti’.
Un giorno la Degenerata punta su E. il suo sguardo da terapeuta e decreta che gli ci vuole una donna. E così compare sulla scena la terza presenza femminile del libro, la prostituta Paradisa, che inizierà a condividere il letto, il divano e il telecomando di E.
Matronale ed imperturbabile, Paradisa è la placida e suprema interprete dell’arte di ‘esistere’ nel qui ed ora. Emana permanentemente un profumo di vaniglia come un’abitante di Macondo e prende sempre la vita come viene. Paradisa non ‘fa’ nulla, Paradisa ‘è’. Non è cosa da poco.
E forse non è un caso se proprio accanto a Paradisa, carnale e profumata come un’orchidea nella foresta amazzonica, in uno spruzzo di acque ed in un fiotto di luce, un giorno Emanuele ‘viene al mondo’: spogliato della buccia di figlio, le si ritrova abbracciato, senza alcuna complicazione sentimentale ma felice di esistere nel qui ed ora, con i piedi ben piantati per terra e col padre accanto a se’, presente come non era mai stato in vita. Ben arrivato, Emanuele.
Leggendo questo libro sembra di ascoltare l’autore, seduto nel suo salotto, raccontare le sue vicende personali con grande semplicità e dopo averle ben metabolizzate, sicché il racconto non pesa sul lettore.
La scrittura, impeccabile, tiene un tono sommesso, intelligentemente umile, gentilmente autoironico, mai pedante, con alcuni momenti francamente divertenti e qualche frammento di deliziosa balordaggine.
Emanuele Trevi, La casa del mago, Ponte alle Grazie 2023