di DANILO SANGUINETI
L’estetica del punto-croce è qualcosa che ha più a che fare con gli esercizi zen che con la manualità artigianale. Chi lavora di uncinetto e ferro da calza – e non è detto che debba per forza avere il cromosoma Y – è in grado, se padroneggia quest’arte, di controllare e forse migliorare la sua vita. Lavorare a maglia, ora che è sdoganato da autorevoli studi comportamentali, è un esercizio che richiede concentrazione, pazienza, riflessione. Non guasta neppure uno spirito artistico che può essere sviluppato anche seguendo il succedersi solo apparentemente semplice dei punti. In realtà il lavoro a maglia prevede alcuni schemi da eseguire con i ferri o all’uncinetto di una complessità tale da mandare in blocco un elaboratore dotato di microchip di ultimissima generazione. Una A.I. in grado di competere con una anziana signora autodidatta in materia deve sfruttare algoritmi e un machine learning da urlo.
Il lavoro a maglia è una sfida interessante. Non tutti possono padroneggiarlo, in molti possono provarlo come ci spiega Sabrina Rapallini, figlia di Silvana, che ha dato vita all’omonima maglieria che da oltre quarant’anni propaga il verbo della matassa e del filato a Chiavari e dintorni. Chi passa da via Mongiardini 15, una delle prime traverse a Nord-Ovest di via Martiri della Liberazione, può fare una sosta non solo per comprare indumenti in vari tessuti, o tutto il necessario per confezionarselo da sé, ma anche per iscriversi a lezioni sorprendentemente affollate su come imparare e come migliorarsi nella difficile arte del lavoro a maglia.
Un negozio che è diventato una piccola istituzione, una isola nella corrente del commercio che sembrerebbe fluire in altra direzione. Sembrerebbe perché in realtà le ‘tricoteuses’, le maglieriste e aspiranti tali sono categoria per niente estinta. Certo bisogna nel terzo millennio cancellare quasi tutto ciò che si pensava di sapere. Non è più tempo delle massaie parigine che sferruzzavano ai piedi del patibolo attendendo che qualche testa cadesse, e neppure di quanto la lavorazione a maglia era un’attività economica rilevante e portata avanti soprattutto dagli uomini, suddivisione cancellata solo dalla introduzione dei telai meccanici e da nuovi utilizzi della forza lavoro.
Sabrina spiega come è arrivata a essere una maestra di maglia. “Il negozio lo ha aperto mia mamma Silvana (per questo ho voluto conservare il nome dell’esercizio) nel 1981. Il locale c’era già e più o meno operava in questo settore, ma mia madre lo ha completamente trasformato, strutturando in maniera diversa. Nel 2006 sono subentrata per darle una mano, quasi per scherzo, dato che ero ancora all’Università poi piano piano è diventato la mia passione. Di conseguenza la mamma se n’è andata in pensione, oggi fa la nonna a tempo pieno e mi aiuta giusto quel minimo che le lasciano libero i due nipotini”.
Sabrina aveva tante idee e soprattutto aveva ben chiaro come applicarle. “Dall’apertura del negozio ad oggi è cambiato il modo di intendere questa categoria merceologica, è cambiato tantissimo eppure c’è ancora spazio anche se, naturalmente non è più lo spazio che c’era vent’anni fa”.
Un esempio pratico. “Oggi non accade più che una signora entri in negozio dicendo ‘Voglio un mezzo chilo di lana per farmi un maglione così e cosà’, che quindi è capace di creare il maglione. O meglio di persone così non ce ne sono più molte. Persone dalle quali tu hai solo da imparare. Oggi semmai è il contrario. Entra la persona che ti dice ‘Voglio fare qualcosa, ma non so cosa fare e soprattutto so come farlo’. Quindi tu devi aiutarla e seguirla nella realizzazione del progetto”. Una volta il lavoro a maglia era essenziale per l’economia domestica, una autoproduzione di vestiario per la vita di tutti i giorni come per le occasioni eccezionali.
Oggi può essere un hobby? “Certamente e riscuote un grande interesse. Vi assicuro che non esagero. Perché comunque rilassa, uno stacca la testa dalla realtà, dai problemi quotidiani che tutti abbiamo, di conseguenza ti aiuta in quella mezz’ora o nel tempo che uno riesce a ritagliarsi nel corso della giornata”.
Entrare in quella mentalità, possedere lo ‘spirito dell’uncinetto’ sta diventando, grazie al passaparola, un must per donne di ogni età e con alle spalle le più diverse esperienze. Ancora Sabrina, nel ruolo di maestra dei ferri. “Il punto forte di Merceria Silvana, al di là della vendita quotidiana, sono i corsi che faccio. Ho iniziato nel 2016 che avevo 5 alunne, in quello oggi in corso, che termina a fine mese, ne ho 46. Ed attenzione mi sono fermata a 46 perché di più non riesco a gestirne, ma se volessi avere più alunne le avrei”.
Una sorpresa dietro l’altra, un ambiente dalle dimensioni sottovalutate se non ignorate. Per il momento sono solo signore, ma non è detto che presti non arrivi anche un rappresentante dell’altro genere. “Mai dire mai. Il momento dell’ingresso dei maschi potrebbe essere vicino e potrebbe accadere con modalità inattese. Non mi ci sono ancora buttata perché è un ambiente ancora più particolare ma sto avendo richieste per tenerne uno per i bambini. Alcune maestre e alcuni istituti scolastici si sono interessati: il lavoro a maglia richiede coordinazione, riflessione e ti impone di scoprire un mondo che ignori del tutto. Io sono sempre stata un pochino titubante a farli perché ho una figlia di 5 anni e vedo che l’attenzione costante della quale è capace dura un quarto d’ora, se va bene, quindi strutturare un corso non è semplice, però magari qualche lezione spot da un’oretta può essere che in futuro la faccia perché la richiesta c’è”.

Che cosa è dunque preteso dall’allieva già grande e volenterosa? “Pazienza e ancora pazienza, oltre a un minimo di manualità. Diciamo che in linea di massima, a parte qualche rarissimo caso di persone che non possiedono neppure un briciolo di capacità pratica, tutti possono dedicarvisi. Si riesce a portare a casa un lavoro per tutti. Ovvio ci sono gradi e competenze diverse e crescenti: non si può pretendere di portare a termine come primo lavoro un maglione giacardi intarsiato, ma la sciarpina tutta dritta la fai”.
Attenzione, si fa e anche si disfa. Perché una arte che prevede la creazione come la distruzione per rifondare, e fare meglio o comporre qualcosa di completamente diverso pur usando lo stesso identico materiale. “L’importante è rilassarsi. È un percorso che porta le persone piano piano a vedere il lavoro a maglia in maniera diversa ed essere loro stessi a voler disfare se il lavoro non viene bene. Sono riuscita a creare un bell’ambiente, si creano delle amicizie che durano anche al di fuori del discorso delle due ore settimanali”.
I corsi di Sabrina si tengono, a negozio chiuso ovviamente, il lunedì pomeriggio e il mercoledì pomeriggio. Lezioni con le iscritte divise in quattro turni. “Di più non ce la faccio. È un bell’impegno ma c’è la passione e la soddisfazione che dà a sopperire. Ogni corso dura tre mesi, non ci sono più di 3 o 4 iscritte che abbondano, sempre e solo per impegni personali. Io non cerco di insegnare, ma anche da aiutare, perché quando poi vedi che la persona in difficoltà si blocca, mi offro di subentrare, di aggiustare, di fare perché comunque ci vuole un po’ di soddisfazione”.
Quella di indossare una maglia, una sciarpa, un cappello, un gold e dire questa l’ho fatta io. “Un altro segnale positivo è che ad ogni nuovo corso noto come si abbassi l’età media delle partecipanti al corso. Una mano potente me l’ha data il mercato della moda. Un’azienda milanese che si chiama appunto ‘La Milanese’ ha proposto un po’ di anni fa delle borse fatte con i classici quadrettini della nonna, le ‘Granny Square’, che le nonne facevano per non buttar via gli avanzi di filato. Con questi erano in grado di creare una coperta con 350 colori. Un’azienda milanese l’ha rifatto. Cristina Parodi le ha esibite, altre vip ci sono andate dietro e in un attimo tutte impazzite per le Granny, tutte a comprare cotone per far le piastrelline”.
Meno vero rispetto a una volta che nel settore tiri solo la roba invernale. “Beh questa è la stagione forte ma al giorno d’oggi si combina qualcosa anche in estate, con borse, sacche ecc. ecc. Semmai i problemi sono altri”. Per esempio: “La concorrenza dei produttori esterni, cinesi a dirla tutta. Poi la vendita on line. Io me la cavo offrendo qualcosa che gli altri non hanno: la consulenza. Non entrano solo per acquistare il filato. Vengono a farsi anche aiutare, e poi capiscono quanto è bello toccare il materiale, capire che tipo di colore ha, di cosa hanno realmente bisogno, confrontano le nuances, la consistenza ed apprezzano”.
Il valore inestimabile del customer care. Sabrina sa di che cosa parla. “L’assistenza ma anche la capacità di proporsi. Le pagine social del negozio – Facebook, Instagram, Whartsapp, le curo quotidianamente, ho fatto diversi corsi, alcuni dei quali a cura della ditta fornitrice dei capi e degli oggetti. Sto per iniziare uno su come gestire Whatsapp Business, interessantissimo”.
Altro valore aggiunto: una proprietaria di negozio ‘open minded’. “Mi ha aiutato proprio l’imparare il lavoro a maglia. Puoi mentre operi con le mani lasciare acceso il cervello e immaginare. Una cosa che con i media ed i device elettronici è un po’ più complicato fare”. Insomma se avete voglia di migliorarvi fate un salto da Sabrina. Una esperienza totalmente nuova o un ripasso di ricordi che si pensava accantonati.
Una volta il maglione non si gettava o, al meglio, si regalava alla Caritas diocesana: si disfaceva e si creava un gomitolo pronto per un nuovo uso. Chi ha una certa età rammenterà le lunghe ore passate con le mani in aria, veri perni umani, mentre la nonna rapidamente scioglieva il capo di lana in modo da recuperare e ammassare in un unico pezzo la lunga teoria del filato. Magari si potesse fare lo stesso con il tempo e le capacità che con esso vanno svanendo. Questo compete alle Parche, noi possiamo consolarci con il ‘punto sabbia’ spiegatoci con pazienza, nemmeno a dirlo, da Sabrina.