di MATTEO GERBONI
Carismatico nei modi, semplice nell’approccio, da quasi due anni monsignor Giampio Devasini guida la Chiesa di Chiavari. Si è trovato subito di fronte a una traversata impegnativa: poteva lasciare andare le vele o affidarsi al timone per correggere la direzione e contrastare il vento. Ha scelto di puntare sulle relazioni e sulla vicinanza alla sua gente, ma soprattutto ha dimostrato di essere un autentico tifoso (sostenitore entusiasta) dei suoi sacerdoti. Uomini dell’annuncio, della preghiera e della testimonianza.
Eccellenza, da due anni pastore della Chiesa chiavarese. Che Diocesi ha trovato?
“Ho trovato una gran bella Diocesi. Una Diocesi che certamente sperimenta le complessità, le fatiche, i disorientamenti propri della nostra epoca, ma nello stesso tempo una Diocesi decisa a viverli come preziosa occasione per una nuova evangelizzazione: annunciare e testimoniare il Dio di Gesù Cristo e cioè il ‘Vicino, il Tenero, il Misericordioso’ (papa Francesco)”.
Quale è stato il momento più esaltante e la prova più difficile in questi anni?
“Ringraziando Dio, dispongo di validi collaboratori con cui condivido – pressoché ogni giorno – gioie e prove del mio servizio pastorale. Questo mi aiuta a vivere le gioie in pienezza e senza esaltarmi e ad affrontare le prove con serenità e senza deprimermi”.
Ha cambiato molte figure in Diocesi, affidandosi anche a sacerdoti giovani.
“Trasferimenti di Parroci, cambiamenti di alcuni Responsabili di Uffici diocesani, affidamento di ruoli apicali a figure laicali (Istituto diocesano sostentamento Clero, Economato diocesano, Ufficio per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso), valorizzazione di persone che rendono meno gerontocratica la comunità ecclesiale chiavarese: ecco alcuni dei cambiamenti intervenuti e che mi pare stiano producendo buoni frutti”.
A proposito di giovani, da anni si parla della crisi delle vocazioni. Come si supera questa situazione?
“Sono in crisi le vocazioni al matrimonio, alla vita religiosa, alla ‘missio ad gentes’ e anche – forse è questa la crisi cui lei alludeva con la sua domanda – al sacerdozio. I seminaristi chiavaresi sono sette: un numero, in percentuale, abbastanza consolante anche se, ad oggi, non si annuncia alcun ingresso per l’anno che verrà. Non ho ricette per uscire da nessuna delle crisi citate – crisi, tutte, che mi pare si collochino all’interno della crisi della vita come dono – e comunque un’analisi non superficiale del fenomeno richiederebbe un tempo e uno spazio più ampio”.
Nel suo ministero sacerdotale ha vissuto molte esperienze. Quanto sono importanti, nella sua esperienza di vescovo a Chiavari, la comunità, il dialogo con gli altri confratelli, il lavoro pastorale con laici impegnati, l’incontro con i fedeli, con la società civile e politica?
“Penso di avere incontrato buona parte delle espressioni della vita non solo ecclesiale, ma anche civile della società chiavarese: sono stati finora incontri veramente interessanti ed arricchenti. Spero di avere la capacità di tenerne conto nella elaborazione delle future linee pastorali della Diocesi”.
Il mondo cambia, come cambiano il senso di appartenenza alla Chiesa e l’approccio alla fede. Come è cambiato il suo essere sacerdote in questi anni? Cosa invece rimane nel tempo?
“Col passare degli anni mi pare di essere diventato più attento, molto più attento ai vissuti delle persone che il Signore mi fa incontrare, vissuti che hanno di che istruire – e come! – il mio cammino di fede. E poi le confido un sogno alla cui realizzazione spero di poter dare un valido contributo: sogno una Chiesa con al centro la Parola di Dio e l’Eucaristia; sogno una Chiesa in cui ogni persona sia accolta per quello che è, senza nessuna etichetta; sogno una Chiesa che si prenda cura degli scartati; sogno una Chiesa in cui la dottrina sempre più profumi di Vangelo; sogno una Chiesa che sia segno di comunione, ad ogni livello”.
“La pandemia ci ha messo tutti in crisi. E da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori”, disse papa Francesco nel gennaio 2021. Ora possiamo fare un bilancio: come ne siamo venuti fuori?
“Ad essere sincero, mi pare che al di là di tante parole dette e scritte da esperti e da tuttologi, molti di noi si stiano progressivamente dimenticando della pandemia da Covid 19 e particolarmente dei pensieri/propositi che l’hanno accompagnata. Di quel terribile periodo tra i tanti effetti negativi mi pare siano rimasti il dolore per le persone che ci hanno lasciato a causa del virus e i disagi psichici prodotti dall’evento pandemico specialmente tra gli adolescenti e i giovani”.
Sul piano pastorale, come sta evolvendo il cammino sinodale voluto dal Papa nella nostra Diocesi?
“In Diocesi di Chiavari, il cammino sinodale procede a vari livelli: non mancano le fatiche e le resistenze, ma ci sono anche incoraggianti segnali di convinta accoglienza di tale cammino che considero un dono dello Spirito e di cui non ringrazieremo mai a sufficienza papa Francesco. Tra i segnali positivi mi piace ricordare: il servizio di ascolto che sta svolgendo l’Equipe sinodale, gli incontri sul tema in questione praticati in alcune Parrocchie, la nascita e lo strepitoso successo della Scuola di formazione teologica ‘Mater Ecclesiae’, il rinnovamento della Pastorale della famiglia con la proposta di concreti cammini di accompagnamento, discernimento e integrazione”.
Sappiamo che la Diocesi con la rete della Caritas si prodiga ogni giorno nell’aiutare le famiglie in difficoltà, un impegno profuso anche da volontari, operatori sociali e singole associazioni. Qual è la situazione e cosa servirebbe ancora?
“La Caritas diocesana con il dormitorio, le mense per i poveri e i centri di ascolto dislocati sul territorio, il Consultorio familiare, i Centri di aiuto alla vita e tante altre realtà caritative ecclesiali svolgono un’opera tanto discreta quanto preziosa in un tempo segnato dall’aumento delle povertà e dei disagi di vario genere. Mettersi in ascolto e rispondere positivamente e generosamente alle richieste di aiuto concreto e di collaborazione che provengono da questi volti belli della Chiesa consentiranno di vivere esperienze di fraternità che danno senso alla vita e quindi restituiscono gioia”.
‘Piazza Levante’ compie cinque anni. Ogni settimana ci sforziamo di mettere in campo professionalità, impegno, dedizione e trasparenza. Crediamo che il buon giornalismo abbia ancora un grande valore. Il suo rapporto con i media?
“Per quanto riguarda il mio rapporto con i media, direi che permangono ampi margini di miglioramento. A ‘Piazza Levante’ auguro di essere sempre a servizio della verità dei fatti (lo so: è una questione complessa!) e della crescita del bene comune. Buon cammino!”.