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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Il Tigullio saluta commosso Anni Croce, lanciatore di reti che andava a scoprire tesori

Anche negli ultimi tempi non aveva perso la speranza del riscatto, che arrivasse da parte di città e cittadini il colpo di reni
Anni Croce è mancato nei giorni scorsi nella sua Chiavari
Anni Croce è mancato nei giorni scorsi nella sua Chiavari
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di DANILO SANGUINETI

Anni era un uomo da scoglio, non da arenile. Nonostante la sua apprezzata opera come ‘capopopolo’ dei balneari, Andreino Croce – chiamato così solo nei documenti ufficiali e dai, numerosi, avversari; per il resto del globo terracqueo era sempre e solamente ‘Anni’ – si sentiva a casa quando era in mezzo al mare e poteva contemplare la teoria di massi che scherma le rive della sua amata Chiavari.

La scogliera, cortina naturale per un waterfront che ha accompagnato la sua intera lunga, laboriosa sempre, fruttuosa spesso, esistenza. Uomo di pietra anche per il carattere, franco e diretto, e per i sentimenti, di affetto verso i propri cari, di rispetto e sostegno per gli amici ed i compagni di impegno e di lavoro. Uno al quale ancorarsi, uno con il quale era un piacere affrontare le battaglie. Scontri ai quali Anni non si sottraeva, impegni variegatissimi ai quali si dedicava con tutta l’anima.

Marinaio per ascendenza e vocazione, dopo il Nautico fece il pescatore e il gestore di stabilimenti balneari, dando a ogni occupazione un tocco personalissimo. Leader in una categoria che nel secolo scorso non era certo la enclave privilegiata di adesso. Lanciatore di reti che non si limitava a seguire la corrente, ma che andava a scovare i tesori. Basterebbe il racconto di come nel 1973 assieme a Claudio Copello localizzò due montagne batiali chiamate Ulisse e Penelope su quel fondo del mar Ligure che era arrivato a conoscere meglio delle sue tasche.

Per tre anni aveva cercato nuovi terreni sottomarini fertili per la pesca, la sua scoperta ha permesso diverse stagioni di catture straordinarie, e ha dato ai ricercatori dell’Università di Genova spunti di eccezionale importanza per comprendere la fauna e la flora delle profondità di una zona marina fino ad allora quasi ignorata dal punto di vista biologico e geografico. Un successo frutto di tenacia e pazienza, le stesse doti che lo avevano portato a diventare una figura di spicco nella pallanuoto ligure.

Anni è stato per quarant’anni non nella Chiavari Nuoto, ma ‘la Chiavari Nuoto’, società del quale era stato giocatore, poi allenatore, infine dirigente. Era uno di quelli che non accettava la sprezzante definizione che “ad Est del Monte di Portofino non c’è pallanuoto”. Attorno a quell’impianto meraviglioso che era il Lido costruì un club prima solo di nuotatori poi anche di atleti con una buffa calottina in testa. Dalla C alla A, dai presidenti mecenati ai manager, dal giocare nell’acqua di mare, al cloro raffinato degli anni Novanta, lui che era ormai diventato ‘Annicroce’, barbuta figura di riferimento per ogni atleta, dai sei ai sessanta, dalle ragazzine del nuoto ai master con la ‘panza’, era sempre lì.

Pareva che ci vivesse nella sede sociale – il casotto in legno all’ombra della tribuna grande del Lido – ed invece aveva tempo per dedicarsi anche all’impegno politico. Andò a scontrarsi con i potenti che negli anni Novanta e inizio Duemila a Chiavari facevano il bello ed il cattivo tempo. Un urto frontale, ed a rimetterci fu il Lido, abbandonato per permettere la costruzione di un’altra vasca in altro sito con modalità e finalità che lui giudicava profondamente errate. 

Il tempo, galantuomo almeno esso, gli ha dato ragione su tutta la linea, ma Anni non aveva alcuna voglia di esultare. Perché vedeva il suo Lido ridotto a una discarica a cielo aperto, e gli si stringeva il cuore pensando alla grande occasione perduta: sapeva che era stata sprecata una occasione irripetibile, quella di far diventare Chiavari e Lavagna il centro federale nazionale per gli sport acquatici. Da Roma gli avevano chiesto la disponibilità, sarebbe stato al centro di un progetto con ricadute e risonanze di valore assoluto per l’intero Tigullio.

Negli ultimi anni i premi ed i riconoscimenti fioccavano – il Coni gli aveva assegnato la medaglia d’oro per la lunga militanza come dirigente sportivo – ma il suo sorriso era appannato dall’ombra del rimpianto, il suo eloquio, sciolto e appassionato, era diventato più cadenzato, come se gli dispiacesse pensare prima e poi raccontare degli errori altrui. Essendo uomo del fare, non poteva accontentarsi del dire, meno che mai del rammentare. In ogni caso non aveva perso la speranza del riscatto, che arrivasse da parte di città e cittadini il colpo di reni, anzi, meglio, la ‘sforbiciata’, il movimento preparatorio dell’alzata e tiro nella pallanuoto. Perché ‘Annicroce’ ci aveva creduto. Ed alla fine è questo che conta. Un’esistenza spesa in direzione ostinata e contraria che – come sanno coloro che si mettono nell’alto mare aperto – comporta navigazioni tormentate ma appaganti, e, in ultima analisi, giuste.

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