di ANTONIO GOZZI
‘Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Dietro la cosiddetta ‘longa manus’ della globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria.
Bettino Craxi 1997
Nel mio ruolo confindustriale sono sempre più spesso chiamato ad esprimermi sulla situazione che si è venuta a creare con l’avvento dell’amministrazione Trump, ed in particolare riguardo ai pericoli che l’economia italiana e la sua industria corrono a causa degli annunciati dazi americani.
Si tratta di un pericolo reale che deve indubbiamente preoccupare. L’Unione Europea e l’Italia devono perciò fare tutto il possibile a livello diplomatico cercando di dialogare e di negoziare con la Casa Bianca per scongiurare questa eventualità o almeno per ridurne al minimo gli effetti.
Non si può negare che Trump abbia gettato l’Europa nel caos. La questione dei dazi non è isolata anzi è legata al profondo cambiamento che la nuova amministrazione americana vuole impostare nei rapporti con l’UE, non individuandola più, o individuandola sempre meno, come un partner strategico.
La questione aperta è se l’occidente transatlantico sopravviverà come forza attiva negli affari globali.
Può l’unità occidentale sopravvivere ad una divergenza di opinioni così grande come quella che si sta registrando ad esempio sul rapporto con la Russia di Putin e sulla fine della guerra con l’Ucraina?
Per molti europei la presidenza Trump è un assalto alla democrazia ed alla solidarietà atlantica. Per i sostenitori di Trump sono gli europei ad aver tradito l’Occidente.
Angela Merkel nel 2018 dopo un incontro con Trump disse che l’Europa doveva diventare meno dipendente dagli USA. Ma poi, come tutti gli altri, non ne fece nulla.
E vi è il serio rischio che senza una reazione forte ed immediata dell’Europa non solo sulla difesa ma anche sul futuro della sua industria (che trova ostacoli insormontabili nella iper-regolamentazione in particolare verde) l’Unione debba fare i conti con un declino terminale.
In un contesto così difficile è giusto guardare la realtà abbandonando la retorica di obiettivi impossibili, come quello degli Stati Uniti d’Europa, concentrandoci piuttosto su ciò che in Europa, e in Italia, è possibile fare per combattere l’ineluttabilità del declino e per avere ancora un ruolo da giocare.
L’Italia ha il secondo sistema industriale europeo, il più diversificato e il più vitale in questo momento.
I vincoli europei (‘i dazi che ci siamo messi da soli’, come dice Draghi) e l’incapacità della Commissione Von der Leyen 2, al di là delle dichiarazioni di principio, di prendere misure concrete in particolare su energia, industria, eccessi del green deal, iper-regolamentazione faranno sì che l’ambiente economico europeo soffrirà una spinta alla de-industrializzazione che colpirà anche l’Italia. Anche questa volta è molto probabile che l’Europa non riesca a fare una politica estera comune, una politica energetica comune, una politica industriale comune.
Per questo motivo è ragionevole che il nostro Paese cerchi una via autonoma di presenza nel commercio globale.
È una bestemmia parlare di interessi nazionali? No, non lo è. Tutti i grandi Stati europei hanno interessi nazionali e li perseguono, come è giusto che sia. Questi interessi sono imprescindibili e l’UE, ammesso che resista allo sconvolgimento attuale, può sopravvivere solo componendoli e volgendoli ad un interesse più grande, concentrandosi cioè davvero sulle questioni strategiche: difesa (dal neo imperialismo russo), mercato unico, moneta unica, smantellamento dell’iper-regolamentazione e della burocrazia guardiana che la produce.
L’Italia ha una sua identità, la sua storia, un suo ruolo geopolitico e una sua presenza nel commercio internazionale cui non può rinunciare. La specificità e la forza del nostro sistema industriale sono un pezzo molto importante di questa identità.
Troppo spesso questo non viene riconosciuto.
Per troppo tempo le classi dirigenti italiane o parte di esse, per snobismo, esterofilia, incapacità di capire davvero il Paese, hanno dipinto l’Italia come una nazione debole, incapace di giocare una sua partita, bisognosa sempre e comunque di “un vincolo estero” che la obbligasse a fare le cose. Quante volte anche in questi giorni leggiamo, per una faziosità che tutto piega alla propaganda politica, “questo nostro sciagurato Paese”.
Ma quale sciagurato?
L’Italia e il suo sistema industriale, come ci ricorda continuamente Marco Fortis, sono in una situazione molto migliore di altri Paesi europei, e di questo hanno dato segni inequivocabili negli ultimi anni. Anche sul commercio internazionale e su possibili guerre commerciali abbiamo dato esempi recenti di questa forza. Ad esempio una sorta di shock da dazi lo abbiamo già sperimentato, e ciò non solo perché i dazi del 25% sull’acciaio sono del 2018, ma anche e soprattutto perché la profonda crisi economica della Germania ha determinato una caduta delle nostre esportazioni di beni e manufatti sul mercato tedesco di 2,1 miliardi di euro nel 2023 e di 3,5 miliardi nel 2024: fa 5,6 miliardi in due anni. Quando si fa la stima di cosa potrebbe perdere l’Italia per i dazi in una guerra commerciale con gli USA più o meno si parla di cifre di questa grandezza.
Ebbene, il test tedesco è stato molto importante proprio perché ci ha detto che l’Italia è stata in grado di compensare il calo delle vendite verso Berlino, suo primo mercato, aumentando con successo il suo export in altre direzioni.
Sempre Fortis ci ricorda che la diversificazione merceologica e geografica delle nostre esportazioni e degli sbocchi del Made in Italy è una delle nostre armi vincenti.
Nel 2024 l’Italia ha neutralizzato il calo di 3,5 miliardi al suo export in Germania con 1,4 miliardi di vendite in più in Arabia Saudita, 1,3 miliardi in più verso gli Emirati Arabi Uniti, 0,5 miliardi in più verso il Messico, 0,4 miliardi in più verso il Brasile. Anche le minori esportazioni in Francia del 2024 sono state più che compensate da maggiori esportazioni verso Singapore, Malaysia, Vietnam e Filippine.
Infine, il calo inaspettato delle vendite italiane in Cina (meno 3,9 miliardi di euro nel 2024 per la riduzione di export di farmaci nel post Covid) è stata neutralizzata da un incremento del nostro export in Turchia, Giappone, Australia ed India.
In altre parole l’Italia gioca una sua partita nel commercio internazionale, ed un suo ruolo geopolitico soprattutto nel Mediterraneo e nel Golfo.
I due grandi blocchi, quello incentrato sugli USA e quello incentrato sulla Cina, lasciano ampi spazi grigi. Occuparli sarà fondamentale nel determinare l’esito del confronto.
L’Italia, come detto, è il candidato naturale ad occuparsi del Mediterraneo allargato. Tale ruolo è legittimato dalla straordinaria forza competitiva del suo sistema industriale (mentre la competitività dell’Europa declina e ad onta di questa crisi europea noi diventiamo i quarti esportatori mondiali, davanti a Giappone e Corea del Sud) e da un’identità culturale e una facilità empatica di relazioni con nuovi paesi e nuovi mondi.
È questo il senso profondo del Piano Mattei.
Anche nei confronti degli USA e della loro economia noi possiamo e dobbiamo giocare la nostra partita, che è ad un tempo industriale, commerciale e geostrategica.
A livello economico e industriale esistono complementarietà di cui nessuno parla ma che sono evidenti. La manifattura industriale americana è debole, come ci dicono tutti gli industriali italiani che sono là a produrre, e che incontrano difficoltà soprattutto nel reperimento di know how e di personale qualificato per la manifattura.
Potremmo avere un ruolo nel tentativo auspicato da Trump di rilancio della manifattura americana, che per avvenire necessita di competitività, flessibilità, organizzazione, idee e creatività: tutte cose che l’Italia e la sua industria possono fornire.
In altre parole nel rilancio della loro manifattura gli USA non potranno farcela da soli e avranno bisogno del contributo industriale degli alleati e l’Italia, l’Italia industriale, può candidarsi a pieno titolo in questa direzione.
Sul piano geopolitico, ma qui mi avventuro fuori dalla mia area di competenza, il ruolo mediterraneo e marittimo dell’Italia, il presidio strategico della sua Marina Militare, la sua capacità di relazionarsi correttamente con Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, di essere in quella parte di mondo ambasciatore ben accetto e gentile dei valori occidentali di libertà, democrazia, promozione sociale e mercati aperti, potrebbero avere un significato molto importante anche per gli USA e per i loro interessi in quell’area e potrebbero dare vita ad un parternariato virtuoso.