di ALBERTO BRUZZONE
Il nuovo regolamento sui piani di bacino della Regione Liguria, in via di approvazione, è materia di scontro politico tra maggioranza e opposizione in via Fieschi ma è, anche e soprattutto, materia di preoccupazione. Secondo le linee guida, le nuove e future regole prevedono che si possa costruire in aree che un tempo erano considerate esondabili e prevedono un passaggio di competenze dalla Regione Liguria ai singoli comuni interessati. Punti sui quali non sono per nulla convinte le opposizioni e nemmeno parecchie associazioni del territorio, tra le quali Legambiente. È quindi partito nelle scorse settimane un vasto movimento d’opinione per cercare di fermare o quantomeno migliorare le prospettive.
Secondo il Partito Democratico, che nei giorni scorsi ha convocato una conferenza stampa sul tema, “il nuovo regolamento della Regione Liguria sui piani di bacino per la gestione delle aree esondabili solleva numerose criticità. Dopo aver incassato il no delle associazioni ambientaliste, delle professioni e le perplessità dei comuni, la Giunta continua ad andare avanti con un documento che rischia di aumentare il rischio idrogeologico sul nostro territorio ed è basato su osservazioni storiche sul cambiamento climatico ferme a trent’anni fa. Servono una legge regionale contro il consumo del suolo, un piano di intervento di messa in sicurezza dei versanti e il sostegno agli enti locali per attuarlo”.
A parlare è il consigliere regionale e presidente della Commissione Ambiente, Davide Natale: “Ancora una volta la Giunta regionale dimostra di essere sorda alle richieste e alle osservazioni dei comuni. Decide di approvare il nuovo regolamento sui piani di bacino senza ascoltare i timori sollevati dai territori e sottovaluta i pericoli di costruire su quelle aree inondabili definite a basso rischio. Delle tre pagine di osservazioni presentate, in alcuni casi dei veri e propri emendamenti, non c’è nessuna traccia nel regolamento che andrà in votazione in Commissione giovedì (cioè questa mattina, ndr). Le amministrazioni comunali temono quanto è previsto nella nuova norma, in particolare il passaggio delle competenze dalla Regione ai singoli comuni. Con quale personale i comuni potranno verificare, prima di rilasciare le autorizzazioni, la conformità dell’opera secondo il nuovo regolamento? La Giunta regionale non sa che non ci sono né le competenze né le risorse per farlo? Non è appesantendo gli enti locali e permettendo la realizzazione di piccoli interventi in alcune aree che si risolvono i problemi. La Regione deve predisporre e realizzare un piano di intervento per la messa in sicurezza del territorio riducendo le zone a rischio alluvione. Questa è la vera priorità, che metterebbe i comuni nelle condizioni di disegnare il futuro delle proprie comunità”.
Sono inoltre numerose, secondo il Pd, le questioni irrisolte su cui i comuni chiedono chiarezza: mancano finanziamenti per il lavoro di mappatura, lasciato sulle spalle delle amministrazioni; i tempi di adeguamento degli strumenti urbanistici di protezione civile rischiano di produrre caos e incertezze, così come c’è confusione sui progetti in essere rispetto al loro adeguamento.
“La proposta della Giunta – aggiunge il capogruppo del Partito Democratico, Luca Garibaldi – ha visto le forti perplessità dell’Ordine dei Geologi e dell’Università di Genova sotto diversi punti. Il trasferimento di molti aspetti decisionali dalla Regione ai comuni, che non hanno strutture idonee a reggere il carico di queste decisioni, comporterà una perdita di regia, e questo preoccupa. Così come preoccupa che questo documento non affronti il tema del cambiamento climatico e i dati su cui viene impostato sono osservazioni storiche ferme a trent’anni fa, mentre invece è evidente, non solo dal punto di vista scientifico, che negli ultimi anni i fenomeni estremi stanno diventando sempre di più e sempre più intensi. Nei prossimi anni metà della Regione avrà un aumento delle precipitazioni, mentre l’altra metà ne avrà meno, ma entrambi i fenomeni mettono in crisi il sistema. Poi c’è il tema delle cosiddette ‘aree a minor pericolosità’, previste dal regolamento della Giunta: una scelta politica, non tecnica, per costruire dove ora non si poteva. Fortissime sono le perplessità su come sono state individuate: come si può ritenere che si possano costruire nuove edificazioni in zone dove ci possono essere 70 centimetri d’acqua che viaggiano a un metro al secondo, una velocità sufficiente a trascinare cose e persone? Il regolamento sui piani di bacino non risolve i problemi di una regione fragile come la Liguria. Con una scorciatoia, come le aree ‘a minor pericolosità’, si cerca di scaricare sui comuni la decisione, lasciando loro la possibilità di decidere se e come operare. Inoltre, queste aree, ipotizzate dalla Giunta, così ‘sicure’ non sono, visto che per precauzione non si possono realizzare edifici come scuole ed ospedali, mentre dall’altro lato, invece, si allargano talmente tanto le maglie da consentire interventi in zone esondabili”.
La maggioranza replica a tutte queste osservazioni con la Lista Toti: “Il piano è stato emanato da un organismo governativo come l’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Settentrionale. La Regione adotta un regolamento per rendere operative e più facilmente applicabili queste norme. Come hanno già avuto modo di ribadire più volte il presidente Giovanni Toti e l’assessore Giacomo Giampedrone, ‘il regolamento stabilisce una disciplina rigorosa, chiara e univoca e basa su criteri scientifici e oggettivi non interpretabili, ovvero su studi idraulici dettagliati e validati, la definizione della pericolosità delle aree e i conseguenti divieti, vincoli e criteri da seguire all’interno delle stesse in campo urbanistico e infrastrutturale. I punti principali sono la piena aderenza alla disciplina di distretto e la massima precauzione, ad esempio sui divieti che riguardano i servizi essenziali come scuole, ospedali e centri di protezione civile. Il regolamento, inoltre, prevede alcuni vincoli maggiori rispetto alla disciplina precedente, oltre ad alcune migliori interpretazioni delle zone inondabili che vengono definite con maggiore precisione. Le analisi sono state fatte tenendo conto di dati aggiornati agli anni più recenti. Questo non significa permettere di costruire in aree inondabili, ma aver aumentato la conoscenza del nostro territorio. Nelle zone interessate dai corsi d’acqua principali, quelli realmente pericolosi, nulla cambia”.
Eppure la percezione negativa c’è. Massimo Maugeri, referente per il Tigullio di Legambiente, lo conferma: “Le operazioni che sta portando avanti la Regione Liguria, in una zona come la nostra e dopo tutto quello che è successo negli anni passati, sono irresponsabili. Non si tiene conto della storia e delle alluvioni, non si tiene conto del fatto che siamo già invasi dal cemento. Non ci si ricorda dei danni patiti, ad esempio, da Chiavari, dalle Cinque Terre, da Brugnato. Derubricare alcune zone e renderle edificabili è inqualificabile e ingiustificabile, in più i comuni non hanno gli strumenti, né le possibilità a livello economico e di personale, di effettuare controlli e concedere o negare le autorizzazioni. Lo sa chi governa questa regione che spesso i comuni hanno i vigili in condivisione con altre città e lo stesso vale per i segretari comunali? La Regione non si può togliere dalle responsabilità in questo modo”. Oggi l’argomento arriva in Commissione. Poi sarà la volta del Consiglio regionale.