La sentieristica locale può diventare un’enorme risorsa per tutto il nostro territorio. Ma va avviato un piano di recupero complessivo degli antichi percorsi, attraverso una sinergia tra amministrazioni locali ed enti sovraordinati.
Dopo la proposta lanciata dall’architetto Luca Imberti nel numero scorso, ‘Piazza Levante’ ospita in questo numero il contributo da parte dello storico di tradizioni locali, Giorgio ‘Getto’ Viarengo.
di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
L’articolo di Luca Imberti ha posto un tema che può rivelarsi cruciale per nuovi sviluppi, una rinascita economica capace di recuperare il nostro territorio, risorse che derivano da secoli di vita e cultura.
I sentieri e le viabilità antiche potrebbero diventare l’emergenza capace di caratterizzare un progetto, un obiettivo dei finanziamenti previsti dal Recovery Fund.
Oggi hanno acquisito nuovi nomi: Alta Via dei Monti Liguri, Via dell’Amore Cinque Terre, Sentiero delle Cinque Torri; in realtà si tratta di percorsi presenti da secoli, viabilità correnti, capaci di collegare le comunità sul territorio più ampio.
Ritroviamo questi sentieri proposti su lucidi e colorati dépliant, oppure su portali specializzati per il trekking, nuovamente proposti e capaci d’attirare un grande pubblico, consolidando una preziosa proposta culturale ed economica.
I cosiddetti sentieri sono testimonianza di viabilità capaci di portarci in qualsivoglia meta, in modo razionale, con curve altimetriche contenute, attrezzati con passaggi vicini a fonti o fontane. Chi conosce in modo approfondito il nostro territorio, dovrebbe essere in grado di raggiungere diverse località camminando e utilizzando gli antichi sentieri, talvolta sovrapposti a nuove carrozzabili o incrociandosi con viabilità sorte successivamente.
Personalmente, dopo aver studiato le cartografie e i rilievi più remoti, sono in grado di leggerne questa nuova stratigrafia, riconoscendo i tratti più antichi, confrontandone le tecniche di costruzione, rilevando come le diverse fasi dialoghino tra loro. Naturalmente non si pretende che tutti adeguino la loro ‘camminata’ a questi accorgimenti di viaggio, ma il primo ingrediente culturale che mi sento di suggerire è la curiosità.
Allora sarà necessario iniziare a indirizzare la nostra voglia di conoscere e riconoscere verso l’intero territorio che abitiamo, chiederci a quale parrocchia appartiene quel lontano campanile che scorgiamo oltre la collina e verificare come lo si possa raggiungere camminando. All’esercizio fisico e all’aria buona, aggiungeremo la conoscenza dei luoghi dove viviamo, spesso sconosciuti, capaci di farci ritrovare estranei in casa nostra.
La rete dei sentieri è suddivisa in diverse tipologie che potremo definire ‘istituzionali’; i comunali: di proprietà pubblica demaniale, con una manutenzione a cura del comune sui quali sono collocati; i vicinali: sentieri di proprietà privata, ma in uso pubblico, realizzati per raggiungere i singoli possedimenti.
Per lunghissimo tempo i sentieri erano puntualmente verificati dagli uffici comunali preposti, si compilavano registri descrivendone lo stato di conservazione e le possibili migliorie da effettuare. Queste pratiche derivavano da secoli d’attività agricola e pastorale sul territorio, dove gli attori costruivano tutto e il paesaggio ne diveniva lo straordinario risultato complessivo.
Le piane, i ciglioni, i terrazzamenti più ardui, la gestione dei boschi, dei prati e le viabilità, costituite dai sentieri, erano il risultato della secolare attività dei nostri agricoltori e pastori. Tutte attività che si riferivano a micro territori, saranno le viabilità ad assicurarne rapporti sociali ed economici su più vasti ambiti.
Una pubblicazione che può aiutarci a comprendere come i sentieri, le mulattiere e complessivamente la rete viaria favoriva le economie è il ‘Dizionario Geografico’ del Casalis (1833-1856, in 28 volumi).
L’immenso lavoro del geografo del Regno di Sardegna analizza le più remote comunità e attraversa tutti i comuni del Tigullio. In Società Economica è disponibile per la consultazione, fornendo tutte le informazioni statistiche sulle attività e le produzioni del tempo: i sentieri ne erano parte integrante.
Successivamente arrivarono le grandi novità legislative volute per ammodernare il Regno, la legge per le ‘strade obbligatorie’ individuò il progetto della Chiavari Lagomarsino per attraversare l’intera Fontanabuona nel 1848. Rileggendone il tracciato e richiamando la consigliata curiosità, potremo individuare come il tragitto dialoga col territorio: le viabilità, spesso sentieri allargati, confluiscono nel percorso in modo razionale, lambiscono i borghi e attraversano il corso del Lavagna.
La lettura dei toponimi che incontreremo ci arricchirà delle informazioni storiche sulle attività e colture praticate nelle specifiche aree.
Altro esperimento per esplorare la viabilità più antica è possibile rivisitando la nostra ‘Circonvallazione a Monte’. Con la sua realizzazione si ponevano i presupposti per innestare una nuova viabilità verso Leivi (all’epoca San Ruffino) dal versante del Curlo: la nuova strada avrebbe attraversato l’intera collina raggiungendo il Bocco per ridiscendere verso Rustio e completare l’intero percorso della conca collinare.
Non è casuale che la zona individuata, per disegnare la nuova strada per Leivi, fosse la naturale proiezione della via del Castello. Questa era un’antica viabilità che portava al Curlo attraversando tutta la collina di Rì, da qui partivano diversi sentieri a raggiera che collegavano tutto il territorio rurale.
Il toponimo Curlo deriva proprio da questa caratteristica (girare in torno), più propriamente assumendo il termine dal curlo: la ruota in uso nei conventi di clausura. La scelta progettuale prevedeva di seguire quanto più possibile l’antica viabilità, questo per accelerare le pratiche d’esproprio e per rendere meno invasiva la realizzazione viaria in prossimità degli edifici già esistenti.
La realizzazione della nuova carrozzabile per Leivi tagliò definitivamente una serie d’antiche strade: ‘strada di San Nicola’, che da Rupinaro saliva al complesso di San Nicola da Tolentino – l’attuale ospedale – innescandosi con la ‘Cavassona’; la ‘strada del Curlo’ che raggiungeva il sentiero dei ‘Succoni’, della ‘Pucceta’, del ‘Ronchetto’.
Più a est la strada di Rì; da qui un pettine di sentieri che si ramificava in tutta la collina: sentiero dei ‘Castagnola’, della ‘Bona’, della ‘Chiusa’ verso il corso dell’Entella, la ‘Cogornina’, la viabilità collinare di ‘Caperana’.
Spesso si parla di recuperare in modo attento il nostro territorio, una delle operazioni più sagge dovrebbe riguardare i sentieri e le antiche viabilità accennate, per ripristinare l’abbandono e rimettere in moto l’intero Tigullio.
Quando indico il territorio del Tigullio penso a una specifica viabilità tuttora praticabile a Rì Alto, poi al Curlo, camminando nel bosco di castagni che permette di raggiungere San Bartolomeo, poi via verso il Castellaro, l’Interpoderale, San Ruffino e le Piane Belle. Ora pochi metri d’asfalto per raggiungere il Bocco, riecco il sentiero per San Lorenzo, Villa Oneto e l’Anchetta, ora la scalinata mulattiera che porta al Pilone del Carmine, arrivando sul poggio si apre maestoso l’intero Tigullio ai nostri occhi: Semorile e Zoagli, l’abbraccio del Monte di Portofino. Risalgo Piana Lunga e scorgo l’intera Fontanabuona e Canevale, passo il bosco dei lecci che lambisce il monte Castello e raggiungo la Via Crucis che mi accompagna sino al Pellegrino, ora appare la facciata di Montallegro. Dal piazzale posso seguire con lo sguardo il possibile cammino dalla Crocetta sino a raggiungere Caravaggio, poi Ruta e i sentieri del Monte di Portofino. Quale strada per questa stupenda attraversata? I sentieri con buone scarpe e tanta curiosità per voler conoscere i luoghi dove viviamo: forse vale la pena di non sprecare queste risorse.
(* studioso di storia e di tradizioni locali)