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di MATTEO MUZIO
Il presidente Joe Biden con il suo discorso alla nazione di giovedì 19 ottobre in cui ha richiesto lo stanziamento di 100 miliardi di dollari di aiuti militari destinati agli eserciti di Israele e Ucraina si propone di raggiungere alcuni obiettivi.
A partire dal più lampante, ovverosia quello di aiutare due paesi alleati attaccati “dal terrorismo e da un dittatore”, passando per l’uso sapiente della “tribuna presidenziale” per cambiare l’agenda mediatica statunitense e far scordare il fatto che arranca nei sondaggi, con il messaggio della Bidenomics che non riesce a far breccia tra gli elettori, che vedono una certa inadeguatezza nella sua gestione economica. C’è anche una missiva che manda al suo partito: il tempo della gestione controllata del declino americano all’interno di nuovo ordine internazionale multipolare è alle spalle.
Si torna nuovamente a un’America faro della democrazia nel mondo. Un messaggio che ha una lunghissima storia all’interno del partito democratico, risalente agli anni finali della Prima Guerra Mondiale, quando il presidente Woodrow Wilson delineò un ordine planetario dove al centro ci sarebbe stata la libertà delle nazioni di autodeterminarsi, sotto la paterna supervisione della crescente potenza globale americana
Risuona anche il ricordo del discorso di Franklin Delano Roosevelt sull’America quale “arsenale delle democrazie”, trasmesso via radio il 29 dicembre 1940, quasi un anno prima dell’ingresso americano nella Seconda Guerra Mondiale. L’espressione esatta viene citata facendo riferimento alla produzione di armi sul territorio nazionale per dare lavoro agli operai statunitensi, per rammentare che è anche nell’interesse dell’America profonda contribuire “in modo patriottico” alla battaglia delle democrazie, altro punto il presidente ha evidenziato nella sua prolusione.
Infine, c’è la rinascita, retorica e non solo, di uno dei punti forti della dottrina Clinton: gli Stati Uniti devono guidare su scala globale un’alleanza di democrazie. La differenza rispetto a oggi è che negli anni ’90 la minaccia delle autocrazie e del terrorismo sembrava ormai destinata a morire di morte naturale. Il presidente nel collegare tra loro queste minacce cerca anche di trovare delle correlazioni, come la volontà di cancellare due stati democratici e l’aiuto dato dall’Iran alla Russia nel contesto della guerra in Ucraina. In parte è anche una retorica che ricorda quella dell’epoca di George W. Bush, anche se Biden ha rimarcato che nessun soldato americano verrà mandato sul campo di battaglia.
La cosa più importante è che viene spazzata via anche la dottrina Obama e la retorica sul declino controllato ideata da Ben Rhodes, viceconsigliere per la sicurezza nazionale nonché uno dei principali artefici del discusso patto con l’Iran siglato nel 2015 e che oggi viene di fatto sconfessato da chi era il numero due della Casa Bianca. Viene sepolta anche la possibilità che la sinistra progressista metta becco nella politica estera statunitense, dato che l’eccezionalismo che risuonava nelle parole di Biden non è molto amato tra le fila di chi avrebbe che gli Stati Uniti entrassero in una nuova era di analisi autocritica. Forse non è un caso che il presidente Biden lo scorso 14 ottobre si sia presentato a sorpresa alla cena di gala della National Italian American Foundation, un’organizzazione impegnata a difendere la memoria di Cristoforo Colombo, a lungo ritenuto il simbolo dello sterminio bianco nei confronti dei nativi.
Sembra quindi che nella politica americana le forze estremiste stiano perdendo il favore all’interno dei rispettivi contenitori partitici e che il primo biennio dell’attuale presidente abbia contribuito a restaurare una sorta di nuovo centro riformatore che può essere una sorta di “cuscinetto” per governare.
A una condizione: che i dem siano in grado di estirpare la sinistra radicale al loro interno. Cosa che di fatto viene attuata all’interno del discorso di Joe Biden ma anche nei provvedimenti delle ultime settimane che sembrano aver eliminato le critiche a Israele che venivano fatte da Barack Obama durante il suo ultimo mandato. Una restaurazione che cerca di superare definitivamente una fase incerta per i democratici, facendo definitivamente fallire l’opa ostile che avevano lanciato gli alleati del senatore Bernie Sanders, che a fine febbraio 2020 sembrava destinato a conquistare la nomination presidenziale, prima che Biden diventasse il fulcro della riscossa moderata.