di MATTEO GERBONI
Mercoledì prossimo, 7 giugno, alle 18 a Wylab (via Davide Gagliardo 7 a Chiavari), Luigi Garlando riceverà il premio Mimmo Angeli, giunto alla seconda edizione. Un importante riconoscimento ideato da ‘Piazza Levante’ in memoria dello storico direttore del ‘Corriere Mercantile’ scomparso due anni fa.
Il giornalista della ‘Gazzetta dello Sport’ e affermato scrittore parlerà del tema: ‘Come è cambiato il rapporto tra i media e le società di calcio negli ultimi vent’anni’. Un incontro validato dall’Ordine dei giornalisti come corso di formazione.
Colleziona Divine Commedie in tutte le lingue del mondo. Coreano compreso. Quasi sessanta versioni: Luigi Garlando è il giornalista sportivo più conosciuto apprezzato in Italia (rappresenta la prima firma della ‘Gazzetta dello Sport’), ma anche un affermato scrittore per under 14 (la serie Gol!, con le mitiche Cipolline protagoniste di tante partite e avventure). Quando si parla di Dante sorride quasi divertito: “Al liceo, come tanti, Dante l’ho letteralmente subìto. Poi in Cattolica ho frequentato due corsi di Filologia dantesca e lì è cambiato tutto: è stato come riscoprire un’ex compagna, a lungo nel banco accanto al tuo, della cui bellezza non ti eri accorto prima. Dall’università in poi Dante è diventato un amico discreto: uno che non frequenti abitualmente, ma sul quale sai che potrai sempre contare”.
Da poco è entrato nei sessanta, milanese, persona perbene, professionista serio, scrupoloso, con un gran fiuto per la notizia. Penna di gran talento. Nell’ambito calcistico meriterebbe di diritto l’etichetta di top player, per la sua straordinaria capacità di scrittura confermata dagli oltre cinque milioni di copie vendute.
Garlando è patito di calcio da quand’era ragazzo: “La mia specialità erano i palleggi, i piedi non erano male, il guaio era quel fisico da ‘Abatino’, come avrebbe detto Brera. Infatti… sono diventato giornalista”.
Giornalista sportivo e scrittore per ragazzi. In questa duplice veste professionale hai sempre rivolto la sua attenzione a temi dai forti contenuti (di attualità, sociali, sportivi) e alle storie di personaggi che hanno lasciato il segno.
Sorride ancora: “Ho una convinzione: non esistono temi da grandi e temi da bambini, ma esistono modi diversi per affrontarli”.
Hai vinto molti premi, ce n’è uno a cui resti particolarmente legato?
“Il primo, il premio ‘Il Battello a Vapore’, perché mi ha fatto diventare scrittore. Si trattava di un concorso per racconti inediti a tema libero e il premio consisteva appunto nella pubblicazione. Così è nato il mio primo libro, edito dalla Piemme nel 2001: ‘La vita è una bomba’. Ho sempre saputo che scrivere sarebbe stata comunque un’esperienza positiva, perché quando i ragazzi mi chiedono che cos’è la scrittura io rispondo sempre che è ‘il mio gioco preferito’ e nel momento in cui mi diverto a farlo sento di aver già vinto, a prescindere da quelli che sono stati i libri pubblicati”.
Qual è il complimento più bello che ti ha fatto uno dei tuoi giovani fan?
“Il più divertente me lo ha scritto un bambino: ‘Luigi, sei il più bravo scrittore del mondo. Altro che quel Manzoni che legge sempre mia sorella…’. Ma i complimenti preferiti sono quelli di bambini che mi confessano di non avere mai amato la lettura e di essersi appassionati alle Cipolline. Avvicinare un bambino al meraviglioso mondo della lettura è una gratificazione unica”.
Come ti è venuta l’idea di fare una collana di libri sul calcio?
“Ad essere sincero, l’idea è venuta alla Piemme, la mia casa editrice, dopo il successo di un libro che avevo scritto sul calcio: ‘Da grande farò il calciatore’. Non accolsi con entusiasmo la proposta, perché di calcio mi occupavo già tutti i giorni nella mia attività di giornalista sportivo. Nei libri per ragazzi avevo programmato di trattare altri argomenti. Poi però mi sono convinto della necessità di mettere in campo una squadra simpatica, competitiva, che fosse anche un esempio di lealtà sportiva. Per esperienza diretta, so che anche il calcio giovanile è ammalato di esasperazione: ex giocatori frustrati che diventano allenatori per vincere a tutti i costi attraverso una squadra di ragazzi ciò che non sono riusciti a vincere da soli; genitori che pretendono di avere in casa il prossimo Pallone d’Oro e magari si azzuffano o insultano in tribuna… Le Cipolline sono scese in campo anche per questo, per insegnare che ‘chi si diverte, non perde mai’, che l’amicizia conta più della classifica”.
Pochi giorni fa ricorreva la morte di Giovanni Falcone. Alla sua straordinaria lezione hai dedicato un libro che lascia un segno profondo nel cuore del lettore.
“Lo considero il mio libro più importante. Falcone amava i ragazzi e lo sport. Andava spesso a parlare nelle scuole, convinto che la lotta alla mafia dovesse cominciare già da bambini, educandoli al rispetto delle regole e delle istituzioni. Il magistrato palermitano considerava lo sport una palestra privilegiata dove allenare i muscoli della legalità, perché lo sport insegna a rispettare il regolamento e l’avversario. Falcone praticava canottaggio, nuoto, ping pong e andava spesso allo stadio a seguire il Palermo. Era uno sportivo vero. Perciò, quando ho portato le Cipolline in vacanza in Sicilia, mi è venuto naturale condurle al famoso ‘albero Falcone’ e raccontare loro la straordinaria lezione di coraggio e di legalità del magistrato ucciso a Capaci. Le Cipolline praticano lo sport come sarebbe piaciuto a Falcone: con passione e lealtà”.
Falcone ha lasciato una pesante eredità in tutti noi.
“Quando vado nelle scuole a parlare di Falcone, spiego che era una persona costretta a sacrifici notevoli, dal fare il bagno di nascosto alle 5 di mattina nel mare di Mondello alla rinuncia consapevole ad avere figli. Eppure, chiedo ai miei interlocutori, nelle sue foto lo vediamo quasi sempre che sorride. Perché? Evidentemente perché ha trovato il senso di una vita così complicata, la lotta per la legalità che gli fa accettare anche una vita da topo. Cerco di trasmettere ai ragazzi il sospetto che la felicità autentica consista nel cercare quel senso profondo per la vita, non l’avere, il fare, l’apparire. Per qualcuno può essere la sete di conoscenza, per noi cristiani è la fede: una passione profonda, che sta sotto tutte le cose che fai nella giornata. Vivere con passione è il primo “comandamento”, solo così si vince quella noia in cui tanti ragazzi rischiano di cadere”.
Tra scrivere articoli e la narrativa per bambini cosa preferisci?
“Senz’altro la narrativa, perché è distinta e ti dà la possibilità di usare di più la tua fantasia, l’immaginazione; rispetto ad un articolo di giornale – che deve attenersi ai fatti – nella narrativa puoi creare. Però, di fatto, mi piace portare avanti entrambe le cose. Sono fortunato: proprio per il fatto che il giornalismo mi costringe ad osservare e viaggiare molto, ciò che vedo da giornalista mi serve molto nei miei libri”.
Com’è avvenuto il passaggio da giornalista a scrittore per ragazzi?
“Forse è una questione di vocazione: se non avessi intrapreso la strada del giornalismo avrei fatto l’insegnante. Mi è venuto naturale rivolgermi ai ragazzi, quando è partita l’epopea delle Cipolline, perché m’ero accorto di un vuoto da colmare: un prodotto editoriale sul calcio destinato ai bambini. Per avvicinare i piccoli alla lettura che c’è di meglio che far leggere loro cose che amano? Ecco: le Cipolline sono un po’ come lo zucchero sull’orlo del bicchiere, per far mandar giù la medicina. Si parte dal pallone e poi man mano la lettura si spinge ad altro. A me interessa appassionare alla lettura i piccoli per aiutarli a ragionare su grandi temi e valori importanti: la legalità, l’integrazione, la giustizia sociale… Ora, per evitare il rischio di fare prediche da grillo parlante punto sempre, in primis, sulla storia”.
Scrivere di calcio per bambini è anche un modo per educarli e legarli a valori sani e positivi?
“Indubbiamente. Soprattutto in questi tempi, in cui arrivano messaggi diseducativi dall’alto del mondo del calcio, ma non solo. Se una volta si pensava che lo sport fosse sano alla base e che poi si guastasse crescendo; adesso, purtroppo, si può tranquillamente affermare che lo sport è già marcio alla base. E allora un discorso educativo con storie leggere come le mie, credo possa avere un valore”.
Leggi molto?
“No, non sono un lettore bulimico. Sono un lettore sofferente e con molti sensi di colpa perché finisco per scrivere molto di più di quanto riesca a leggere. Io vedo e aspetto le vacanze come un approdo felice, in cui mettermi a posto anche con la coscienza perché sbarco in spiaggia con il mio zaino di libri e ne leggo quattro in una settimana e allora a quel punto sono contento. Spero di avere presto il tempo di leggere più di quanto stia facendo adesso”.
Come è cambiato il giornalismo sportivo negli ultimi anni?
“Posso dire che è cambiato tanto, ma a differenza di come dicono in molti, non è morto. Può morire la carta, sostituita da siti e network, ma il mestiere rimarrà per sempre. Quando il lunedì esce il giornale, i lettori hanno già visto venti volte i gol della partita, per questo dobbiamo trovare nuovi obiettivi e motivazioni negli articoli. Le televisioni raccontano cos’è successo, il giornale dice perché è successo, magari approfondendo anche l’aspetto umano o psicologico”.
Entri nella macchina del tempo e ti fermi a…
“Alla quarta Ginnasio, all’Istituto Gonzaga dei Fratelli delle scuole cristiane, fratel Giuseppe mi diede da leggere ‘Non sparate sui narcisi’ di Luigi Santucci. E da lì ho preso la mia strada”.
