di GOFFREDO FERETTO
Sê plural como o universo, Sii plurale come l’universo.
E lui lo è stato.
Di chi sto parlando? Di Fernando Pessoa, poeta portoghese nato a Lisbona nel 1888 e morto nel 1935.
La frase citata è sua e possiamo dire che essa è stata per lui un imperativo.
Egli è stato talmente plurale da non essere solo un poeta, ma un’intera letteratura.
Pessoa, infatti, ha scritto sotto vari nomi. Ma attenzione, non si tratta di pseudonimi, bensì di eteronimi: egli ha cioè creato altri poeti, diversi uno dall’altro, cui è arrivato a dare una data di nascita, un profilo fisico e persino un oroscopo. I più rilevanti di questi autori sono Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Alberto Caeiro. Questi ‘altri’ giungevano persino a polemizzare fra loro e con il loro creatore. In vita pubblicò pochissimo anche se era molto noto come intellettuale e i suoi testi sono stati ‘scoperti’ dopo la sua morte all’interno dell’ormai celebre ‘baule pieno di gente’ contenente migliaia di scritti. L’Italia ha fatto la sua conoscenza grazie alle traduzioni di Luciana Steganio Picchio, Luigi Panarese e Antonio Tabucchi insieme con la moglie portoghese Maria José de Lancastre.
Di Pessoa Antonio Tabucchi ha scritto: “La poesia di Pessoa è l’analisi più complessa, dolente e tragica ma insieme lucida e impietosa dell’uomo del Novecento”.
Tabucchi era un grande ammiratore di Fernando (in portoghese si usano quasi sempre i soli nomi propri) e alcuni suoi amici – o detrattori – sostengono che gli volesse addirittura somigliargli fisicamente.
Io ho incontrato Pessoa proprio tramite i due libri significativamente intitolati ‘Una sola moltitudine’ curati da lui e da sua moglie. Da allora mi sono ‘innamorato’ dell’opera di Pessoa che non mi stanco di rileggere. Lo considero, infatti, una delle voci più alte della poesia europea del ’900 e forse – ma questa è solo l’opinione, appunto, di un innamorato – della letteratura di tutti i tempi, quanto meno di quella che ho conosciuto in lunghi anni di frequentazione di testi poetici. Ho studiato il portoghese per poterlo leggere direttamente nella sua magnifica lingua.
Questa lunga premessa per consigliare a chi fosse interessato un volume di uscita recente ‘Fernando Pessoa. Il poeta che non c’è’, a cura di Fabrizio Parrini, Edizioni Clichy.
Parrini è docente di Storia dell’arte e poeta. Ha pubblicato saggi su Carmelo Bene, Emil M. Cioran, Cesare Pavese.
Quest’ultimo lavoro non è di certo il più corposo dedicato al grande lisboeta: conta solo centocinquanta pagine. Credo, tuttavia, di poter affermare che, fra i tanti che ho letto, costituisce la migliore introduzione alla sua vita e alla sua opera. Possiede, infatti, il raro dono della semplicità, pur essendo documentatissimo e profondo. Lo stile rispecchia la capacità del docente che sa come mantenere viva e costante l’attenzione di coloro cui si rivolge, di chi non vuole ostentare la propria cultura, ma condurre per mano in una scoperta comune. Ho trovato nell’autore anche una consonanza personale, giacché anch’egli manifesta una grande empatia con Pessoa, del quale sa scandagliare il dramma interiore evitando la temeraria illusione di averlo compreso.
Il saggio di Parrini è diviso in tre sezioni: la prima dedicata ad una analisi attenta dell’opera pessoana, la seconda riporta alcune immagini del poeta accompagnate da sue significative frasi, l’ultima è una guida agli eteronimi più importanti.
Concludo qui questo mio invito alla lettura, offrendo a chi avrà la pazienza di leggermi il testo completo di una poesia (pubblicata sulla rivista ‘Presença’ nel 1932) che mi è particolarmente cara (e della quale ho fatto un uso insolito che solo gli amici più intimi conoscono). Eccola.
Autopsicografia
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
Gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.
