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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Il pensiero scientifico nell’Ottocento chiavarese: ecco i nuovi “artigiani del sapere” (1)

Furono i pensatori e gli intellettuali di questi tempi, i filosofi dell’illuminismo, a inoltrarsi nella ricerca di un vero progetto pedagogico
Federico Delpino, straordinario autodidatta e artefice di una prestigiosa carriera con molti riconoscimenti internazionali
Federico Delpino, straordinario autodidatta e artefice di una prestigiosa carriera con molti riconoscimenti internazionali
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Prosegue la serie di articoli di Giorgio ‘Getto’ Viarengo dedicati ad illustrare la Chiavari dell’Ottocento e i tanti modi ed aspetti per i quali questo può a buon diritto essere riconosciuto come ‘il secolo d’oro’ della nostra città.

di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *

Uno dei tratti più interessanti e originali, a tutti i livelli, del passaggio culturale tra Settecento e Ottocento fu la rivoluzione illuministica. Si faceva strada un’impostazione in cui gli uomini miravano allo sviluppo e al progresso attraverso la diffusione del sapere, esplorando e divulgando nuove conoscenze secondo il percorso delle tappe successive di ‘ragione, libertà, progresso’. Gli illuministi miravano ad abbattere l’ignoranza e le visioni superstiziose di un mondo superato, fiduciosi nelle potenzialità della ragione e della scienza per aprire la strada al nuovo e pieno compimento del progresso e di conseguenza della felicità umana.

Furono proprio i pensatori e gli intellettuali di questi tempi, i filosofi dell’illuminismo, ad inoltrarsi nella ricerca di un vero progetto pedagogico. Essi operavano nella società per rinnovarla e spingerla in un inedito futuro. 

In questo clima culturale fu fondata la Società Economica di Chiavari, un sodalizio di cittadini che si ponevano l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del territorio applicandovi le nuove visioni del mondo della scienza. Non è un caso che il primo passo della neo-costituita Società sia stata l’istituzione della biblioteca cittadina, nuovo centro della diffusione del sapere.

A questo passaggio iniziale seguì l’immediato obiettivo di creare nuovi corsi di studio e di incrementare lo sviluppo dell’attività scolastica in Chiavari, attività che come ben sappiamo dotò nel tempo la città di un’offerta scolastica di rango assolutamente eccezionale. 

Negli anni i risultati di questa semina non tardarono a presentarsi, in particolare attraverso l’affermazione di studiosi locali che raggiunsero traguardi internazionali attraverso la ricerca e l’esplorazione, l’indagine e il confronto con altri colleghi, anche operanti in centri di ricerca e università non italiane. 

Questo confronto aprì le porte a nuovi confini dello studio, non più solamente accademico, ma praticato dai nuovi artigiani del sapere che ricercavano e si confrontavano, spesso partendo dalle esperienze del territorio. È il caso di Bernardino Turio (1779 – 1854) autore dell’opera “Specimen plantarum quas in agro Clavarensi aliisque dipartimenti Appenninorum”; è questo il saggio più importante dello scienziato chiavarese nato nel quartiere di Rupinaro e laureatosi in Chimica Farmaceutica presso l’Università di Genova. I suoi studi, mirati sulla botanica e le specie dell’Appennino Ligure di Levante, furono sostenuti dal prof. Antonio Mongiardini e dal pioniere delle ricerche Giuseppe De Notaris. Nel suo volume sono riportate le caratteristiche di circa settecento essenze, raccolte e catalogate da ricerche condotte sul campo, esplorazioni tra le colline e le vallate più interne del Tigullio. In Chiavari, Bernardino Turio esercitò la professione di farmacista, pur continuando gli studi di botanica. 

Le sue indagini furono successivamente riprese e ampliate da Giovanni Casaretto, membro di una famiglia che si distinse per l’alto valore culturale di diversi suoi componenti. Tra il 1838 e il 1840, Giovanni Casaretto (Chiavari 1810-1879), partecipò in veste di studioso di botanica e di mineralogia a un viaggio di circumnavigazione del globo a scopo militare e scientifico patrocinato da Casa Savoia. I materiali botanici raccolti furono in parte destinati al Regio Museo Botanico di Torino, e pubblicati in un’opera edita in Genova da Giovanni Ferrandi col titolo “Novarum brasiliensium decades”. A tutt’oggi un prezioso erbario ed una raccolta di alghe, sempre ordinate e studiate dal chiavarese Casaretto, sono custoditi presso le collezioni dell’orto botanico dell’Università di Genova in via Garibaldi. 

In questo clima di nuove ricerche e studi, giungiamo alla straordinaria esperienza di Federico Delpino, nato a Chiavari il 27 dicembre del 1833. È lui che ci racconta direttamente, con un suo intervento all’Università di Napoli, l’avvio delle sue ricerche dal giardino di casa sua, retrostante l’attuale via Ravaschieri: “Che poteva fare un bambino abbandonato a sé per tante ore alla più completa solitudine? Passavo tutto il mio tempo a studiare i costumi delle formiche, delle api e delle vespe. A scoprire il modo di nidificare di un grosso pecchione nero”. Il giardino di casa fu il primo laboratorio di ricerca di questo straordinario autodidatta, che da qui giungerà, dopo una prestigiosa carriera e molti riconoscimenti internazionali, al confronto diretto con Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzionismo.

Un importante membro della Società Economica, Federico Canale, che in più occasioni ha scritto di Delpino, ne traccia un profilo interessante ed intrigante: “In queste pagine si rileva non soltanto la sapienza del ricercatore, ma il godimento della scoperta: il tutto mediante un racconto appassionante che coinvolge il più insipiente ed ardito dei lettori”. Ed è proprio grazie alla passione e alla tenacia di Federico Canale che possiamo rileggere alcune delle lettere che compongono l’epistolario Delpino-Darwin, che sfocerà nella pubblicazione di uno scritto di Delpino sulla rivista “Scientific Opinion” su segnalazione di Darwin. Il carteggio-confronto è tuttora una vera lezione di quel lontano periodo, che possiamo rileggere negli Atti della Società Economica del 1998, in un importante saggio curato da Maria Simonella.

Il sapere e la ricerca imposero al nostro Paese una svolta mai vista, e con il progresso politico del Risorgimento si costruì una visione nazionale dell’ormai consolidato movimento dei ricercatori, a precorrere il concetto, oggi invalso, dell’internazionalità senza confini della scienza. 

Presto nacque la volontà di un vero confronto istituzionale, di un’occasione di incontro e di scambio di saperi, metodi ed opinioni: il Congresso degli Scienziati Italiani. L’ottava edizione si tenne in Genova dal 14 al 29 settembre del 1846. Un’assise importante, da cui trapelava una nuova visione di libertà e necessità di discussione sui temi del progresso nazionale.  Gli scienziati si sentivano liberi e discutevano su ogni tema; non mancarono ragionamenti su temi politici e financo sul papa Pio IX, idee a dir poco critiche e polemiche. Il Re Carlo Alberto, non proprio tranquillo sulle opinioni e proposte degli scienziati, inviò un suo uomo di fiducia, il marchese Antonio Brignole Sale, a presiedere il Congresso. Il padre del prossimo Statuto era davvero preoccupato: “Badate che questi pretesi scienziati sono gente da tenere a freno”, questa fu la frase che usò per raccomandare vigilanza al patrizio genovese, ma il rinnovamento del sapere era incontenibile, e non si lasciò imbrigliare.

(* storico e studioso di tradizioni locali)

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