di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Una storia di soldati italiani che dopo l’8 settembre 1943 non giurarono fedeltà alla R.S.I.
Questa triste pagina del tempo di guerra è davvero poco conosciuta. Si tratta della cronaca di una delle navi adibite al trasporto dei militari italiani prigionieri dei tedeschi in Grecia.
Il piroscafo Oria parte dal porto di Rodi l’11 febbraio del 1944. Le operazioni di carico prevedono di stipare all’inverosimile le stive della nave, dove sono ammassati i soldati del Campo Raccolta N° 2 di Asguro e di altri quattro Campi dell’Isola di Rodi, per un totale di 4.200 prigionieri.
La rotta programma di raggiungere il porto del Pireo, ma all’altezza di Capo Sounion, durante una furiosa burrasca, il piroscafo naufraga. La carretta del mare si spezza nella zona di prua. Da quelle onde, sotto una pioggia battente, si salvano 37 soldati italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio.
Tutti i superstiti raggiungono la costa all’altezza dell’isolotto di Patroklos. Tra coloro che invece persero la vita nel naufragio, tre soldati della nostra terra: Roberto Bellieni di Chiavari, Antonio Carbone di Lumarzo e Giovanni Lombardi di Rapallo.
Quella dell’Oria fu la più grande tragedia marittima, in termini numerici, della storia del Mediterraneo. Su quella rotta e durante i trasporti dei militari internati italiani si verificarono tuttavia altri naufragi, per un totale di molte migliaia di morti.
Il giorno seguente il disastro, il rimorchiatore Titan raggiunge il relitto per prestare soccorso e verificare lo stato del disastro. A stendere una prima memoria dei fatti è il macchinista Luigi Fiorello, in un verbale compilato a Rodi il 7 giugno del 1944.
Nella ricostruzione precisa del macchinista rivive il pauroso dramma dell’Oria: “Alle sei del mattino del 13 febbraio giunge l’ordine di partire a tutto vapore. Dopo sei ore di navigazione arriviamo sul posto del disastro. Constatiamo che della nave emerge dal mare solo un pezzo di prora e l’albero prodiero. Aggrappato al sartiame scorgiamo un uomo nudo. A causa del mare fortemente agitato può accostare una sola scialuppa, i soccorritori si accertano che nel locale di prora si trovano altri cinque uomini”.
La testimonianza continua con la descrizione del tentativo di aprirsi un varco con la fiamma ossidrica, ma le bombole precipitano tra le onde. I soccorritori rientrano al Pireo per tornare il giorno seguente. Con nuovi mezzi si torna sul relitto e si riesce ad aprire un varco che permette l’uscita dei soldati rimasti in vita.
Solo nel settembre del 1946 questa testimonianza venne ripresa e trasmessa alle competenti autorità militari italiane. Passarono anni prima che i documenti giungessero a descrivere l’enormità del disastro. Le informazioni alle famiglie giunsero tardissimo e talvolta incomplete od errate.
Roberto Bellieni, nato a Chiavari in via Rivarola da Gaetano, indoratore, e da Teresa, maestra, al momento della chiamata alle armi frequentava la facoltà di chimica industriale a Genova. Antonio Carbone era nato a Lumarzo il 23 dicembre 1910 da Tommaso e Luigia, contadini nella frazione Tassorello. Chiamato alle armi, fu assegnato alla campagna di Grecia. Giovanni Lombardi era nato a Rapallo il 14 agosto del 1907. Il padre, Ercole, era un muratore residente a San Michele di Pagana con la moglie Felicina. Giovanni, all’età di venticinque anni, sposò Giuseppina e si trasferì a Santa Margherita Ligure, dove visse sino alla partenza per la campagna di Grecia.
Tutti e tre i militari, insieme a migliaia di connazionali, vennero internati dopo l’8 settembre 1943 per non aver accettato di combattere a fianco dei tedeschi e di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Dai campi di raccolta di Rodi vennero trasferiti col piroscafo Oria e persero la vita nel naufragio.
La famiglia di Bellieni non ricevette mai nessuna notizia del figlio Roberto. Quando allo stato civile fu iscritto il decreto di morte, il padre e la madre erano già deceduti. L’anagrafe di Chiavari ricevette l’atto dalla Commissione Interministeriale per la ricostruzione degli atti di morte il 19 gennaio del 1962. Nell’atto si legge: “Bellieni Roberto di anni ventiquattro, tenente di complemento appartenente al 18° Gruppo Artiglieri era a bordo del Piroscafo di cui non si conosce il nome, partito da Rodi nel pomeriggio dell’undici febbraio 1944 per trasporto in deportazione di oltre quattromila prigionieri italiani in mano tedesca, detto piroscafo naufragava in prossimità dell’Isola di Goidano Egeo, che il Bellieni non è compreso tra i pochi naufraghi recuperati”.
Le carte che certificavano la morte di Antonio Carbone giunsero a Lumarzo il 17 febbraio del 1950. La nota burocratica riferisce che il soldato era “appartenente al 14° Gruppo 27° Reggimento Artiglieria col grado di Caporale Maggiore, presente sul piroscafo di cui si sconosce il nome, i naufraghi recuperati dai soccorsi e quelli che riuscivano a raggiungere a nuoto la vicina costa non comprendono Antonio Carbone”.
La famiglia di Giovanni Lombardi ricevette notizia il 7 aprile 1947. Una nota ancor più stringata: “per scomparsa in mare”.
Grazie al Gruppo di Ricerca sul naufragio del piroscafo Oria e all’Associazione delle Famiglie è oggi possibile raccontare una verità e restituire alla storia quella drammatica pagina mancante, una pagina dove ritroviamo i nostri Roberto, Giovanni e Antonio, partiti dal Tigullio per morire deportati nel mare Egeo insieme ad altri 4.200 soldati italiani. Il lavoro di ricerca deve continuare, perché il naufragio dell’Oria non sia una tomba dimenticata.
(* studioso di storia locale e membro dell’Anpi)