di DANILO SANGUINETI
Il posto nel quale meno ci si aspetterebbe di incappare nella dilagante mania di virare tutto in common english è la Val Petronio. Il Mulino di Barry è però un falso amico, una licenza poetica escogitata dai proprietari per ricordare che nell’azienda agricola che prospera sul versante nord del Bracco – appoggiato a un’ansa del torrente Petronio a sud di Castiglione Chiavarese (basta percorrere la via Fiume e fermarsi al numero 10) – è operante la famiglia degli italianissimi, anzi ligurissimi, anzi valpetronianissimi Baratta.
Una famiglia che è perfettamente aderente all’odierno canone del mondo occidentale, padre e madre più figlioletto, genitori under 40, erede maschio appena over 4. Un nocciolo di organizzazione familiare ristretto e solidissimo che ha molto dell’oggi ma anche un sapore dell’ieri, e nell’amore per la propria terra come nella capacità di ingegnarsi e rovesciare le prospettive, agendo con decisione e coraggio che no possono non far ben sperare.
Marco, Barbara e piccolo Alessio: quelli del Mulino di Barry. Nell’insegna due indicazioni che sembrano fuorvianti e che invece sono una intelligente dichiarazione di intenti: il mulino c’è sempre solo che produce vino invece che farina, e Barry (come si legge, pronunciato all’italiana) era il soprannome con il quale venivano etichettati gli uomini della gens Baratta.
Siamo nell’alta Val Petronio, all’ombra del Monte Zatta, sotto la strada che si inerpica verso il Passo di Centro Croci, sorge un’ampia piana alluvionale. In posizione amena c’è una serie di costruzioni che si appoggiano a quello che fu un mulino attivissimo sconfitto negli Anni Cinquanta solo dall’incalzare del progresso tecnico. Era il regno di ‘Beppin’ Baratta, nonno di Marco che assieme alla moglie Barbara ha deciso di lanciarsi in quella che loro stessi definiscono un’avventura.

La voce narrante è quella di Barbara, intestataria dell’azienda agricola aperta cinque anni fa. “Io sono nata e vissuta a Genova fino al 2015, a Castiglione passavo gran parte delle vacanze estive. Io e Marco però ci siamo incontrati solo da grandi, proprio otto anni fa. Aveva da poco preso il posto del nonno nel prendersi cura e coltivare i terreni di famiglia. Frutta e verdura, più qualche filare di viti che produceva un vino buono ma che veniva consumato solo in famiglia e tra amici. Io mi sono trasferita qui condividendo con Marco l’amore per questa terra e la volontà di fare qualcosa per essa. Nello stesso tempo, nel 2018, la ditta di Genova dove lavoravo è fallita. Il seguito è venuto in maniera quasi spontanea. Abbiamo deciso di mettere su famiglia, casa e… azienda. Il nome voleva tramandare il lavoro delle generazioni precedenti dei Baratta, soprattutto ricordare Nonno Beppin che a Marco aveva tramandato tutti i suoi segreti, e, soprattutto, tramandato la passione per la coltivazione e la viticoltura”.
Un atto che da fuori sembra più che temerario. “Ci siamo detti che non avevamo molto da perdere. E che il gioco valeva la candela. Che tra parentesi avevamo sempre pronte perché quando siamo arrivati qui c’era tanto lavoro da fare”.
In un solo lustro lo hanno realizzato questo tanto e sono pure riusciti a fare altro. “Il vigneto è stato il nostro primo pensiero. Sapevamo della qualità dei vini di questa zona, c’era da ampliare l’area e variare la gamma di produzione. Poi c’era da mettere ordine nelle altre coltivazioni, recuperare al bosco quel terreno che negli anni si era perso, infine anche il vecchio mulino e le sue dipendenze avevano bisogno di una rinfrescata. Nel 2019 avevamo ottenuto i necessari permessi e abbiamo potuto mettere in vendita le prime bottiglie con il logo Mulino di Barry”.
Centro pieno anche se i bersagli da colpire erano numerosi. Ed i Baratta non potevano sapere che c’era l’uragano alle viste. “Qual è il momento buono per lanciarsi? E qual è il rischio accettabile? Anzi è quasi stata una fortuna ignorare a che cosa stavamo andando incontro. E non parlo solo degli eventi mondiali. Parlo della continua battaglia con la burocrazia: penso alle richieste per ogni minima modifica, al dover fare richiesta per ottenere il diritto di impianto. Ci sono percentuali regionali da rispettare, da Spezia a Ventimiglia, per ogni tipo di coltura. E tanti altri piccoli intoppi che sommati diventano un gigantesco ostacolo a una azienda giovane che vuole crescere”.
Per poterselo permettere hanno fatto dei compromessi. “Mio marito ad oggi non lavora al 100% nell’azienda. Ha un suo posto fisso e per potermi dare una mano sacrifica ogni minuto del suo tempo libero. Certo la passione per la terra aiuta e poi ci sono i consigli di nonno Beppin da mettere a frutto, ma è stata pur sempre una faticaccia. Abbiamo reso polifunzionali i vari locali adibiti alla produzione del vino, siamo quasi pronti per diventare una cantina vinicola. Per fortuna che dal 2019 ci siamo aiutati anche con la vendita di ortaggi e uova. In più accettiamo visite guidate da chi vuole venire a vedere come funziona la nostra azienda agricola, abbiamo già ospitato scolaresche di ogni ordine e grado”.
Con così tanto da fare il periodo del lockdown è stato quasi una pausa utile: “Lo abbiamo impiegato per rimettere a posto la casa. In più nel 2019 ho dato alla luce Alessio”. A proposito di persone capaci di svolgere più mansioni, Barbara, Marco non se ne abbia a male, appare ancora più multitasking rispetto al consorte. “Nostro figlio è una gioia che ci ha ulteriormente motivato. Lo vediamo crescere in una casa che è anche sua e questo ci conforta. E poi lo ripeto, quando c’è la passione, in mio marito innata, in me cresciuta dopo l’incontro, che ci dà la necessaria carica”.

Indispensabile per superare il sempiterno duro ciclo della lavorazione. “Qui tempi morti o periodi di vera vacanza non esistono. La vigna va curata dodici mesi su dodici. Da vendemmia a vendemmia, ogni volta bisogna sistemare i vigneti, capire se il terreno ha bisogno di qualche intervento, poi si pota, si rassoda, eccetera”.
Se non bastasse, si sono aggiunte le bizzarrie del tempo. Siccità e diluvi. “C’è anche questo, è indubbio. Noi siamo collegati ad un centro meteo, ed abbiamo la nostra stazione meteo perché, per esempio, se mettiamo in calendario un trattamento dobbiamo avere la certezza che dieci minuti dopo non ci cadrà sulla testa un uragano. Poi c’è il discorso più generale da fare, sul cambiamento climatico. Lo verifichiamo quotidianamente sulle nostre piante, sui loro cicli di vita e su come vengono sempre più minacciate dai mutamenti nell’ambiente circostante, fauna compresa”.
Un elenco che rende al meglio quanto sia dura dover combattere anche contro una natura che non ne può più dei maltrattamenti umani. “L’anno scorso nel periodo di grande siccità estiva scegliemmo cosa irrigare e cosa no, cosa proteggere e cosa no. In pratica chi doveva essere salvato e chi lasciato andare. Cinghiali e caprioli, istrici e volpi erano spinti dalla sete a sorpassare ogni ostacolo. I recinti messi a protezione niente potevano contro l’invasione notturna. Nel periodo pre-raccolta abbiamo dovuto fare i turni di guardia”. Insomma non pensate al Mulino di Barry come la versione levantina del Bianco Barilla. Il pane qua lo difendono con i denti e non ci sono le fatine buone a sfornare dolcezze per i bimbi. “Il favore che riscontriamo ogni giorno presso che ci viene a trovare o scopre il nostro vino ci aiuta a tenere alto il morale. Per ora siamo una piccola realtà, una cantina di nicchia potremmo definirci, facciamo circa 2000 bottiglie l’anno ma stiamo espandendoci”.
Sotto l’etichetta ‘Ilmulinodibarry’ potete trovare uve Bianche del tipo La Bianchetta Genovese doc, autoctona dei territori che partono da Coronata sopra Genova per arrivare fino a Castiglione Chiavarese, l’Uva di Vermentino e l’Uva di Bosco, un po’ di Uva da Moscato (la stessa Uva del Moscato di Canelli). Le Uve Rosse sono L’Uva di Ciliegiolo, Merlot, Cabernet e Syrah. La prima uscita ufficiale con la nostra etichetta, una delle quali dedicata al nonno ‘Beppin’, sarà quella della vendemmia 2021. Presi in affitto dai vicini due ettari di campi, ripuliti e coltivati degli ulivi secolari. Ortaggi seguendo i ritmi stagionali non essendoci serre per proteggerli, poi una piccola coltivazione di granturco dal quale viene tratta farina di mais e una produzione di Olio EVO e di uova di galline nostrane. “Molto apprezzate, anche dagli stranieri che arrivano sempre più numerosi. Dipendenti non ne abbiamo e la gente apprezza molto il nostro sforzo per poter egualmente esaudire ogni richiesta. Il posto, molto bello, ci aiuta, qui si vede con facilità quale tesoro da preservare sia la biodiversità di ogni territorio. Poco tempo fa sono fioriti i papaveri ed i visitatori ammiravano incantati i prati incendiati dai loro colori. Il colpo finale viene inferto quando li portiamo a degustare i nostri vini. Raccontiamo quando lavoro nascondono: abbiamo un trattore ma serve solo per un piccolo pezzo della nostra terra, qui si fatica in pendenza e con il solito olio di gomito come ausilio. Credo che li convinciamo proprio mostrando quanta fatica sta dietro a ogni singola bottiglia”.
Tosti, i Baratta, farmer doc: niente li spaventa, niente li distrae, attaccati alle loro radici, un po’ sognatori, un po’ pragmatici. Pronti a virare verso il Common English se serve per attirare i turisti nelle neglette valli del Levante. Welcome to Val Petronio proclamano nei loro flyer intelligentemente bilingui. Pronti a meravigliare: questo lo dicono in Italiano e non c’è neppure bisogno di spiegare il perché.