Come funziona la giustizia sportiva nel nostro Paese?
Le vicende recenti che hanno riguardato l’Entella e la sua possibilità di essere riammessa in serie B consentono una riflessione un po’ più approfondita su cosa sia la giustizia sportiva nel nostro Paese e come funzioni.
Il caso calcio è significativo perché enormi interessi sono in gioco rispetto ad altri sport. Alla luce di ciò, dovrebbe esserci un’estrema cura ed attenzione da parte delle Corti nei giudizi espressi, dal momento che questi possono grandemente condizionare la vita dei club.
Bisogna sempre ricordare che la giustizia sportiva non è un pezzo della giustizia ordinaria, ma è una giustizia privata che vale soltanto per gli affiliati alle varie federazioni.
Proprio perché giustizia privata di un mondo, quello dello sport, che dovrebbe ispirarsi ad elevati valori morali, dovrebbe essere orientata (così almeno affermano i princìpi del CONI) a particolare severità: nel dubbio, la giustizia pubblica assolve, mentre quella sportiva dovrebbe condannare.
Inoltre, le decisioni dovrebbero basarsi su regole chiare e stabili, presupposto indispensabile per qualsiasi forma di giustizia.
E ancora – ma ça va sans dire – vi dovrebbero essere la garanzia dell’assoluta terzietà dei giudici; e la terzietà e l’indipendenza dovrebbero scaturire dalle modalità delle loro nomine.
Tutto ciò sembra appartenere ad un mondo ideale senza, purtroppo, alcun riscontro con la realtà effettiva.
La realtà è fatta:
- di giudizi spesso incomprensibili tanto nella determinazione della sanzione, estremamente blanda anche nei confronti di episodi molto gravi, quanto nella sua applicazione temporale: la pena, dicono le norme federali, dev’essere afflittiva e quanto più possibile ravvicinata al momento della violazione, mentre invece viene spesso ritardata e posticipata.
- di regole federali che cambiano continuamente, o sono soggette a continue richieste di deroga. Ciò non consente alcuna certezza su quali comportamenti siano leciti, quali illeciti, quali non leciti ma di fatto ammessi. Tutto ciò dà origine a contenziosi senza fine, con regole federali scritte, ma talvolta derogate dalle stesse federazioni o cassate in giudizio dalle Corti.
- di giudici non nominati da autorità certe e terze (come il CSM o la Corte dei Conti) ma figli di giochi di influenza e di potere all’interno delle varie federazioni.
Alcune. vicende recenti, tra le quali anche quelle che hanno riguardato l’Entella, testimoniano molto bene della grave situazione in cui versa la giustizia calcistica, o meglio i tribunali giudicanti, giacché la Procura Federale sembra invece svolgere un lavoro enorme ed approfondito le cui risultanze raramente vengono accolte dalle corti.
In particolare le vicende del Foggia e del Cesena (oggetto di deferimento della Procura Federale alle corti di giustizia sportiva), entrambe costituenti oggetto di fatti gravissimi, non sembrano aver turbato più di tanto sia i giudici di primo grado sia quelli d’appello, i quali per una ragione o per l’altra hanno preso decisioni che definire blande sembra poco.
Ricordiamo che siamo in presenza del primo caso (Foggia) di una società definita dalla Procura della Repubblica di Milano (questa sì magistratura ordinaria) ‘una lavatrice’ di denaro di provenienza illecita, che i suoi dirigenti (in particolare i due presidenti Curci e Sannella condannati a gravissime pene sportive) hanno a più riprese iniettato nel Foggia facendo pagamenti in nero o finanziando la società con fondi provenienti da reati. Tale disponibilità di fondi neri o di provenienza illecita ha gravemente alterato con un vero e proprio effetto di ‘doping amministrativo’ le condizioni competitive degli ultimi campionati e in particolare di quello 2017-2018.
Ciò nonostante, il Foggia giocherà la prossima stagione in serie B, con soli 8 punti di penalizzazione.
Il caso Cesena è diverso perché, fino a prova contraria, non vi sono fondi di provenienza illecita, ma vi è stata negli ultimi tre anni una sistematica falsificazione dei bilanci con l’iscrizione di oltre 70 milioni di plusvalenze false ottenute vendendo al Chievo, e sempre sistematicamente solo al Chievo, più di 30 giovani calciatori sconosciuti e poi mai utilizzati dalla società veronese, che li restituiva immediatamente al Cesena. Meccanismi contabili (iscrizione della plusvalenza tutta e subito, iscrizione del falso costo spalmato in tre anni) consentivano sia a Cesena che a Chievo di mostrare un patrimonio netto positivo invece che quello reale fortemente negativo, che non avrebbe consentito l’iscrizione ai rispettivi campionati.
Anche rispetto a questi gravi casi i giudici sportivi non si scompongono più di tanto. Il Chievo continuerà probabilmente a giocare in serie A, forse nemmeno penalizzato. Il Cesena sul punto di fallire, se non viene messo all’ultimo posto del campionato 2017-2018 come sconterà la penalizzazione? Non la sconterà affatto. L’unico effetto oggettivo del dilazionamento della pena al Cesena al prossimo campionato, qualora questo dovesse essere confermato in appello, sarà la retrocessione dell’Entella e un posto libero in più per qualche società che volesse chiedere il ripescaggio in B.
Il presidente della Lega di B Mauro Balata in una recente intervista alla ‘Gazzetta dello Sport’ ha dichiarato: “Ci sono società e imprenditori sani che sono sempre più demotivati perché si rendono conto che il mondo del calcio ha regole diverse da quelle dell’economia. Tutti noi, a partire dalla FIGC, dobbiamo attivarci per tutelare e preservare gli imprenditori perbene”.
Il grido di dolore di Balata non sembra per ora trovare ascolto né al CONI né alla FIGC.
Del resto è di pochi giorni fa la notizia, che non ha fatto neppure tanto scalpore, delle dimissioni irrevocabili di Enrico Cataldi, ex generale dei carabinieri, dal ruolo di superprocuratore del CONI.
Il generale Cataldi era stato chiamato tre anni fa da Giovanni Malagò a guidare una grande e decisiva riforma della giustizia sportiva. Ma dopo una carriera nell’arma costellata di successi contro il terrorismo, anche lui ha deposto le armi, dichiarando: “Non ci sono le condizioni per continuare, qui c’è un muro che si oppone ad ogni cambiamento: la giustizia (sportiva) è e deve restare cosa delle federazioni e nessuno super partes deve poterci mettere il naso. Ho passato la vita cercando di fare giustizia e seguendo casi difficilissimi, ora mi rendo conto che nello sport l’impresa è superiore alle mie forze”.
Che tristezza.