di DANILO SANGUINETI
Primavera 1919, 106 anni fa. Un pugno di ardimentosi, molti dei quali giovani e determinati, si riunisce a Milano ed elabora un manifesto che propugna idee innovative ed in gran parte lungimiranti. Uno scatto in avanti per un Paese uscito stremato dalla Grande Guerra, lacerato da enormi contrasti sociali, politici, economici.
Il documento propone rispetto al principale partito della sinistra una socializzazione delle industrie, ma con un approccio più pragmatico, meno venato di ideologia, e rispetto al principale partito di centro riforme sociali meno moderate, usando un accento più modernista.
Leggiamo. “Suffragio universale a scrutinio di Lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne. Il minimo di età per gli elettori abbassato ai 18 anni; quello per i Deputati abbassato ai 25 anni. L’abolizione del Senato (che era di nomina regia, quindi fortezza del privilegio e del conservatorismo N.d.r.). La convocazione di un’Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato.
Proponiamo la sollecita promulgazione di una Legge dello Stato che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di otto ore di lavoro, i minimi di paga, la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria, l’affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici, la rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti. Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sull’invalidità e sulla vecchiaia, abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni. Una politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni pacifiche della civiltà, la nazione italiana nel mondo.
Vogliamo una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, il sequestro di tutti i beni delle Congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili, che costituiscono una enorme passività per la Nazione e il sequestro dell’85% dei profitti di guerra”.
Caspita! Se questo movimento politico avesse vinto l’Italia degli anni Venti e Trenta del secolo scorso – eliminato il massimalismo della sinistra e il grigio conservatorismo della destra – avrebbe avuto gli strumenti per diventare un grande paese a democrazia diffusa, gareggiando con Inghilterra, Francia e Stati Uniti nella modernizzazione della società e delle istituzioni.
Il dramma è che quel movimento vinse, o meglio prese il potere corrodendo lo stato dal suo interno.
Perché stiamo parlando del “Manifesto dei Fasci Italiani di combattimento” che Benito Mussolini propose nell’assemblea del 23 marzo in piazza Sansepolcro e che pubblicò sul suo giornale il 6 giugno del 1919.
Come si vede è assai facile prendere un manifesto che annuncia idee pensate, discusse ed elaborate e messe nero su bianco in condizioni particolarissime e poi stravolgerne il senso riproponendolo nel secolo successivo senza valutarlo nella giusta prospettiva storica. Astrarlo dal contesto, leggerlo con interessata presbiopia – come fece qualche settimana fa la nostra presidente del consiglio – con il Manifesto di Ventotene è rifilare un ceffone sonoro alla razionalità storicistica, gettare un’ombra immeritata, ai limiti della maramalderia, sui padri nobili della Resistenza, su Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi che lo redassero, sulla troppo spesso dimenticata Ursula Hirschmann che lo diffuse e su suo marito Eugenio Colorni, che lo revisionò e che il 28 maggio 1944 a Roma venne ucciso da membri dai collaborazionisti fascisti della banda Koch.
Forse sarebbe meglio che chi si lancia in queste spericolate operazioni “intellettuali” ricordasse quanto dichiarò Indro Montanelli, ossia la mente più lucida e brillante che la destra italiana abbia mai avuto, in una celebre intervista, anno 1990: “Solo dopo tanto tempo ho compreso quanto mi disse Ugo Vietti. “Non hai ancora capito che l’Italia è un paese popolato da “contemporanei…Senza antenati né posteri perché senza memoria”. Io avevo 25-26 anni e la presi per una boutade. Aveva assolutamente ragione, questo è un Paese che ha una storia straordinaria ma non la studia, assolutamente ignaro di se stesso. Forse il domani sarà brillantissimo, ma per gli italiani non per l’Italia, perché siamo i più qualificati per entrare nel calderone multinazionale dato che non abbiamo “resistenze” nazionali”.
Buon 25 aprile.