di DANILO SANGUINETI
Lanciate una freccia in acqua e la vedrete sanguinare. Il guerriero seppellisce l’ascia di guerra. Ratko Rudic ha detto basta. Anche se i suoi 72 anni – nascosti dietro una forma fisica che fa sospettare patti con entità oscure – e il serto trionfale procuratogli da quasi quarant’anni di ininterrotti successi gli attribuiscono senza discussioni il diritto al buen retiro, sarà faticoso immaginare la pallanuoto senza di lui, l’allenatore più vincente di ogni tempo, che ha cresciuto quattro generazioni almeno di giocatori, nutrito due nidiate di mister e ha modificato gli schemi, rivoluzionato la preparazione, piegato la mentalità a sua immagine e somiglianza, elaborato una filosofia che ha reso le partite qualche cosa di assai diverso da uno scontro di bestioni con la calottina sulla crapa.
Ha fornito un’impronta moderna, visivamente accettabile e intellettualmente stimolante allo sport più bello e bistrattato nel lotto di quelli da giocare in team. Perderlo proprio ora nell’ora più nera, quando l’inevitabile morso della crisi colpisce duro e colpirà ancora più rovinosamente nei prossimi mesi una disciplina fragile e alle prese con mille intoppi, fa male, addolora anzi. Come sempre è stato Ratko (guerriero), ha deciso in splendida solitudine, senza sollecitazione o suggerimento da parte di alcuni. Non sarebbe diventato il ‘maestro dei maestri’ se avesse seguito i sentieri battuti e le vie facili. Sin da quando scelse il cuore e non la ragione, e si professò croato in una nazionale a traino serbo, quando interruppe una carriera da giocatore perché “si sentiva bravo ma non il migliore”.
E lui quello voleva essere. E capì che seduto su una panchina poteva alzarsi sino a farsi notare dall’intero mondo delle piscine. Ha 36 anni quando porta la Jugoslavia a vincere l’Olimpiade. Ne ha 40 quando dopo un altro oro a cinque cerchi e un oro iridato deve fare i conti con la caduta del Muro e la guerra civile jugoslava. Sceglie l’Italia perché sa che li c’è da ricostruire. E lo fa in pochi mesi. In un biennio (1992-94) dà agli azzurri regole, gioco, mentalità, e trionfi. Poi Usa e Brasile, più che scommesse delle pazzie perché aree depresse della waterpolo, dove solo qualificarsi per le grandi manifestazioni è considerata un’impresa. Che gli riesce in entrambe le occasioni, lasciando sul fondo delle vasche yankee e carioca il seme della rinascita.
Tra il 2007 e il 2012 fa il profeta in patria: dà alla Croazia Olimpiadi (a nostre spese), Europeo e Mondiale. È un monumento vivente, nelle piscine dei cinque continenti si alzano in piedi al suo ingresso, non avrebbe niente da dimostrare, eppure non è pago. Nel 2018, a 70 anni suonati, accetta la proposta della Pro Recco di Maurizio Felugo. Per la prima volta alla guida di una squadra di club. Vince lo scudetto, vince la Coppa Italia, porta in finale di Champions League una squadra tanto favorita che quasi non fa quota sui siti di scommesse. E invece ad Hannover perde da una formazione ungherese che nei gironi eliminatori aveva disintegrato in casa e in trasferta.
“Colui che non conosce la sconfitta” non può andarsene così, la stagione 19-20 sarà quella del riscatto. Ed invece…no. Ratko l’indipendente ancora una volta segue traiettorie che gli altri non immaginano. “Ho accettato l’incarico alla Pro Recco sposando le idee del presidente Maurizio Felugo e un importante progetto di pallanuoto che, oltre ai risultati e al miglioramento del gioco, puntasse anche sulla promozione del nostro sport in Italia, nel mondo e sui media, l’avvicinamento e l’investimento sui giovani, la creazione di accademie in tutta Italia, l’organizzazione delle partite di Champions League in diverse città. Abbiamo fatti grandi passi avanti in tutti i segmenti, però ho sbagliato una partita, la semifinale di Champions League, e la stagione è finita senza ottenere il risultato desiderato: ancora oggi porto dentro di me un sapore amaro di quella sfida di Hannover. In questa nuova stagione siamo partiti ancora più motivati di recuperare quanto ci era sfuggito; abbiamo preparato un programma diverso, concentrandoci sulla parte conclusiva della stagione e sulla Final 8 di Champions League che dovevamo organizzare in casa, a Recco, nella piscina di Punta Sant’Anna: era pronto un grande spettacolo sportivo. La decisione di terminare la mia carriera come allenatore è maturata prima che scoppiasse l’emergenza Coronavirus e l’ho comunicata al presidente Felugo. Volevo finire la carriera con un grande risultato e mettermi a disposizione della società in un altro ruolo per contribuire alla realizzazione del progetto. Certamente con la pandemia molte cose sono cambiate, il futuro è incerto e vedremo come sarà organizzata l’attività. In questa occasione voglio ringraziare il nostro patron, Gabriele Volpi, grande appassionato di pallanuoto e principale sostenitore della Pro Recco, con il quale si è creato un rapporto di stima e rispetto, penso reciproco. Con il presidente Felugo avevo un rapporto speciale, di fiducia ed amicizia: la sua motivazione e l’energia aiutava anche la squadra stessa a mantenere alti livelli di impegno”.
Rudic ringrazia “tutti i giocatori per il grande impegno professionale, rispetto e qualità nell’approccio sia degli allenamenti sia delle partite: custodirò sempre un bel ricordo. Il mio staff tecnico è stato di enorme valore ed aiuto, composto da professionisti di altissimo valore. Il gruppo era molto unito ed aveva un ruolo attivo e propositivo: sono grato a loro per il grande impegno. Ringrazio tutti i dipendenti della società che hanno permesso di svolgere la nostra attività nel miglior modo e con i quali si è creato un ottimo rapporto. In conclusione, del periodo trascorso a Recco mi rimane un ricordo positivo; qui mi sono sentito come a casa mia. Voglio salutare tutti i tifosi e i cittadini che sono stati vicini alla società e a me personalmente: terminata questa emergenza, tornerò in città per salutarli con affetto”.
Il coraggio di dire basta. La sapienza di vedere le cose in maniera diversa dalla massa, la capacità di capire prima e meglio degli altri quando c’è cambiare. Non vivere di ricordi o sugli allori del passato. E doveva essere così: la leggenda la riconosci non da come entra ma da come esce di scena.