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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Il Good Bar di Ri Basso: quel bar di quartiere, centro della comunità, che spegne quarantacinque candeline

Aperto negli anni Sessanta, nel 1979 venne rilevato dalla famiglia Baratta. Papà Andreino e mamma Elena sono affiancati dalle due figlie, Roberta e Federica
Papà Andreino e mamma Elena sono affiancati dalle due figlie, Roberta e Federica, alla conduzione del Good Bar
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di DANILO SANGUINETI

Ciclicamente alcuni esponenti politici a corto di idee propongono il rafforzamento della figura del poliziotto di quartiere, conosciuto anche, con una discutibile forzatura della semantica, “poliziotto di prossimità”. Come se l’avere a portata di fischio il tutore delle forze dell’ordine in stile “Bobby” anglosassone o “Patrolman” a stelle e strisce bastasse in alcune aree bollenti delle nostre metropoli.

Al contrario nelle cittadine a basso coefficiente di delinquenza ma ad alto tasso di solitudine come è facile incontrare nella nostra senescente regione appare molto utile il “bar di quartiere” inteso come centro di aggregazione. L’esatto contrario di quelle desolazioni al neon che avrebbero fatto felice Edward Hopper, nidi per “falchi notturni” o raffazzonati adattamenti dei “Più malfamati di Caracas”…

Locali come il Good Bar che sorveglia l’ingresso di piazza Sanfront, baricentro del quartiere di Ri Basso a Chiavari. L’indirizzo per la burocrazia è via Piacenza 239, l’indicazione per l’avventore è il bar con la veranda a quadrati di plastica, un dehors alla buona, caldo e accogliente senza avere le pretese delle infiorate dei grandi caffè del centro città. Un bar che ha un fortissimo radicamento nel territorio, che ha saputo intrecciare con gli avventori (clienti o peggio utenti lo lasciamo ai freddi esercizi di cassa…) nel tempo. Funziona come una calamita di energie positive sette giorni su sette, dall’alba al tramonto. E questo da tantissimi anni.

Aperto negli anni Sessanta, nel 1979 venne rilevato dalla famiglia Baratta. Papà Andreino e mamma Elena sono affiancati da Luigi Baratta, poi dopo qualche stagione vanno avanti da soli. Nel bar crescono le due figlie della coppia, Roberta Federica, che si dividono tra casa e bancone, facendo i compiti tra un tavolino e l’altro. Oggi che il testimone è stato passato a loro, seconda generazione di “caffettieri” della famiglia Baratta, il Good Bar ha ricevuto una iniezione di entusiasmo che continua a farne il propulsore della vita di quartiere.

Roberta aggiunge con una punta di legittimo orgoglio: “Sabato 30 novembre abbiamo celebrato i 45 anni di conduzione, sono venuti a farci i complimenti anche il sindaco Messuti e il consigliere Segalerba. Per noi è stata una grande soddisfazione, c’erano anche mamma e papà che per un giorno si sono tirati fuori dalla cambusa. Perché anche se lasciano a noi i rapporti con il pubblico loro due sono sempre dietro le quinte e lavorano senza sosta in “cambusa”. Siamo una squadra che funziona bene, ognuno con un suo compito”.

Roberta allude ai piatti freddi ed ai buffet famosi quanto se non di più degli aperitivi che si possono gustare seduti in veranda o all’interno della sala piccola ed accogliente. Andreino è il barman. Ma non chiamate cocktail le sue creature, lui è molto più eurocentrico: è il creatore della famosa “Sangria di Andre” che riscuote da decenni incondizionato successo. Elena delizia chiunque abbia papille gustative con le preparazioni per i buffet dell’aperitivo (“frisceau”, “cuculli” e “testaieü”). Vecchia cucina indigena, altro che Happy Hour e Degustazioni di piatti dal nome impronunciabile… 

“Non ci siamo mai montati la testa – concorda Roberta – E nello stesso tempo abbiamo cercato di essere molto presenti nel quartiere. I miei genitori hanno favorito la nascita dello storico carnevale di Ri Basso coi suoi carri parodistici: le riunioni di preparazione si sono sempre tenute nel nostro bar. Poi hanno anche lanciato il rito della mattina di Natale: una foto di gruppo fuori dalla veranda con tutti gli aficionados del bar, una tradizione che si era interrotta bruscamente causa le restrizioni della “tempesta Covid”.

“Pensando ai festeggiamenti per il 45esimo abbiamo deciso di inserirvi anche il ritorno della foto natalizia. Abbiamo coinvolto la nostra amica Monica Corda, fotografa che vive qui vicino e che è stata la “storica” ritrattista del locale e dei suoi frequentatori. Sarà ancora una volta lei a immortalarci la mattina del 25 dicembre”. Uno scatto che questa volta avrà un colore in più… “Ripercorrendo la nostra storia ci siamo accorti di quanto ci sia da raccontare: rinnovammo l’intero esercizio nel 2014 e dopo pochi mesi ce lo ritrovammo sconvolto dall’alluvione autunnale. Poi il Covid, la crisi economica successiva. Mai abbiamo chiuso o rinunciato, ed oggi io e Federica intendiamo fare del bar un’attrattiva del quartiere. Abbiamo cominciato con la festa di sabato 30 novembre: pulled stinco, insalata di patate, frittini e torta per chi ci è venuto a trovare, un successone! E la mattina di Natale mamma Elena ha in programma un buffet con il quale ha proclamato di “volersi superare”… Siete invitati, vi consigliamo di non perdervelo”. 

Ah, i bar di quartiere! Gioielli della vita quotidiana. Molto più di semplici posti dove prendere un caffè o un aperitivo. Sono il cuore pulsante della comunità, dove le persone si incontrano e condividono momenti di vita: il barista ti conosce e ti saluta per nome, sa a memoria le tue preferenze, ti chiede come va. Ogni tavolo potrebbe raccontare di conversazioni profonde, di scemenze dette senza troppe preoccupazioni. Luoghi dove il tempo rallenta e nessuno se ne lamenta. Il Good Bar potrebbe benissimo essere uno di quei ritrovi che hanno ispirato Stefano Benni per scrivere “Bar Sport”, palinsesto di tipi umani che si possono trovare in ogni dove della nostra penisola, in ogni periodo della sua storia e che regalano storie magnifiche, calore personale e anche , vivaddio, qualche liberatoria risata.

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