Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.
di MATTEO MUZIO *
Immaginate di poter sapere tutto sul conflitto tra Russia e Ucraina, avere una buona base sulla situazione in Medio Oriente ed essere aggiornato sui risultati sportivi del basket della Nba. Ecco: ora pensate che non sapete nulla di ciò che accade vicino a casa vostra e che le vostre uniche notizie locali vengono dai social.
Quello che fino a qualche anno fa sembrava uno scenario distopico, oggi è realtà per circa 55 milioni di americani che vivono nelle aree più remote del Paese, quelle che hanno registrato le percentuali più alte per Donald Trump. Non è un caso che uno degli stati dove si registra questa desertificazione è proprio il West Virginia dove il candidato repubblicano ha superato la soglia del 70%.
Questi posti vengono chiamati “news deserts”, deserti di notizie. Si tratta di quelle contee che non hanno nemmeno un reporter né una testata sul posto, una definizione coniata da “Reporter Sans Frontieres”.
Com’è potuto succedere? Intanto c’è la crisi globale delle testate giornalistiche tradizionali: negli Stati Uniti sono ormai da tempo ridotte a prodotto per anziani con tanto di inserzioni pubblicitarie di case di riposo, dentiere e altri oggetti di consumo destinati al pubblico senior. A volte poi la testata esiste, ma la redazione no: per questi il giornalista Al Cross, direttore emerito e fondatore della scuola di giornalismo rurale dell’Università del Kentucky ha coniato il termine “giornale fantasma”. Questi fogli sono pieni di pubblicità, comunicati stampa e altri articoli che ben poco hanno a che fare con l’informazione tradizionalmente intesa.
Certo le testate non sono esenti da colpe: spesso hanno approfittato dei sussidi degli anni del Covid per far fronte alle spese correnti senza investire in innovazione tecnologica e hanno valutato male il boom di abbonamenti digitali di quegli anni, però poco hanno potuto anche con la recente svolta delle grandi piattaforme social di sopprimere il traffico proveniente dai link che vengono inseriti dagli utenti, a meno che questi non paghino profumatamente per le sponsorizzazioni. Del resto, Elon Musk, padrone di X, ha affermato che la sua piattaforma sostituirà “i vecchi media” con il giornalismo “dei cittadini”. Una frase che al pubblico italiano può ricordare il Movimento 5 Stelle delle origini ma che nasconde la volontà di manipolare le informazioni in modo autocratico e tutt’altro che trasparente.
Che fare? Non c’è una soluzione pronta all’uso. Però ci sono degli interessanti tentativi da segnalare, come quello di States Newroom, un progetto noprofit di copertura di tutti e cinquanta gli stati, anche i più remoti come l’Alaska, dove è attiva la redazione composta da sei giornalisti di “The Alaska Beacon”. Il modello di business si distacca da quello tradizionale composto da vendite/abbonamenti e inserzioni pubblicitarie e conta soprattutto sulle donazioni volontarie ricevute in modo totalmente trasparente, ma anche funge da service per i giornali tradizionali che non possono coprire tutto il territorio. Sempre poco, ma comunque è il segnale che qualcosa si muove. Dopo quest’elezione presidenziale shock, poi, a essere in movimento è soprattutto il buonsenso dei lettori, stufo dei pregiudizi e della sciatteria giornalistica nei confronti della provincia americana rurale che chiede un ritorno di giornalismo di qualità. Perché bisogna ricordare che uno dei pilastri della democrazia americana sin dalle origini è stato il vivace brulicare di testate giornalistiche senza paura, a volte faziose ma senz’altro foriere di un salutare dibattito informato all’interno della società civile. Perché senza “la tirannia dei giornali” come la definiva Thomas Jefferson, la democrazia muore. E arrivano gli oligarchi come Elon Musk.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)