Prosegue il dibattito, lanciato da ‘Piazza Levante’, sul tema del verde urbano a Chiavari. Dopo l’articolo del nostro editore, Antonio Gozzi, e l’intervento dello storico Giorgio ‘Getto’ Viarengo, in questo numero è la volta di Claudia Vaccarezza, dottore di ricerca in Geografia storica per la valorizzazione del patrimonio storico ambientale e membro dell’Osservatorio dei Fenomeni Urbani della Società Economica di Chiavari.
di CLAUDIA VACCAREZZA *
Anche quest’anno, il comune di Lavagna, unico in Liguria, è stato insignito della Spiga Verde, il riconoscimento promosso da Foundation for Environmental Education e da Confagricoltura per quelle realtà che riescono a coniugare sul territorio il rispetto dell’ambiente con la crescita della ricchezza economica e sociale delle comunità che vi risiedono. Il corretto uso del suolo, la presenza di produzioni agricole tipiche, la qualità dell’offerta turistica e la valorizzazione delle aree naturalistiche, costituiscono le ragioni del titolo, sempre molto ambito.
A prima vista l’agricoltura sembrerebbe confinata alla zona collinare di Santa Giulia, con i versanti terrazzati per l’olivicoltura e la viticoltura. Invece, nascosto tra via Fieschi e il lungo Entella, si estende un grande polmone verde che accoglie produzioni orticole di grande rilevanza per il valore storico, oltre che commerciale dovuto all’elevata qualità. Accanto a produzioni tipiche liguri come la melanzanina tonda, negli orti di Lavagna si coltivano cultivar esclusive della zona come il cavolo Gaggetta, il cavolo Broccolo Lavagnino, la radice di Chiavari, il pisello di Lavagna, che, anche se non hanno riconoscimenti ufficiali (solo la Camera di Commercio di Genova ha assegnato il marchio ‘Antichi Ortaggi del Tigullio’ a 5 varietà), mostrano un forte radicamento nel territorio, in quanto, ancora oggi, questi stessi orti servono anche da vivaio per tutta l’area del Tigullio.
La disposizione degli orti, la canalizzazione delle acque a scopo irriguo, ma anche di contenimento in caso di forti piogge e l’edilizia rurale sono oggi un patrimonio culturale relitto e nonostante le ricerche, poco conosciuto e valorizzato. Risale al Trecento, secondo i primi documenti rintracciati, la bonifica dell’area paludosa e l’organizzazione territoriale, che si estendeva dalla sponda sinistra del fiume, fino a Cavi di Lavagna e, a monte, nella zona di Rezza e di Moggia, per collegarsi alle aree agricole di San Salvatore dei Fieschi, fino alla confluenza con il torrente Graveglia e, a Chiavari, dalle sponde ponentine del fiume sino al quartiere ‘Gli Scogli’. Ancora, tutta la parte compresa tra il ‘Borgolungo’ e il mare, la parte a monte del centro storico chiavarese, che si collegava alla zona olivicola attorno al Castello e si incuneava tra la collina di Ri e il fiume, sulla sponda destra nella zona di Caperana, fino la piana di Carasco, costituiva un continuum con il fondovalle del torrente Lavagna.
Anche nella toponomastica vernacolare chiavarese possiamo leggere tutta l’importanza che la piana orticola aveva in passato: Ciassa di Coi (piazza dei cavoli) richiama nella sua denominazione il mercato all’ingrosso che vi aveva luogo, dove venivano trafficate oltre le numerose varietà di cavoli, tutti i prodotti agricoli, confluiti anche dal Bargonasco, che da qui erano distribuiti nell’area del Tigullio e non solo.
Attorno agli orti dell’Entella, mancando localmente una sufficiente produzione di letame bovino, si sviluppò anche il mercato poco ‘profumato’ dei liquami delle latrine (chintana) e dei rifiuti urbani, acquistati persino a Genova, per essere utilizzati come fertilizzante.
In tutta la piana dell’Entella, ma con maggiore concentrazione e migliore stato di conservazione nell’area lavagnese, si può ancora leggere il complesso di manufatti che oggi costituiscono un patrimonio di archeologia rurale preziosissimo, in parte ancora in uso, come l’articolato sistema irriguo, che comprendeva canalizzazioni (bei), il cui utilizzo veniva regolamentato attraverso appositi statuti), pozzi a bilanciere (çigheugne), pozzi azionati a vento e norie.
A proposito della regimentazione delle acque merita grande attenzione il famoso Seggiun, l’argine costruito a fine Settecento e rinforzato in epoca napoleonica a difesa dalle periodiche inondazioni del fiume, nell’area urbana lavagnese. Oggi, una poco attenta pianificazione di bacino, vorrebbe intervenire su di esso e trasformarlo in una sorta di muro che separerebbe di netto le aree ortive presenti nell’area golenale da quelle verso via Fieschi, spezzando a metà orti e proprietà. Maggior rispetto, cura, studio ed attenzione meriterebbe invece quest’opera, che per circa 200 anni ha salvaguardato l’abitato di Lavagna, delle cui ragioni e dell’edificazione della quale si trovano interessanti tracce nell’Archivio Storico del Comune di Lavagna.
Una passeggiata sul colmo del terrapieno del Seggiun permette di leggere col miglior dettaglio gli elementi del paesaggio agrario storico: la suddivisione dei terreni in piane, delimitate da filari di vite o da solchi irrigui, le produzioni orticole le cui sementi vengono ri-prodotte dai coltivatori e raramente acquistate in negozio, i frutteti con varietà di pesche, albicocche e ciliegie antiche, i lembi di uliveti con le varietà Lavagnina, Leccina o Pignola, i filari di vite, non più maritata, ma con cultivar locali come il Vermentino e in alcuni casi anche qualche filare superstite di Albarola, le tracce dei sistemi irrigui, i viottoli di accesso ai terreni (passi) lastricati di ardesia.
In questa prospettiva, prendono il dovuto risalto anche manufatti funzionali all’attività agricola, che altrimenti passano in subordine fino a venir negletti, quali, ad esempio, il casone secentesco che la parrocchia di San Giovanni ebbe in eredità dal nobile Diego Argiroffo nel 1729 e che è stato custodito dalla famiglia di ortolani detta dei Bastien fino ai primi anni del nuovo Millennio, come poeticamente hanno raccontato, in un libro e in un documentario, Guido Lombardi e Anna Lajolo.
Oltre che con la Spiga Verde, questo paesaggio, costruito nel corso dei secoli, è stato segnalato e riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come paesaggio rurale storico di interesse nazionale, ed ha menzione all’interno del Catalogo Nazionale dei Paesaggi Rurali, curato da Mauro Agnoletti dell’Università di Firenze. Per la Liguria sono stati selezionati sette paesaggi, di cui ben quattro nell’area del Tigullio, che qui vale la pena ricordare: sono, oltre agli orti periurbani della valle dell’Entella, i prati e i pascoli arborati del formaggio di Santo Stefano, gli orti e i castagneti irrigui terrazzati dell’Alta Valle Sturla e le terrazze a noccioleto del Tigullio.
Non si può dimenticare inoltre che le sponde del fiume Entella mostrano grande rilevanza anche sotto il profilo della biodiversità, in particolare per la componente dell’avifauna, per la cui protezione è stato istituito il Sito di Importanza Comunitaria ‘Foce e medio corso del fiume Entella’. Oltre 150 specie di uccelli popolano stanzialmente o durante le migrazioni le sponde e l’alveo del fiume, trovando protezione e nutrimento, non solo tra le fronde della vegetazione riparia, ma anche nell’ampia zona ortiva.
Oggi l’area si presenta integra solamente per la parte di territorio lavagnese compresa tra via Garibaldi, il campo sportivo, via Fieschi, fino al Ponte della Maddalena, in cui, grazie anche al vincolo idrogeologico, gli orti sono stati preservati dall’espansione urbana. Oltre il Ponte, risalendo fino alla confluenza del Graveglia, l’area presenta aspetti di intensa e caotica urbanizzazione, in cui trovano collocazione lo svincolo autostradale di Lavagna e aree destinate ad attività artigianali e industriali. Nonostante ciò resistono alcuni piccoli lembi in cui viene ancora praticata l’attività ortiva in forma aziendale, in alcuni casi sostituita da coltivazioni intensive in serra o in campo (basilico e floricoltura).
Sulla sponda di Chiavari, che ha visto una forte espansione del tessuto urbano tra le due Guerre, l’orticoltura risulta più frammentata e limitata a piccoli spazi ritagliati tra gli edifici.
È, quindi, un paesaggio fragile che viene spesso confuso dalla pianificazione territoriale e paesaggistica con un paesaggio naturale, notevole solo per le qualità estetiche o ricreative e che rischia di scomparire se non si interviene rapidamente con iniziative di riconoscimento e di sostegno. Circa un anno fa, l’Amministrazione lavagnese ha saggiamente proposto di vincolare come agricola tutta l’area coltivata. Se ciò avvenisse e fosse riconosciuta all’interno del futuro Piano Urbanistico sarebbe una grande opportunità sia per la conservazione di un patrimonio culturale, sia per pensare a uno sviluppo economico, anche in chiave produttiva e non solo di servizio, di turismo gastronomico, come, peraltro, alcuni coraggiosi giovani imprenditori stanno già facendo, con ottimi risultati.
È importante superare la visione di parco urbano per ragionare su un nuovo ‘patto città-campagna’, pensando, nel momento della pianificazione, a un ‘parco agricolo’ che diventi un progetto di territorio, in grado di coniugare e integrare le forme della pianificazione urbano-territoriale con quelle dello sviluppo rurale, affidando la cura (e l’autoprotezione) degli spazi aperti ai soggetti che storicamente l’hanno egregiamente esercitata: gli agricoltori appunto. Occorre ragionare intorno al patrimonio rurale locale (modellato sul concetto di patrimoine rural francese) in una prospettiva di sviluppo locale autosostenibile, promuovendo reti economiche e sociali tra le diverse componenti viventi di questo patrimonio, cioè i produttori locali, con i loro saperi, le loro pratiche, le produzioni locali, il mercato, rappresentato da ristoratori e commercianti, e le amministrazioni locali: tutti, ai diversi livelli, con l’obiettivo di arrivare a una definizione e allo sviluppo di un progetto locale condiviso.
Bibliografia
- AGNOLETTI M., 2010, Paesaggi rurali storici. Per un catalogo nazionale. Laterza, Bari.
- LOMBARDI G., LAJOLO A., 2007, I Diari del fiume, video, 52’
- LOMBARDI G., LAJOLO A., 2009, Nel respiro del fiume, Gammarò Editori, Sestri Levante.
- MAGNAGHI A. e FANFANI D. (a cura di), 2010, Patto città campagna. Un progetto di bioregione urbana per la Toscana centrale. Alinea, Firenze.
- SOCIETÀ ECONOMICA DI CHIAVARI, 2017, Quaderni dell’Osservatorio dei Fenomeni Urbani n. 3 – Un futuro consapevole per le valli dell’Entella. De Ferrari, Genova.
(* l’autrice è dottore di ricerca in Geografia storica per la valorizzazione del patrimonio storico ambientale e membro dell’Osservatorio dei Fenomeni Urbani della Società Economica di Chiavari)