di OENONE LLOYD RAVAIONI *
L’Italia ha ospitato quattro anni fa, a Padova e Venezia, il terzo Convegno Mondiale dei Paesaggi Terrazzati, occasione che ha permesso di conoscerci: Paola, umbra, geografa; Ilaria, piemontese, project manager e specializzata nelle aree interne; ed Oenone, britannica e restauratrice d’arte. Lavorando insieme sulla tappa Chiavari, Lavagna e Vernazza per il Convegno abbiamo consolidato l’amicizia fra di noi coniugando la nostra passione per questi luoghi. L’enorme apprezzamento dimostrato dai partecipanti internazionali e italiani per quello che abbiamo fatto loro conoscere ci ha spronato a fondare l’anno dopo un’associazione culturale, senza scopo di lucro, di nome ‘Pietre Parlanti’.
Per far parlare un paesaggio bisogna poter raggiungere i luoghi che lo caratterizzano e quindi abbiamo iniziato il nostro progetto con l’intento di recuperare tutta l’antica rete viaria del territorio di Lavagna. Quando abbiamo cominciato fisicamente ad approcciare l’impegnativa pulizia è arrivato Guido, chiavarese, ingegnere e appassionato di storia, amante del verde e dell’ambiente; è stato fondamentale per il progetto ed è diventato il nostro rappresentante territoriale.
Con le prime perlustrazioni ci siamo resi conto che avevamo avuto ragione a crederlo un posto particolare. Intanto qui l’uomo ha creato un paesaggio con le pietre, plasmando le ripide discese collinari sino al mare con le sue mani, mani incredibilmente capaci perché prima hanno cavato le pietre dalle numerose cave d’ardesia scavate sin dal Medioevo ovunque nella collina; un modo per poter usufruire del materiale disponibile nelle vicinanze e così poter ‘domare’ i declivi. I terrazzamenti infatti seguono come onde la morfologia dei terreni, delle coste, delle valli.
Allo stesso tempo regimavano le acque: sorgenti, torrenti e acque meteoriche, creando vallette con un susseguirsi di muri fatti di grosse pietre, costruiti per attenuare la forza dell’acqua in particolare durante le piene; sistemi questi ancora miracolosamente in funzione oggi. I costruttori portavano l’acqua giù dove volevano loro anche con sistemi di tunnel e canali sotto i terrazzamenti. Queste opere idrauliche antiche sono fantastiche e non finiscono di stupirci per il genio di chi le ha messe in opera. Purtroppo oggi alcune di esse non funzionano più perché manomesse dall’uomo moderno quasi sempre nelle vicinanze delle strade carrabili. Appena questi sistemi vengono interrotti, i muri a secco spanciano e col tempo si evidenziano crolli.
Ci siamo accorti di quanto sono diventati fragili questi luoghi abbandonati dall’uomo perché era la stessa azione antropica di manutenzione che meticolosamente teneva tutto funzionante.
Abbiamo organizzato numerose giornate di lavoro e abbiamo dedicato serate e lunghe giornate di brutto tempo (anche durante il lockdown del Covid) alla ricerca su carte, libri e internet. Per un lavoro di recupero di questo tipo serve conoscere la storia, servono l’intuizione e la conoscenza minuziosa dell’architettura rurale per capire il senso delle zone ora abbandonate e sommerse dalla vegetazione, serve cogliere ogni traccia residua dei passaggi passati persi.
Abbiamo sovrapposto le mappe catastali alle mappe antiche e consultato le immagini satellitari che a volte ci hanno permesso di scovare passaggi ancora esistenti visti dall’alto. Insieme, con metodo, sempre con le mappe in mano, pulendo con non poca fatica, siamo avanzati lungo le pedonali antiche e siamo riusciti piano piano, in tre anni di lavoro con questo progetto, a recuperare una grande parte dell’antica rete viaria lavagnese, ora nuovamente usufruibile.
È stato un lavoro duro ma bellissimo, una vera caccia al tesoro. Un’incredibile ‘cucitura’ del territorio. Quando una via è pronta, mettiamo la nostra segnaletica: scriviamo in bianco su pietre di ardesia il nome della via o dei luoghi, in modo da restituire i toponimi di una volta, per non perdere l’identità dei luoghi; sono le nostre Pietre Parlanti. La rivalorizzazione di un territorio è anche questo.
Per aiutare il nostro Comune, sono due anni che abbiamo una convenzione come volontari per la manutenzione ordinaria del Sentiero Liguria che attraversa il nostro territorio dal fiume Entella alle Rocche di Sant’Anna.
Ci siamo rivolti alla gente del posto per cogliere il più possibile la memoria storica della collina lavagnese e questo è stato fondamentale. La signora Marisa ci ha portato nei suoi luoghi d’infanzia dapprima timidamente, ma poi, vedendo il nostro sincero interesse, si è lanciata in racconti di vita vissuta pieni di aneddoti, parlando di un mondo difficile, fatto di duro lavoro della terra per cercare di produrre ciò che serviva da vivere per le famiglie numerose.
Le signore Olga e Oneto hanno raccontato storie delle due guerre mondiali, della vita nelle cave e dell’uso delle ‘strafie’ (teleferiche) fondamentali nei loro terreni. Incontrando qualcuno nei posti più disparati abbiamo chiesto notizie e toponimi e ci siamo lasciati sempre con sorrisi reciproci; difficile non amare parlando della propria terra.
Ci siamo appellati agli abitanti locali, cercando di coinvolgerli nel progetto e dopo solo una iniziale ‘diffidenza ligure’, si sono uniti a noi, forzuti e bravissimi con decespugliatori e motoseghe e buona memoria storica; fra di loro anche cacciatori di cinghiali (unici veri occupanti di queste zone oramai, insieme ai caprioli). Ci hanno portati su dietro Sorlana verso il monte Capenardo per recuperare uno dei collegamenti fondamentali per l’uso del territorio nel passato. Una via addirittura medievale, il Carmigeu, che portava alle cave quasi in cima. Difficile spiegare l’emozione di una simile impresa: giovani e non più giovani uniti dalla voglia di recuperare un’antica via persa nei boschi. Avanzando e pulendo dietro i primi che tagliavano alberi e domavano fitti roveti, siamo sbucati sulla pedonale Viero-Loto, importante via antica di comunicazione fra Cogorno e le vallate interne di Sestri Levante. Abbiamo trovato una storica sorgente che è stata ripristinata e usata: si racconta che veniva usata da tutti quelli che tagliavano il fieno sugli appezzamenti di proprietà alle pendici del Capenardo e sembra che sia collegata da un canale sotterraneo a una casa del dazio di epoca napoleonica situata poco sotto; pensate a quanti passaggi obbligati su questa pedonale.
Siamo tornati trionfanti e contenti della nostra giornata di lavoro, tutti consci di aver riaperto una via ‘storicissima’ dopo decine di anni di abbandono. Ritornare a casa dopo una giornata passata in questo modo ci ha fatto sentire la magia dei luoghi; senti fisicamente che quella via esisteva da tempi lontani ad ogni passo in discesa. Ne abbiamo tante, per fortuna, di altre belle storie di pulizia e recupero di ulteriori vie importanti con volontari in vari punti del territorio.
Una di queste è stata una vera e propria conquista. Si tratta della Salita Cerreto che parte da Cavi Borgo centrale (via della Rocchetta) e sale la scalinata delle ‘Murtue’. Anche qui grazie sempre ad una ‘memoria-storica’” e a vari volontari, armati di motosega e roncola, siamo arrivati sino all’autostrada; qui, avendo il percorso autostradale troncato la vecchia importante pedonale comunale, ci si trova sotto un apposito tunnel che collega i due tratti superstiti; si tratta dell’unico caso di opera che è andata a compensare la ‘devastazione’ prodotta dall’autostrada.
Adesso che abbiamo una profonda conoscenza di tutto il territorio di Lavagna, ci rammarica molto il fatto che non abbiano lasciato simili varchi in altri punti dove le comunali sono state troncate completamente per sempre, come nel caso di Salita San Rocco.
Per completare la Salita Cerreto abbiamo faticato parecchio per via di crolli e interventi poco rispettosi da parte di un gestore telefonico: la via è stata devastata in più punti e poi ‘appropriata’ da alcuni privati cittadini che l’hanno recintata, impedendo il passaggio. Cocciuti come siamo, sino a poco sotto le case di Cerreto siamo comunque arrivati, sempre rigorosamente sulle tracce antiche.
Nel corso di questi anni di lavoro abbiamo stretto dei rapporti di collaborazione con molte realtà simili a noi, alcune vicine ed altre lontane, con le quali abbiamo scambiato esperienze interessanti ed arricchenti per tutti. Con la nostra assidua presenza in questi anni di ricerca e lavoro sulle connessioni del territorio, una delle cose che ci ha colpito maggiormente è stata la presenza dei muri a secco che contengono le fasce create dai terrazzamenti: centinaia di chilometri di muri a secco pazientemente costruiti da tante generazioni di muratori-cavatori-contadini che costruendo questi muri solo con gli scarti delle cave d’ardesia hanno creato una tessitura unica, tipica di questi luoghi legati strettamente alla estrazione dell’ardesia. Muri cuciti al terreno, a volte avvolgendo lo scoglio affiorante delle vene d’ardesia e usandolo come ulteriore ancoraggio; milioni di schegge d’ardesia posate una sull’altra con tantissimi accorgimenti architettonici, a seconda della necessità del posto. Pietre che parlano! Parlano di fatica, di capacità, di totale conoscenza del posto, di sfruttamento di ogni centimetro per conseguire il sostentamento di tante famiglie che chiedevano il massimo dai loro terreni per estrema necessità.
Parlano di storia del passato. Di necessari collegamenti tra luoghi. I percorsi pedonali che abbiamo ricercato, recuperato e ricucito insieme sono così belli che dovrebbero essere considerati molto di più di semplici connessioni. Queste vie non sono sentieri ma vie per lo più lastricate in ardesia spesso con un ‘disegno’ simile fra di loro. Pietre grandi lavorate per le pedonali, larghe ai lati esterni, a volte leggermente inclinate all’interno per motivi di sicurezza, oppure contenute fra un muro più basso e i muri dei terrazzamenti. Ognuna una vera opera d’arte, per la scelta del pezzo, la sua lavorazione e la sua posa sul terreno. Altre pietre sono poste in verticale incastonate nel terreno per delimitare gli appezzamenti o per sicurezza, i ‘guard-rail’ del passato. Pietre che parlano.
Mentre si cammina lungo queste vie è un susseguirsi di dettagli in ardesia, architettura agricola dettata dal bisogno di quel particolare luogo; le scalinate ripide che tagliano le fasce con spesso un duplice uso: anche l’acqua passa sotto o a fianco in modo da interrompere solo una volta le fasce, un superbo uso parsimonioso degli spazi. Difficile passare per queste vie senza avvertire la bellezza che quegli uomini e donne hanno creato.
Noi ora guardiamo questi dettagli di architettura contadina con occhi diversi, trovandoli bellissimi e, anche con le loro parti mancanti, consumate dal tempo e dall’incuria, vediamo una poetica memoria del passato. Intanto, prima Marco e poi Stefano (il nostro grafico) si sono messi a raccogliere tutte le tracce cartografiche delle pedonali, confermate dal Gps, per metterle finalmente sulla nostra carta delle antiche vie dell’ardesia, una carta geografica pieghevole che mostra più di 50 chilometri di pedonali antiche. Mancano ancora alcune vie ma speriamo di ristampare la rete viaria completa delle Vie dell’Ardesia di Lavagna per Natale.
Dalla carta potete vedere il lavoro fatto e il senso della nostra rete viaria antica. Sfruttando le curve di livello, le connessioni fra le frazioni sono tutti degli anelli con poco dislivello pensati per chi si caricava di pesi giornalmente. Mentre le vie delle cave erano abbastanza larghe per il passaggio delle povere camalle con scalinate larghe nelle parti ripide che permettevano il passaggio di due persone affiancate; abbiamo trovato numerosi scaloni di questo tipo un po’ dappertutto nel territorio. Dalla collina che porta al mare, ‘in a valle’, partono varie pedonali per raggiungere la ‘panoramica’ (sul tracciato dell’antica via romana ‘Aemilia Scauri’) e da lì alla spiaggia e alle barche. Per tornare su, ci sono anche strette direttissime per fare in fretta a raggiungere le cave più su e facilitare le tre o quattro corse giornaliere delle portatrici di ardesia.
Ma non possiamo dimenticare la vita durissima e spesso drammatica che ha portato intere famiglie ad emigrare quando qui non c’era più richiesta per l’ardesia, così difficile da prendere lassù sulle colline e da portare giù senza strade carrabili, ‘camallata’ per chilometri da donne scalze, mogli, mamme, sorelle e figlie dei cavatori, contadine. Quando si scoprì l’ardesia nella vicina Fontanabuona più facilmente reperibile, le cave di Lavagna hanno chiuso quasi definitivamente.
L’aspetto incredibile di questo nostro paesaggio è che rimasto miracolosamente sospeso nel tempo. D’altra parte lo stesso abbandono ha forse salvaguardato una straordinaria testimonianza di luoghi intrisi della storia dell’industria dell’estrazione dell’ardesia ma anche la storia della vita dei contadini e dell’agricoltura di sostentamento.
I pochi abitanti rimasti portano avanti faticosamente la cura di una parte dei loro terreni ma il disegno agricolo originario con il mondo moderno è venuto a mancare. Non allevando più nessuno gli animali, i terreni a fieno sotto la cima del Monte Capenardo sono tornati allo stato selvaggio. ‘Ins’ a valle’ (la valle del Rio Barassi che sfocia a Cavi) è stata devastata dall’autostrada già dalla fine degli anni Sessanta, stroncando, come detto, numerose vie pedonali ed eliminando tutti gli orti lungo il rio. I filari di vite un po’ ovunque sono stati abbandonati ai rovi e si trovano ancora le ‘bose’, coppie di pietre forate sporgenti dai muri, quasi tutte prive dei pali di castagno che reggevano proprio i filari di vite sul limite esterno dei terreni, bellissimo esempio di sfruttamento dello spazio nei terrazzamenti.
Ancora oggi invece l’orgoglio agricolo di questi luoghi collinari sono gli uliveti che fanno bella mostra di sé sulle coste soleggiate, dominando vaste aree. Saranno stati i monaci Benedettini Olivetani insediati nella zona di Sant’ Eufemiano a portare qui tale coltivazione o i Carmelitani così bravi con l’agricoltura?
Per il futuro diversi progetti, alcuni già in corso, vedranno il nostro impegno, come il Progetto del Massiccio San Giacomo – Capenardo che coinvolge quattro comuni limitrofi per una rivalorizzazione attenta dell’area montuosa di crinale con l’obiettivo di un turismo sostenibile. Stiamo per partire con il censimento delle cave di ardesia di Lavagna collaborando con il Comune, la Sovrintendenza e con gli speleologi. Facciamo parte del progetto nazionale ‘Paesi dell’acqua’ che vorremmo usare per portare l’attenzione sul dissesto idrogeologico, fondamentale per il futuro di questo paesaggio fragile. Abbiamo già collaborato con le scuole di Chiavari e appena passato questo momento di pandemia, abbiamo dei progetti interessanti per le scuole di Lavagna. Abbiamo a cuore le nostre zone Zsc (Zone Speciali di Conservazione) a proposito delle quali collaboriamo con la Città Metropolitana di Genova sperando di dare il nostro contributo con la nostra profonda conoscenza del territorio. Stiamo iniziando una cooperazione con la Lipu per proporre nuove aree boschive poco conosciute. Tante belle iniziative per valorizzare un territorio poco conosciuto e ricco di valenze culturali, storiche, naturalistiche.
(* Presidente dell’Associazione Pietre Parlanti)