di ITALO FRANCESCHINI *
Condivido in pieno il pensiero del Dott. Roberto Maggi sull’esodo e mi inserisco nel dibattito di ‘Piazza Levante’ per ampliarlo e porlo nella realtà storica dalla quale è scaturito; realtà indissolubilmente legata alle vicende del Corpo Forestale dello Stato, l’altro protagonista della vita rurale dei nostri monti.
Le radici del servizio forestale nel nostro paese affondano nella storia più arcaica e remota, ma ai fini del mio intervento, è sufficiente partire con l’unità d’Italia e citare alcuni fatti basilari.
Nel 1860 la rete ferroviaria italiana aveva uno sviluppo di 1707 km. Alla fine del secolo, quando poteva dirsi quasi completata, la lunghezza complessiva raggiunge i 15884 km. In 40 anni sono stati costruiti 14177 km di ferrovia. Occorrono mediamente 1200 traversine per ogni km di binario. Da un metrocubo di tondame si ricavano 6-8 traversine. Oltre l’armamento dei binari, possiamo immaginare l’enorme richiesta di legname per ponti, gallerie, costruzioni varie a sostegno dei cantieri e per la palificazione telegrafica. È stato stimato che il 48% delle fustaie di Cerro, Rovere, Castagno e Faggio del nostro Appennino sono finite tra i binari.
Passiamo alla Prima guerra mondiale. Pensiamo al disastro delle fustaie di conifere dell’intero settore nord-orientale, abbattute, rase al suolo, incendiate dagli eventi bellici. Ma l’apporto di legname per sostenere il fronte è stato ben più grande: oltre le vite dei soldati, anche i boschi del centro e sud Italia sono stati sacrificati per la riunificazione delle provincie redente e interi vagoni di legname sono transitati sulle ferrovie dirette al fronte. Ma non solo: ben 220.000 metri cubi di legname sono stati destinati anche al Ministero della Marina.
Ma parliamo anche delle industrie, le quali per funzionare, non essendo il nostro paese ricco di combustibile, hanno attinto dalle foreste alpine e appenniniche per l’alimentazione delle fornaci o per la produzione di solventi ottenuti dalla distillazione di legname. Per fare un esempio locale, ricordo che le faggete del Penna erano giustappunto finite nell’industria chimica sorta nel 1887 a S. Maria del Taro.
Il patrimonio forestale ha sempre rappresentato una delle risorse per le popolazioni montane ma, riducendosi quasi della metà, ha di fatto costretto intere popolazioni a migrare verso paesi migliori.
Il Real Corpo delle Foreste, istituito da Carlo Felice nel 1822, è l’istituzione che ha accompagnato, per necessità di patria, i prelievi di legname, ma ha provveduto anche all’immediato rimboschimento dei monti rasi al suolo, iniziando una politica di salvaguardia, di tutela e di protezione di numerose foreste, promuovendo i primi rimboschimenti proprio in Liguria, nel 1872, ove in provincia di Genova si distinse uno dei primi consorzi provinciali. Nel 1877 si provò a ripristinare la foresta mediterranea con latifoglie sul monte di Portofino, ma l’intervento fallì perché Lecci e Carpini sono specie esigenti e la loro crescita sarebbe stata favorita in seguito, all’ombra delle conifere; così si iniziò a procedere per gradi, piantumando prima specie pioniere come i pini e successivamente il suolo avrebbe accolto le latifoglie, imitando il dinamismo naturale dei boschi spontanei. Poi vi furono le guerre coloniali e mondiali e dal 1926 al 1943 il corpo forestale fu trasformato in milizia, sempre con compiti di rimboschimento e difesa del suolo ma anche con destinazione bellica, essendo un corpo armato.
Dopo la guerra, con decreto legislativo n. 804/1948 – ‘Norme di attuazione per il ripristino del Corpo Forestale dello Stato’ – fu ripristinato il Servizio Forestale nazionale con le competenze contenute nell’articolo 1 che è bene conoscere.
Al Corpo forestale dello Stato sono attribuiti i seguenti compiti:
- a) rimboschimenti, rinsaldamenti ed opere costruttive connesse;
- b) sistemazioni idraulico-forestali ed idraulico agrarie dei bacini montani e sistemazione idraulico-forestale dei comprensori di bonifica;
- c) incoraggiamenti alla selvicoltura ed alla alpicoltura;
- d) tutela tecnica ed economica dei boschi;
- e) tutela tecnica ed economica dei beni silvo-pastorali dei comuni e degli enti pubblici
- f) tutela e miglioramento dei pascoli montani;
- g) polizia forestale;
- h) addestramento del personale forestale;
- i) ricerche e applicazioni sperimentali forestali;
- l) statistica e catasto forestale;
- m) sorveglianza sulla pesca nelle acque interne, sulla caccia, sui tratturi e sulle trazzere;
- n) propaganda forestale;
- o) gestione tecnica ed amministrativa delle foreste demaniali ed ampliamento del demanio forestale dello Stato;
- p) quant’altro sia richiesto per la difesa e l’incremento delle foreste e, in genere, dell’economia montana.
L’articolo 8 sancisce che gli ufficiali, i sottufficiali e le Guardie forestali sono a tutti gli effetti personale civile dello stato e hanno la qualifica di personale tecnico con funzioni di polizia.
La nostra Costituzione, all’articolo 44, prevede provvedimenti in favore dei territori montani e tra le norme emanate in tal senso, merita di essere ricordata la Legge n. 991/1952 detta ‘Legge per la montagna’.
È con questa ed altre norme che il rapporto tra C.F.S. e le popolazioni montane si fa più serrato: grazie alle assunzioni per le sistemazioni idraulico-forestali, i rimboschimenti, la bonifica, il vivaismo e la contribuzione per la realizzazione di infrastrutture e costruzioni rurali, la montagna si ripopola, i paesi rivivono nuovi sviluppi. Scuole e uffici postali consentono di mantenere la residenza anche in piccole frazioni. Nel Levante ligure squadre di operai erano impegnate in piccoli paesi come Loto, Bargone, Velva. Si trattava di assunzioni temporanee con rinnovi ogni 30 giorni stando attenti a non superare le 150 giornate, ma tale attività integrava quella agricola e pastorale.
Nel 1977, con i cosiddetti decreti delegati (Dpr n. 616/1977) previsti in applicazione dell’articolo 117 della Costituzione, le materie prima affidate al CFS sono transitate alle regioni. Operazione poi completata in parte negli anni Ottanta.
Se agli inizi degli anni Ottanta l’Italia si è trovata un Appennino ricostituito con oltre 1.200.000 ettari rimboschiti, ben 147 Riserve Naturali, 5 parchi nazionali, il 70% del territorio montano sottoposto a vincolo per scopi idrogeologici; se in tutte le regioni sono stati consolidati versanti, sono stati regimati torrenti, sono state realizzate opere per impedire che i monti crollassero a valle; se in ogni comune italiano si celebrava la Festa degli Alberi; se anche i privati hanno potuto realizzare rimboschimenti volontari grazie alla produzione di piante forestali che ne ha permesso la distribuzione; se si è potuto lasciare un censimento aggiornato della fauna selvatica presente nei nostri boschi; tutto questo è stato grazie al Corpo Forestale dello Stato, istituzione senza la quale le norme, certo non prive di mire assistenziali, promulgate in favore delle popolazioni montane, non avrebbero avuto esito.
Ora, entriamo nella quotidianità delle relazioni tra forestali e gente di montagna (cacciatori, pastori, boscaioli, agricoltori). Con l’unità d’Italia sono conferiti nel regno Sabaudo i vari servizi forestali provenienti dagli stati preunitari, portando con sé gli usi e le consuetudini le quali erano diverse da zona a zona (per semplificare diremo ‘da provincia a provincia’).
Il fuoco è sempre stato uno strumento, un attrezzo ad uso del contadino, del pastore e del montanaro. Nelle consuetudini transitate nell’ordinamento unitario era pertanto previsto anche l’uso del fuoco. Ma non solo. Le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale, che hanno recepito le precedenti consuetudini, variando appunto da provincia a provincia, prendevano in considerazione tutte le attività agro-silvo-pastorali ivi praticate. Ma tali prescrizioni, avendo necessariamente ‘forza di legge’, non potevano contrastare con le norme emanate e valide invece sull’intero territorio nazionale.
Le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (per brevità PMPF) contengono norme secondo l’ordine delle materie indicate dal Rdl n. 3267/1923 e dal Regolamento n. 1126/1926: mirano ad assicurare la consistenza del suolo nei terreni vincolati, la riproduzione dei boschi e le norme silvane da osservare per il loro taglio, anche dei boschi privati, perché il bosco è sempre un bene collettivo. Mirano a regolamentare il pascolo, particolarmente quello delle capre (storicamente definite ‘il rasoio dei boschi’) della carbonizzazione e l’uso del fuoco.
Dunque, le PMPF ‘consentono’ il taglio dei boschi per procurare la legna da ardere e la paleria per le altre attività, rispettando turni di crescita delle piante, modalità e stagioni di taglio; ‘consentono’ la pratica dell’abbruciamento ma raccomandano che sia svolta lontano dal bosco e in assenza di vento e che non sia libera ma controllata. In alcune provincie (ad esempio a Genova) veniva espressamente chiesto di non bruciare a febbraio perché ventoso e in agosto perché arido.
La sorveglianza proseguiva con la segnalazione delle piante colpite da avversità e il proprietario di una pianta infestata, ad esempio, dalla Processionaria, veniva diffidato personalmente dalla Guardia forestale alla sua potatura con eliminazione dei nidi; e così per le piante crollate nei torrenti o pericolanti, dando di volta in volta il tempo necessario ad eseguire tale disposizione.
Le Guardie forestali gestivano questo calendario e si instaurava il reciproco rapporto di garanzia per la tutela dell’ambiente. Se un incendio dilagava poteva quindi avere cause colpose e trovava, nel contadino stesso che lo aveva involontariamente causato, il primo ad intervenire per il suo spegnimento.
Ma un altro aspetto aveva l’uso del fuoco: quello della lite, della vendetta, dei sentimenti di rancore per fatti di successione o di cattivo vicinato: si tratta in questo caso di incendio doloso, come doloso era il fuoco appiccato per fini venatori o per altri fini riconducibili ad interessi di parte. Ecco perché l’incendio è considerato un delitto e gravemente punito dal Codice Penale.
La Guardia forestale era addentro alle varie attività rurali, ma aveva anche la gestione delle proprietà pubbliche e di quelle indivise: regolamentava i vari diritti permettendo l’equa distribuzione delle risorse (diritto di pascolo, di legnatico, di stallatico, ecc…). Il CFS (tramite l’azienda demaniale) tutelava i genotipi degli animali da allevamento: la cabannina, il cavallo bardigiano, l’asino di Martinafranca, ecc… Conosceva i proprietari degli animali al pascolo e li richiamava per un corretto sfruttamento che fosse rispettoso del suolo (il quale non doveva avere un carico eccessivo di bestiame per evitare che il calpestio desse inizio a fenomeni di dissesto) e rispettose delle proprietà altrui (il famoso abigeato). E il pascolo, sappiamo, era una delle cause dirette di incendio.
A maggior ragione, nei tempi più recenti, quando le attività rurali sono diventate part-time o meri weekend per trascorrere ore liete in campagna, il Corpo Forestale era l’istituzione a protezione dei boschi dall’assalto di persone che non erano più i contadini di un tempo, ma nuove figure che poco o nulla sapevano della vita in campagna. Il Corpo Forestale quindi suppliva alla mancanza delle generazioni precedenti nel trasmettere quelle norme comportamentali previste nelle PMPF. Ma l’approccio dei nuovi occupanti era diverso: non più dettato dalla saggezza dei tempi, dalla conoscenza delle condizioni ottimali per lo svolgere delle tradizionali attività, bensì vi era la frenesia del tutto e subito, dell’azione svolta tra il sabato e la domenica. Un’indagine del C.F.S. unitamente all’allora provincia di Genova (1985) aveva stabilito che gli incendi scoppiavano quasi sempre nei weekend e che i fuochi partivano in prossimità di perimetri di case di campagna. È stato chiaro che non vi era più la consapevolezza del danno che si causava con tali azioni.
Sono aumentati gli incendi e sono aumentate le sanzioni e certamente sono state colpite anche persone più attente. Però il problema incendi è diventato un problema nazionale e lo stato è corso ai ripari modificando le norme: se prima vigeva una distinzione tra fuoco ed incendio, valutando di volta involta le condizioni di accensione, propagazione e sviluppo, ora si considera incendio qualunque fuoco suscettibile di espandersi, con aumento dei casi di incendio doloso e aumento delle pene.
Data l’aumentata pericolosità dovuta agli incendi, per un periodo, la normativa regionale ha preso in considerazione il cosiddetto ‘fuoco prescritto’, ovvero l’abbruciamento controllato di piccole superfici boscate per evitare più gravi danni in caso di incendio dai caratteri disastrosi. Ma la Liguria, a questo proposito, si è dimostrata una regione dalla morfologia e dal clima non adatti a questa pratica, anche per l’alternarsi delle brezze di terra e di mare e i rilievi subito ripidi: la larghezza tra il crinale appenninico e la riviera è, in certi punti, (monte Zatta–golfo del Tigullio) veramente di pochi chilometri.
Il Corpo Forestale è stato istituito per difendere l’albero: dall’accetta, dai parassiti, dalla ruspa e dal fuoco. Ecco perché in Italia gli incendi boschivi erano di competenza del CFS. Quando, nel cuore della notte, un incendio interessava la cima di un monte, la Guardia Forestale correva sul posto a spegnerlo, cercando di circoscriverlo. Evitare che il fuoco mettesse a rischio infrastrutture, case ed altre costruzioni, era compito dei Vigili del Fuoco. La lotta più faticosa si combatteva poi a incendio spento, sempre nel fitto dei boschi o lungo i sentieri, per la sorveglianza e la bonifica. Questa attività nessuno la notava. A meno che non si fosse costretti a chiamare gli aerei, ma era l’ultima risorsa.
Il vincolo idrogeologico era competenza del Corpo Forestale il quale autorizzava la trasformazione del suolo prescrivendo opere per impedire il dissesto realizzava cantieri di sistemazione idraulico-forestale nelle parti alte dei bacini montani nella realizzazione di briglie ed altre opere poste a regimazione dei torrenti, per prevenire frane, tracimazioni e favorire un graduale rilascio delle precipitazioni verso valle. Anche in questo caso una briglia di poche centinaia o poche migliaia di euro è meno visibile di un muro di colmata costruito alle foci dei fiumi del costo di milioni di euro, senz’altro più appagante, anche politicamente. Nessuno vedeva la Guardia forestale all’opera salvo gli operai agricoli che venivano assunti allo scopo. L’altro ente che collaborava in questo esercizio era il Genio Civile, al quale competeva la realizzazione di briglie più alte di 9 metri mentre quelle di dimensioni inferiori erano progettate e realizzate dal Corpo Forestale.
Il vincolo era stato posto per porre un limite al millenario sfruttamento del suolo e per ricostituire quei monti spogliati dalle guerre, dal pascolo, dagli incendi, dalle epidemie. Così i cantieri forestali hanno rimboschito i rilievi della Fontanabuona (m. Mignano, m. Caucaso) della val d’Aveto (sopra S. Stefano, Lame, Penna) della valle Stura, Val di Vara, val Graveglia (Squazza, Temossi, Bocco, Zatta, Biscia) della val Petronio (m. Zenone, m. Alpe, m. Pu). La regimazione dei torrenti ha rallentato l’erosione non solo dei versanti liguri: basti pensare che, dove nasce l’Aveto, si ammira il mar Ligure, ma l’acqua che sgorga da quella sorgente arriva a Venezia. La delimitazione dei bacini montani non seguiva confini politici ma fisici. Le foreste demaniali erano sovra regionali.
Il trasferimento alle regioni (1977) delle competenze in materia di foreste e di vincolo idrogeologico, avrebbe dovuto comprendere anche il Corpo forestale, per proseguire a livello locale l’attività istituzionale iniziata 150 anni prima (1822) come la gestione delle Foreste Demaniali del Penna e delle Lame, che è stata divisa tra Liguria ed Emilia.
In Liguria si è risolto con una convenzione tra la regione e il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste. Quindi il CFS ha proseguito il suo servizio per conto sia dello stato che della regione. Nel frattempo si faceva strada la soluzione centralista di un corpo forestale destinato a forza di polizia e così è avvenuto nel 1981.
Come sopra ricordato, il CFS era costituito da ‘personale tecnico con funzioni di polizia’ e per l’accesso a tale Corpo veniva privilegiato lo studio agrario, poi completato con la frequenza alla scuola forestale di Cittaducale in provincia di Rieti e/o alle altre succursali, che si trovavano in realtà territoriali diverse. I funzionari invece dovevano avere una laurea in Scienze Forestali, Scienze Agrarie o Ingegneria civile. A partire dai primi anni 2000 i concorsi per l’assunzione nel CFS sono stati riservati ai militari volontari in ferma breve. Quindi iniziarono ad affluire nel corpo, non più persone motivate da passione specifica per la professione, che avevano frequentato scuole agrarie con il miraggio di essere assunti nel CFS, bensì persone con il pur onorevole intendimento di svolgere un’occupazione stabile, ma privi di quella motivazione intima che nutrivano molti giovani liguri, di rendersi utili al proprio territorio. Già all’inizio del secolo scorso le Guardie forestali venivano nominate dal Prefetto della provincia per l’occupazione nella stessa provincia e le promozioni avvenivano sempre con Decreto prefettizio. L’articolo 117 della nostra Costituzione aveva quindi ben visto che il servizio forestale era di giusta competenza regionale e transitando alle regioni queste si sarebbero trovate un’istituzione formata per la custodia e il servizio forestale nei boschi di competenza territoriale. La multidisciplinarietà della competenza forestale, avrebbe rappresentato il miglior sostegno alle attività agro-silvo-pastorali e la migliore garanzia a tutela dei boschi regionali. E sottolineo custodia dei boschi, non controllo repressivo.
Come è andata a finire è noto: la competenza acquisita nella difesa dei boschi dagli incendi, dalle frane, dalle malattie e la presenza insita nella civiltà rurale del nostro paese, è stata stracciata con la scomparsa del CFS e non è stata sostituita con un pari servizio a livello regionale che raccogliesse quella testimonianza che ne avrebbe assicurato la continuità.
Ma forse oggi non è più tempo per le attività di una volta. Con l’interruzione dei cantieri forestali, piano-piano sono stati abbandonati quei paesi che non offrivano più possibilità di sviluppo. Le campagne sono in gran parte abbandonate, la mancanza di figli non permette il proseguimento di quelle colture e allevamenti sulle orme dei padri, la divisione tra città e foresta (fuori sta) è ritornata ai tempi medievali dove nessuno sa cosa succede nei nostri boschi, se non che ci sono i lupi, gli orsi e le vipere. Chi una volta si rivolgeva alle Guardie forestali per sapere come tagliare, come bruciare, come pascolare ed evitare danno all’ambiente e sanzioni a chi si informa, quindi prevenzione, ora, dopo tre anni dalla soppressione del Corpo, ha capito che si deve arrangiare.
La legislazione forestale e montana è di così vasta portata e comporta così articolate interpretazioni che, la sua assenza a livello rurale, non rende appieno al vuoto che oggi vive. Ci vorranno anni per comprendere quale danno sta subendo l’ambiente italiano. Come scarne e semplificate sono le considerazioni sin qui espresse. Spero comunque che il mio intervento abbia contribuito a colmare alcuni degli aspetti accennati da Roberto Maggi.
BIBLIOGRAFIA
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- Cantelmo, Legislazione forestale e montana. Ed. nuove Dimensioni Roma 1983
- P.Fossa e S.Cabianca, Manuale della Gurdia forestale. Tipografia Petrongari Rieti 1909
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- Figone, I.Franceschini, A. Stagnaro, Museo Parma Gemma vent’anni di attività culturali e di ricerche MeCa Recco 2000
- Gabrielli, La situazione forestale in Italia dall’Unità ad oggi attraverso le vicende politico-amministrative. Edagricole Bologna 1994 Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Corpo Forestale dello Stato- Origini. Roma 2002
- Rapporto sullo stato delle foreste in Liguria 2010, Rapporto sullo stato delle foreste in Liguria 2013
- Statistica forestale – anni vari
(* Commissario Corpo Forestale dello Stato in congedo; Consigliere nazionale A.N.For.)