di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Nell’ultimo editoriale, il presidente Antonio Gozzi ha tracciato un profilo della dimensione economica e culturale dei centri storici, con una analisi sui ruoli, le missioni e i modelli di business per le attività in essi tradizionalmente operanti. Ritengo questo tema cruciale per costruire un futuro al nostro territorio, perciò tenterò di tornare su questa riflessione.
I centri storici sono naturalmente i cuori pulsanti di molte città italiane, solo raramente sono stati inghiottiti da un degrado così grave da porli in posizione marginale e al di fuori da possibili riutilizzi economici. La città di Chiavari e le altre comunità del Tigullio hanno storicamente saputo mantenere il valore di queste aree urbane, zone che da sempre sono riconosciute come rilevanti per la vita civile, le attività commerciali e di servizio.
L’affermazione urbanistica si è consolidata con provvedimenti di salvaguardia e mantenimento del patrimonio architettonico di queste aree, e gli strumenti di programmazione hanno garantito le necessarie protezioni. A fronte di ciò, è necessario rammentare le non facili battaglie condotte per valorizzare la qualità e la vivibilità di queste aree. La prima grande polemica venne sollevata nei primi anni Sessanta con l’introduzione dei sensi unici; la nostra memoria non rammenta quando il quadrilatero del centro poteva essere percorso in ogni modo e da qualsiasi mezzo. La norma passò dopo un interminabile scontro sulla stampa locale quando si iniziò a togliere il doppio senso di marcia in Carruggio.
Nei primi anni Ottanta iniziò la sperimentazione dell’isola pedonale: la sola proposta accese gli animi e con essi una lunghissima serie di diatribe: alcuni commercianti minacciarono la serrata. Infine, il buon senso prevalse e partì una laboriosa sperimentazione, con chiusure parziali e fasce orarie per garantire gli approvvigionamenti. Passeranno lunghi anni per giungere ad una prassi consolidata con il Centro Storico parzialmente chiuso. Ciò ci rammenta che il progetto non si concluse mai veramente.
Questo è il primo aspetto da analizzare per giungere a riproporre la chiusura di piazza Matteotti e dell’asse via Entella-Ravaschieri-Raggio.
La ripresa del dibattito deve avvenire alla luce delle nuove problematiche, in parte già sollevate da Gozzi, aggiungendo che l’uso pubblico degli spazi, specie dopo il Covid, deve essere normato e minuziosamente progettato.
Le nostre piazze devono garantire un uso operativo ai pubblici esercizi, ma senza l’evidente caos che oggi è facilmente verificabile: la qualità di queste aree richiede progetti, modelli, arredi che sappiano dare un’immagine compatibile col paraggio circostante. A questo riguardo faccio un solo un esempio: piazza Fenice e i Portici Neri. Basta passare e guardare la piazza per rendersi conto della necessità di una nuova complessiva valorizzazione, di una omogeneità culturale adeguata all’architettura circostante ed in linea con la sua dignità e bellezza.
Questa lettura degli spazi pubblici “riusati” deve valere per tutta la città: pensiamo alle attività culturali e alla possibilità di attrezzare tali aree per le più moderne esigenze; oppure vogliamo continuare a mettere a casaccio sedie e palchi, luci e amplificatori, il tutto senza una visione progettuale per ben destinare queste aree?
Sono i Portici Neri l’orizzonte della piazza, non l’orrendo guazzabuglio attuale.
Alcune zone potrebbero prevedere destinazioni stagionali; questo potrebbe valere ad esempio per Piazza del Bastione e per il Porticato di San Francesco. Zone di grande valore, con spazi particolarmente adatti all’uso culturale, ma attualmente sottoutilizzate, mai progettate, mai valorizzate.
In queste riflessioni sto affrontando il tema del valore culturale del centro storico e della sua naturale inclinazione a valorizzare tutto ciò che può essere bellezza. Di qui la necessità di programmare, di offrire eventi, di costruire programmi con temi e soggetti precisi.
In più occasioni sono tornato sul tema del Teatro Cantero e delle tante occasioni perse. Mi sento assolutamente obbligato a rammentare il problema anche in questa occasione, al quinto anno di chiusura.
Il discorso potrebbe continuare per molte pagine, ma non è qui la sede, vorrei concludere con un ultimo tema di grande interesse: Chiavari Città dei Portici. Credo che valga davvero la pena richiamare una caratteristica architettonica così rilevante, non possiamo accontentarci di un policromo cartello autostradale che annuncia il prossimo casello e la città dei portici. Negli anni Ottanta si è tenuto un convegno internazionale per i primi ottocento anni di Chiavari, mi pare che potremmo fare qualcosa di più di un cartello in autostrada!
(* storico e studioso di tradizioni locali)