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di MATTEO MUZIO *
La trasformazione del partito repubblicano americano nell’ultimo decennio è un tema sul quale torneranno i politologi del futuro. Una delle tappe di questa trasformazione ormai definitiva è stata il funerale di Charlie Kirk, con una sorta di fusione tra la destra Maga trumpiana e le chiese evangeliche conservatrici, quasi a creare una “nuova chiesa americana”.
Questo processo è avvenuto anche in molti stati che hanno visto allontanare la vecchia classe dirigente per sostituirla con una nuova trumpizzata. L’esempio più plastico di questa trasformazione è il Texas, dove la vecchia classe dirigente bushiana è stata man mano rimpiazzata da nuovi fedeli ed estremisti seguaci del Verbo trumpiano. L’ultimo a resistere è il senatore John Cornyn, che rischia di essere rimpiazzato alle primarie dal procuratore generale Ken Paxton. In uno stato però una nuova generazione di leader cerca di sopravvivere con un certo successo a questa ondata, favorita anche dalla tradizione religiosa estranea al mondo degli evangelici.
Stiamo parlando dello Utah, dove lo stesso Kirk è stato assassinato lo scorso 10 settembre e dove il governatore Spencer Cox è sembrato provenire da un’altra epoca politica. Da quella in cui John McCain si congratulava con l’avversario Barack Obama dopo essere stato da lui duramente sconfitto. Oppure da quella dove lo stesso Obama, fresco di rielezione nel 2012, si assicurava di consultare il parere del rivale repubblicano Mitt Romney. Uno spirito bipartisan che si è liquefatto nel decennio trumpiano, nonostante i tentativi fatti da parte dell’amministrazione Biden intorno a grandi progetti legislativi sul rinnovo della rete stradale e ferroviaria o sul controllo delle armi. Con l’attuale presidente la polarizzazione ha reso nemici gli avversari e ha trasformato l’animosità in odio.
Nel remoto stato delle Montagne Rocciose, invece, tutto ciò non è successo. O meglio, non ha prevalso: perché è vero che Cox ha fatto una carriera politica a partire dal 2020 tutta incentrata sul rispetto dell’avversario e sulle posizioni moderate, che ha calcato dichiarando di aver votato scheda bianca alle presidenziali del 2016 e del 2020. Ma qualche esponente trumpiano c’è, come il senatore trumpiano Mike Lee, noto per l’affermazione controversa sul fatto che gli Stati Uniti sarebbero una “repubblica” e non una democrazia, frase che da molti è stata vista come una strizzata d’occhio all’autoritarismo.
Cox, già noto per aver fondato la noprofit “Builders”, dedicata alla costruzione di coalizioni bipartisan in giro per l’America, in questi ultimi giorni ha voluto marcare la distanza da Washington del suo piccolo stato, che le statistiche ci dicono essere uno dei più tranquilli d’America e dove la violenza politica non entra. C’è da dire che il Partito Repubblicano dello Utah però è già più vicino alle posizioni di Trump: di fatto ha quasi sempre sconfessato l’operato di Mitt Romney, senatore dal 2018 al 2024, noto per essere un forte critico del trumpismo. E anche nel caso di Cox ha spesso approvato mozioni di censura per la sua lontananza dal tono divisivo prevalente nel partito nazionale. La base dello Utah però è dalla parte del governatore e anche lo scorso anno, dopo Romney, hanno votato per un altro esponente moderato come John Curtis. Quindi, ciò che emerge, è una divaricazione tra l’opinione pubblica, che rimane conservatrice, e una militanza che invece è radicalizzata e appiattita sulle posizioni del presidente. Al momento lo spirito indipendente dello stato tiene. Si vedrà se reggerà ad altri assalti come quelli di questi anni, specie dopo l’omicidio Kirk.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)