Come scritto a suo tempo su queste pagine, il cosiddetto ‘Decreto Dignità’ (primo e finora quasi unico provvedimento legislativo di una certa entità del governo Conte) perseguiva un fine di per sé condivisibile, e cioè la ricerca di stabilizzazione del rapporto di lavoro, con strumenti e metodi completamente sbagliati, in particolare la stretta sui contratti a tempo determinato al fine di trasformarli progressivamente in contratti a tempo indeterminato.
Come sempre avviene nei sistemi economici aperti e di mercato, la pretesa di creare posti di lavoro per legge, tipica dei regimi totalitari, non funziona e anzi rischia di trasformarsi in un boomerang tremendo.
I dati appena pubblicati dal Ministero del Lavoro sembrano confermare questo assunto, mostrando che i primi effetti della riforma sull’occupazione sono disastrosi.
Infatti nel mese di agosto 2018 si è registrato un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente di 40mila posti di lavoro sotto le tre voci ‘nuovi contratti’, ‘assunzioni a termine’ ed ‘assunti con contratti di somministrazione’. I dati di settembre non sono disponibili, ma le prime indicazioni che filtrano dal Ministero sembrano confermare il trend negativo.
Lo si era facilmente previsto: in un momento in cui la congiuntura economica rallenta, denso di incognite sul futuro del Paese (crescita dello spread, scontro con l’Europa sulla legge di bilancio, attacchi a Mario Draghi da parte di Di Maio ecc.) la fiducia degli imprenditori cala, e nessuno ha voglia di appesantire la struttura dei costi aziendali con nuovi contratti a tempo indeterminato.
In altre parole, di fronte all’irrigidimento e ai paletti messi dal governo al rinnovo dei contratti a termine oltre i 12 mesi, la maggior parte delle imprese ha preferito lasciare a casa il lavoratore piuttosto che assumerlo a tempo indeterminato.
È lecito domandarsi che ne è stato dei 40mila lavoratori che hanno perso il posto grazie ai perversi effetti del ‘Decreto Dignità’. Probabilmente si sono trasformati in lavoratori irregolari in nero o in partite Iva, e cioè in lavoratori che nella gran parte dei casi continuano a lavorare per le stesse imprese ma assai più precarizzati di quanto non avvenisse con il precedente contratto a tempo determinato.
Esattamente il contrario, cioè, di quanto il governo si proponeva di ottenere con il ‘Decreto Dignità’.
Vedremo cosa succederà nei prossimi mesi. Per ora sembrano avverarsi le peggiori previsioni che avevano indotto tutte le organizzazioni dei datori di lavoro (non solo Confindustria, ma anche Confcommercio, Confartigianato, CNA, Confesercenti, Confagricoltura ecc.) a schierarsi violentemente contro il decreto chiedendone profonde modifiche che però, purtroppo, non ci sono state, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.