di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO
A Chiavari sono le 22,45 del 25 luglio 1943. Quando si diffonde la notizia delle dimissioni di Mussolini e della caduta del fascismo, giunge in Comune un telegramma dalla Prefettura genovese, girano volantini inneggianti a Badoglio, un gruppo di ‘facinorosi’ assalta Casa Littoria, dalle finestre volano oggetti, si preparano dei manifesti che vengono affissi, piazza delle Carrozze è segnata da un cartello ‘provocatore’, come dichiarerà il commissario Giuseppe Cosenza: piazza Giacomo Matteotti.
Nei giorni seguenti, esce ‘La Sveglia’ e Don Sabatini scriverà parole che non si leggevano dai tempi di Nicola Arata: “Senza fermarci a pronunciare giudizi sul passato, ormai inesorabilmente giudicato dalla storia di queste giornate in cui un popolo intero ha salutato la sua riconquistata libertà”.
Non sarà così, il cammino è ancora lungo, difficile e segnato da drammi immensi. Da quel giorno piazza Carlo Alberto (l’attuale Mazzini) è presidiata da un gruppo di militari.
Al comando si articolano diversi ufficiali della caserma di Caperana: tra loro Aldo Gastaldi (nella foto a destra) e il sottotenente Frangipane. Il tempo corre veloce e ci porta alla testimonianza di Walter Morandini, uno scritto che ripercorre le ore precedenti l’8 settembre del 1943: “Erano le 17 del 7 settembre, quando Gastaldi ricevette l’ordine di assumere il comando del drappello di servizio (in piazza Mazzini). Giunse l’alba dell’8 settembre. Io smontai alle 6 del mattino e stavo per andare a riposare, quando scorsi Aldo intento a leggere un giornale. Arrivarono le 16,30, rapida come un baleno la notizia dell’armistizio. Aldo aspettava ordini dal comando, ma questi non giungono”.
Erano già le 10,30 del 9 settembre e sotto un’apparente calma furono raggiunti da due militari dalla caserma di Caperana: “Quei due si meravigliarono nel vederci ancora armati, ci dissero che loro erano stati disarmati dai tedeschi giunti a occupare la caserma e non avrebbero tardato a presentarsi al presidio”.
Qui avviene un fatto determinante, una scelta che contaminerà molti giovani italiani: Aldo Gastaldi occulta le armi del presidio, il materiale bellico è nascosto dietro le case di piazza Fenice.
Lo sbandamento è generale, si profilano momenti difficili, il sottotenente Frangipane viene arrestato dai tedeschi e deportato; Aldo Gastaldi ha ormai maturato un’idea, una scelta difficile, simile ai militari italiani che si ribellavano ai tedeschi: “Il pensiero di Aldo era di unirsi con loro”.
Gli avvenimenti successivi ci portano alle tante riunioni clandestine, a scelte e momenti organizzativi determinanti per la nascita della Cichero, in cui Aldo Gastaldi diventerà Bisagno: quelle armi nascoste consacrano la scelta giusta, la possibilità di combattere nella Resistenza e liberare l’Italia dal fascismo.
La riunione di Lavagna, al numero 5 di via Natale Paggi, diventa rilevante per i prossimi sviluppi. Qui infatti risiedeva il geometra Giovanni Missale, uno dei tanti figli d’emigranti: era nato a Santa Fé (Argentina) il 19 dicembre 1911. In quella zona, nell’area del Porto di Rio Salado, era presente una numerosa colonia tigullina tra i quali i genitori di Giovanni, che rientra giovanissimo a Lavagna.
Dopo l’8 settembre, l’ufficiale Giovanni Missale è uno dei tanti che ritorna alla propria residenza e qui s’inserisce il contatto con i primi gruppi della Resistenza. Il 15 ottobre si tiene la riunione del Monte Antola, uno dei primi incontri operativi dei gruppi partigiani, alla quale partecipano Franco Antolini ‘Furlini’ e G.B. Canepa ‘Marzo’, da poco rientrato dalla Francia. ‘Furlini’, Giovanni Serbandini ‘Bini’, Umberto Lazagna ‘Canevari’ e Aldo Gastaldi ‘Bisagno’ s’incontrano in casa di Missale in via Natale Paggi.

In questa riunione si fa il punto della situazione e si valutano le condizioni per individuare la località più opportuna per instaurare la base partigiana. Erano già stati fatti sopralluoghi, in Fontanabuona e nelle zone attigue all’Antola, per verificare il territorio e la viabilità. Questi punti denotano la volontà di un salto di qualità, a seguito delle prime e spontanee scelte effettuate dopo l’8 settembre.
La località che meglio si prestava per tale progetto fu individuata sul Monte Ramaceto, nel territorio di Cichero. La morfologia del territorio, le buone informazioni circa la disponibilità delle popolazioni locali fecero decidere per Gnorecco di Cichero; qui era il Casone di proprietà di Giovanni Battista Raggio detto ‘Stecca’, un contadino calzolaio che mise a disposizione la base operativa per le azioni della Cichero. La base è raggiunta da due distinti gruppi: uno che muove da Rapallo con a capo ‘Bisagno’ e l’altro da Lavagna, guidato da ‘Bini’. Dopo pochi giorni si sposta a Gnorecco il gruppo di ‘Marzo’ che da giorni era di stanza a Favale di Malvaro.
Si completa così la prima ‘manovra’ della Cichero, con a capo ‘Bisagno’ e commissario politico ‘Bini’, la formazione che risulterà determinante per le sorti della Resistenza nella VI Zona operativa.