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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

I cento anni del Panificio Pasticceria Viarengo e quei grissini sempre eccezionali

Il racconto di Gianpietro Viarengo, dirigente di azienda farmaceutica in pensione, fratello dello storico Giorgio ‘Getto’ Viarengo, che segue per conto della famiglia le sorti del locale rapallese
Il Panificio Pasticceria Viarengo che si trova in centro a Rapallo
Il Panificio Pasticceria Viarengo che si trova in centro a Rapallo
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di DANILO SANGUINETI

Storia di un grissino. Niente appare più banale che raccontare un prodotto di forno così normale, così scontato, così cheap come dicono certi estenuati cultori delle cucine non allogene. E invece no. 

Seguendo il cammino nel tempo e nello spazio, cammino insospettabilmente lungo e movimentato, di questo particolare ed italianissimo tipo di pane ci si può imbattere in un racconto paradigmatico che attraversa e contribuisce a spiegare sette generazioni di italiani. 

Per conoscere le vicende del Panificio Pasticceria Viarengo, che aprì battenti quasi cento anni fa (il 5 agosto 1925 per la precisione) e che oggi – dovendo adeguarsi all’imperante gusto globalista – continua a operare sotto l’insegna “Mondo Pane”, basta affidarsi ad un cicerone che per erudizione e senso del racconto meriterebbe la “C” maiuscola: Gianpietro Viarengo, dirigente di azienda farmaceutica in pensione, fratello del rinomato storico Giorgio ‘Getto’ Viarengo, che segue per conto della famiglia le sorti del locale rapallese.

“Il panificio è nato esattamente nel posto dove ancora oggi, ogni giorno, apre i battenti: in un angolo di via Venezia con via Magenta, in quello che allora era il numero civico 9 ed oggi è il numero 57. Sono cambiati gli accessi. Allora aveva due porte, da una uscivano i prodotti appena sfornati e percorrendo un breve tragitto approdavano sul bancone. Oggi, giustamente rivedute le regole igieniche, tutto avviene all’interno delle aree di lavoro ristrutturate ad hoc”. Altri cambiamenti ci sono stati rispetto al 1925 ma mai traumatici. “Beh nel tempo sull’insegna abbiamo aggiunto Pasticceria e poi da quando abbiamo dato in gestione l’azienda ai bravissimi Sewilam Hany e Mady Baraka non c’è più la dicitura Panificio Pasticceria Piero Viarengo ma Mondo Pane. La cosa che conta è la intatta qualità della offerta”.

Bene gli epigoni, ma quando si parla di un compleanno secolare è giusto concentrarsi sul fondatore. “Pietro Viarengo era mio nonno. Mio padre si chiamava Piero. Io sono Gianpietro, in onore del nonno. Ero il primogenito, credo che mi toccasse (ride N.d.r.). E tutta la storia di famiglia ruota attorno a quel forno e quel negozio. Una storia che inizia ad Asti dove mio nonno nacque nel 1878″.

Ascoltando il dottor Viarengo (è laureato in Biologia) si intuisce che le capacità affabulatorie siano qualità di famiglia, ereditate anche dal fratello mediano, ‘Getto’, e dal minore, Roberto. “Il cognome Viarengo rivela la nostra origine astigiana. Il nonno dovette emigrare perché voleva diventare maestro panificatore e quindi partì molto giovane per Torino, sede di grandi panificatori. Lui si era già fatto una certa fama specializzandosi in un particolare tipo di pane. Era un grissinaio, maestro nello sfornare fragranti grissini. Tenete presente che stiamo parlando di fine del diciannovesimo secolo, si faceva tutto a mano. E ricavare dalla pasta preparata un giusto numero di bastoncini friabili era un’operazione che richiedeva una perizia manuale non comune”.

Il grissino era stato “ideato” nel 1700 proprio a Torino. La leggenda narra che fu creato dal fornaio reale Antonio Brunero su richiesta del medico di corte. Il giovane duca Vittorio Amedeo II di Savoia era affetto da problemi di salute che gli impedivano di digerire il pane comune, morbido e umido. Brunero ideò quindi una versione più sottile, croccante e facile da digerire del classico pane piemontese, la “gherssa.” Da questa invenzione nacque il grissino, il cui nome deriva proprio da “ghersa,” parola piemontese che può significare pane.

Il grissino era prodotto a mano e aveva forme irregolari. La loro consistenza croccante e la lunga durata li rendevano particolarmente adatti al trasporto, un elemento cruciale in un’epoca priva di moderni sistemi di conservazione.

Si racconta che Napoleone, affascinato dai grissini durante il suo passaggio in Italia, ne richiedesse regolarmente la spedizione a Parigi. Questo “pan long” (come lo chiamavano i francesi) divenne così popolare anche a corte e contribuì a far conoscere il grissino in tutta Europa.

Un pane versatile ma per niente facile da…costruire. “Mio nonno era bravissimo a prendere l’esatta quantità di pasta, metterla sul braccio, allungarla quanto serviva e da lì trarne 11 grissini: badate bene, dovevano essere 11, non 10, non 12. Era una questione di bilanciamento e di sensibilità”.

Pietro diventa un mastro grissinaio richiestissimo dai principali forni della città sabauda. Mette su famiglia, nasce il figlio Pietro, ma a 47 anni deve lasciare Torino. Il perché non viene subito spiegato dal dottor Viarengo. Che invece parla di Rapallo. La terra di approdo della famiglia. “Comprò i locali in via Venezia, aprì il negozio ed ebbe subito fortuna. Aveva 47 anni e tutta la famiglia era impegnata nella ditta. Gli affari prosperarono, nonno poté comprare anche i vani sovrastanti il negozio, la nostra casa. Passò la Guerra, Rapallo conobbe un secondo boom turistico e il Pastificio diventato nel frattempo anche Pasticceria divenne un punto fermo del tessuto economico cittadino. Io sono cresciuto lì dentro, come i miei fratelli. Ma mio padre, mancato a 70 anni, e mio nonno, arrivato a 92 anni (era una quercia), vollero che la terza generazione studiasse, conoscesse il mondo. Un po’ di tempo fa abbiamo deciso di dare in gestione il forno. Negli anni ci hanno lavorato sette famiglie, c’erano oltre papà e nonno, anche gli zii, una commessa, un assistente fornaio e il “portapane” che consegnava ovunque in città e nei dintorni i nostri prodotti usando una biciclettona nera”. Il racconto sblocca un ricordo. Lo spot di una nota marca italiana di grissini girato da P.P. Pasolini con Ninetto Davoli, un “carosello” che fece epoca. 

Il dottor Viarengo concorda. “Era proprio così ma credo che solo chi ha una certa età possa rammentarlo. Tutto cambia in fretta, oggi i Viarengo della generazione successiva alla mia vogliono fare altro. E forse è giusto così”. A proposito di giustizia, è giunta l’ora che ci sveli il perché della venuta in Liguria della famiglia. “Mio nonno era socialista. E negli anni Venti dello scorso secolo questo divenne in fretta un problema. Venne via subito dopo il delitto Matteotti, quando il signor Mussolini con il famoso discorso del 3 gennaio 1925 in pratica diede il via alla dittatura. Pietro Viarengo era un uomo di sani principi e di sicura fede. Gli dissero che se voleva continuare a lavorare doveva prendere la tessera del partito fascista. Non cedette, decise solo che avrebbe provato a cambiare aria, a sfuggire alla sorveglianza (già avviata) nei suoi confronti da parte della polizia. In Liguria, in una città tranquilla e in un certo senso appartata come Rapallo pensò, ed aveva ragione, che avrebbe dato meno nell’occhio”. La sbornia del regime durò venti anni ma alla fine passò. Ma Pietro non dimenticò mai le angherie subite. “Volle che noi studiassimo perché diceva che per difendersi bisogna sapere. Gli ignoranti si fanno turlupinare molto più facilmente”. 

Una piccola storia. Ma che rivela come ci sia stata una resistenza prima della Resistenza. Perché la Storia non è fatta solo dai “grandi” eventi. La vicenda di questo panificio avrebbe fatto la felicità del grande storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, uno dei padri della corrente della Microstoria nella scuola degli Annales che invita a guardare oltre le narrazioni ufficiali e a valorizzare la dimensione intima e quotidiana dell’esperienza umana. Le piccole storie individuali e le pratiche quotidiane possano illuminare, in modo sorprendente, le grandi trasformazioni storiche.

Come detto un po’ sbrigativamente dal “principe” De Gregori (“La Storia siamo noi, nessuno si senta escluso”) anche seguire il percorso di un grissino serve a “risalir per gli rami”.

Teniamoci stretta la novella di una famiglia di lavoratori consapevoli, di artigiani orgogliosi del loro mestiere, che inseguivano un futuro migliore per i loro figli. Il grissino di nonno Viarengo era leggero e friabile ma alla resa dei conti seppe frantumare la sicumera di certi personaggi che di granitico avevano solo il comprendonio.

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