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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

Grandi opere, economia, decrescita felice

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Le prime vere grane per il governo M5S-Lega stanno arrivando, e riguardano tutte, guarda caso, importanti temi economici.
Passa il cosiddetto ‘Decreto dignità’, e al di là della facciata consenziente, per la Lega è un vero mal di pancia. Contro di esso si schierano tutte le organizzazioni dei datori di lavoro (non solo Confindustria, ma anche Confcommercio, Confartigianato, CNA, Confesercenti, Confagricoltura ecc) e in particolare tutte le associazioni industriali del Nord (tradizionale bacino elettorale leghista) a partire da quella lombarda e veneta che si incazzano duramente contro Salvini quando rispetto alle affollatissime assemblee di piccoli e medi imprenditori che protestano non trova di meglio da dire che “…si tratta di pochi imprenditori politicizzati”.

Sta scoppiando la grana delle grandi opere: TAV, TAP, Pedemontana Lombarda, e per la nostra Liguria Terzo Valico e Gronda. I 5S di fatto le contestano radicalmente definendole inutili, troppo costose e dannose. La Lega al contrario sembra sostenerle, e Salvini con un’alzata di spalle liquida la questione con un  “… nel contratto si dice che bisogna fare un’analisi costi-benefici per ciascuna di esse… la faremo e poi le opere si faranno”.

Il piccolo problema è che per queste grandi opere, tutte o quasi in corso di realizzazione, con tantissimi miliardi già spesi, le analisi costi-benefici sono già state fatte più volte (altrimenti l’UE non le avrebbe finanziate in misura consistente), ma il nuovo ministro pentastellato Toninelli vuole rifarle costituendo commissioni piene di esperti ‘contro’. Per questo sulla TAV il governatore del Piemonte Chiamparino non si fida e chiede una nuova analisi, veramente indipendente, alle due più prestigiose università milanesi, Bocconi e Politecnico.

Finita l’estate arriverà l’autunno e con esso l’inesorabile momento delle scelte dettate dall’agenda economica, a partire dalla legge di Bilancio, e dall’imperativa necessità di non provocare dissesti finanziari che sarebbero letali per il Paese (e intanto lo spread nei 70 giorni di governo M5S-Lega è già raddoppiato: siamo intorno ai 255/260 punti, che significano un aggravio annuale sul bilancio dello Stato di circa 6 miliardi di servizio del debito in conto interessi).

Ciò che colpisce è che la Lega non sia preoccupata dell’affermarsi, su tutti i grandi temi dell’economia, dalle grandi opere all’Ilva, dal reddito di cittadinanza all’energia, di una concezione fondamentalmente ispirata ad un’ideologia della decrescita (felice o meno) anticapitalistica e anti-impresa.
Emerge con tutta evidenza come tra i partner di governo non vi sia un’idea comune dello sviluppo del Paese e di come dovrà essere l’Italia del 2023.
Questo lo si poteva desumere già dal cosiddetto ‘contratto di governo’, all’interno del quale la parola industria non compare neppure una volta. Così come mai è stata citata nei due discorsi programmatici del premier Conte alla Camera e al Senato.
Circola la voce che l’impostazione del contratto di governo sia che in esso vengano citati solo gli argomenti sui quali i partner sono d’accordo, e che si sia omesso di parlare dei temi sui quali l’accordo non si è trovato.

La prospettiva che Lega e M5S non siano d’accordo sull’industria e sulla visione di essa per il futuro dell’Italia è inquietante, perché il nostro Paese è il secondo paese industriale d’Europa dopo la Germania e gran parte dei 450 miliardi l’anno di esportazioni che tengono in equilibrio la nostra bilancia dei pagamenti proviene dall’industria manifatturiera.

C’è un legame molto forte tra industria e grandi opere. La grande trasformazione del nostro apparato produttivo avvenuta negli ultimi 20 anni include un altissimo coefficiente di mobilità e di logistica da cui dipende sempre di più la competitività delle merci prodotte in Italia. E qui il caso ligure è emblematico.
Il terzo valico ferroviario che leva merci al trasporto su gomma e lo mette su rotaia (non è un bene ciò?) risulta determinante per il porto di Genova, il primo porto d’Italia, la cui competitività è insidiata dai porti del Nord Europa soprattutto grazie a una logistica a monte dei porti stessi estremamente più efficiente di quella a monte dello scalo ligure.
Fermare l’opera del terzo valico sarebbe demenziale, tenuto conto del fatto che buona parte dell’opera è già stata realizzata con un investimento che ad oggi supera già i 2 miliardi di euro.
Il tema della Gronda è diverso perché di quest’opera, dopo anni di colpevoli ritardi da parte dei governi di centrosinistra di Genova e della Regione Liguria, si è arrivati soltanto al tracciato condiviso.
I 5S dicono che non serve a niente e che quindi non si farà.
Ha ragione il governatore Toti quando dice che vuole condurre il ministro delle infrastrutture Toninelli a fare un giro sugli svincoli e sui tratti urbani dell’autostrada genovese perché si renda conto della situazione drammatica che vi si vive tutti i giorni: ore di code, incidenti continui, esasperazione delle decine di migliaia di pendolari che ogni giorno, non potendone fare a meno, sono obbligati a prendere l’autostrada per raggiungere il luogo di lavoro. Andate a parlare a questi di ‘decrescita felice’: vi prenderanno a calci in culo.

Salvini svegliati! Quando la stagione dei barconi sarà terminata grazie al mare grosso invernale, bisognerà occuparsi dei problemi dell’economia, che non è cosa da ricchi, ma problema di tutti.

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