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Giovedì 11 dicembre 2025 - Numero 404

Gozzi: “La siderurgia italiana non è in crisi. Per l’ex Ilva serve creare condizioni abilitanti affinché un privato possa investire”

Il presidente di Federacciai e nostro editore: “Lo Stato può accompagnare dei privati, in un eventuale processo di passaggio di proprietà e di decarbonizzazione degli impianti. Quello che non può fare lo Stato è sostituirsi completamente ai privati”
L'ex Ilva è al centro di una complicata vertenza relativa al futuro dell'azienda
L'ex Ilva è al centro di una complicata vertenza relativa al futuro dell'azienda
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di ALBERTO BRUZZONE

“Non c’è nessuna crisi della siderurgia italiana, e lo dicono i numeri. Per quanto riguarda l’ex Ilva di Taranto, non vedo le condizioni abilitanti che possano consentire a un privato di investire oggi”. La settimana dopo le durissime proteste da parte dei lavoratori dello stabilimento di Cornigliano, che hanno portato al blocco dell’autostrada, al blocco del traffico ferroviario e a una situazione di altissima tensione con le forze dell’ordine di fronte alla Prefettura di Genova, a fare le sue riflessioni sullo stato della siderurgia italiana è il nostro editore, presidente di Federacciai e amministratore delegato di DufercoAntonio Gozzi che, riprendendo un articolo di stampa uscito domenica, precisa: “Non esiste alcuna crisi del settore siderurgico in Italia e chi lo sostiene si sbaglia. Nel nostro paese si producono ventuno milioni di tonnellate di acciaio all’anno. A Taranto, presso l’ex Ilva, se ne producono meno di due milioni. Tutto il resto proviene dalla elettrosiderurgia del Nord Italia, che è campione del mondo per quanto riguarda la transizione ecologica. Siamo i primi al mondo per la produzione di green steel, ovvero l’acciaio prodotto da forni elettrici e senza l’impiego di combustibili fossili”. 

Nel mondo il 70% dell’acciaio viene prodotto da altoforni che usano carbone e il 30% da forni elettrici. In Europa, il rapporto è 60% altoforni a carbone e 40% forno elettrico. In Italia i numeri si invertono: “L’85% dell’acciaio italiano è prodotto da forni elettrici – prosegue Gozzi – e solo il 15% dall’altoforno. Quindi, non è assolutamente vero che la siderurgia privata è in crisi. È un settore ciclico e, come tutti i settori ciclici, segue una congiuntura economica. Questo non è un momento florido, ce ne sono stati di migliori, certo. Ma stiamo parlando di aziende private che sono tutte molto patrimonializzate, che fanno investimenti senza chiedere nulla allo Stato, che hanno investito tre miliardi di euro negli ultimi tre anni e che puntano tutte a traguardare l’obiettivo dell’acciaio pienamente green”. 

Detto questo, Gozzi si concentra sull’ex Ilva. Le proteste degli operai di Cornigliano (come anche di Taranto e di Novi Ligure) sono state viste da tutti e hanno avuto una ribalta nazionale. Il ministro Urso ha convocato i vertici regionali e comunali, sia liguri che piemontesi e pugliesi, per due volte nel giro di otto giorni. Alla fine l’allarme è in parte rientrato ma, secondo Gozzi, “il fatto che nessun operatore siderurgico né italiano né straniero abbia presentato un’offerta per Taranto, significa che mancano le condizioni abilitanti affinché un privato possa investire senza perdere decine di milioni di euro ogni mese. Ho espresso questo concetto all’ultima assemblea di Federacciai e lo ribadisco. Perché un privato non trova le condizioni abilitanti? Lo spiego punto per punto. Anzitutto, i tarantini devono farsi delle domande: vogliono o non vogliono questi impianti nella loro città? Perché se li vogliono, devono consentire che si lavori. E bisogna saper cogliere l’enorme differenza che c’è tra ambientalizzazione e decarbonizzazione: l’ambientalizzazione è il riuscire a risolvere il problema dell’inquinamento creato dalla cokeria e dal sinter, e su questo Taranto è molto avanti, anzi direi che è l’impianto più ambientalizzato del mondo, grazie a una serie di investimenti che sono stati realizzati dall’amministrazione straordinaria; quanto alla decarbonizzazione, che è la riduzione delle emissioni di CO2, questo è un tema generale legato al riscaldamento globale, che certamente non dipende solo dall’Ilva di Taranto”. 

Gozzi si domanda: “Secondo aspetto: è possibile che qualche privato voglia investire dal momento che gli impianti sono sequestrati da dodici anni? Terzo: se si intende produrre l’acciaio con il processo Dri, occorre avere un prezzo del gas che sia competitivo; parimenti, se si intende produrre l’acciaio con il forno elettrico, bisogna avere un prezzo dell’energia elettrica competitivo. Quarto e quinto punto: andranno fatte delle bonifiche e occorrerà pensare a degli esuberi. Se si vuole salvare Taranto, questa sarà molto ridimensionata. Per questo Genova rischia di avere molta meno produzione da verticalizzare. Ed ecco il tema: come alimentare un impianto di zincato e di banda stagnata. È stato detto che a Genova non basta lavorare per l’ex Ilva, che bisogna avere altri partner, e mi sembra una posizione probabile e ragionevole”. 

Anche nelle scorse ore, gli amministratori locali hanno nuovamente invocato un processo di nazionalizzazione: “Ma – osserva Gozzi – lo Stato può accompagnare dei privati, in un eventuale processo di passaggio di proprietà e di decarbonizzazione degli impianti. Quello che non può fare lo Stato è sostituirsi completamente ai privati, perché poi non ci sarebbe chi è in grado di gestire questo tipo di impresa”. 

Ieri, in audizione alla Commissione Industria del Senato, Gozzi ha ribadito il suo pensiero: “Abbiamo più volte detto al ministro Urso che lo sforzo che secondo noi va fatto per cercare di salvare ‘in articulo mortis’ l’Ilva – perché la situazione è drammatica dal punto di vista industriale, nonostante gli sforzi dei commissari che hanno cercato di ridare un minimo di ordine manageriale all’azienda e di fare manutenzioni che consentano di farla funzionare – è quello di ricostruire delle condizioni abilitanti che oggi non esistono. È necessario fare un serio ragionamento sui fondamentali economici che consentano di non perdere decine di milioni al mese”.

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