di ANTONIO GOZZI
I giovani devono sapere che nell’Italia democratica del secolo scorso ci fu una tradizione di grandi sindaci socialisti che governarono città importanti e che quasi sempre furano apprezzati per la loro capacità amministrativa ma anche per la loro vicinanza alla gente.
Carlo Tognoli, sindaco di Milano, fu certamente uno di questi. Ma voglio iniziare questo mio ricordo partendo da un altro socialista, Fulvio Cerofolini, che fu sindaco di Genova dal 1975 al 1985. Cerofolini un giorno alla fine degli anni ’70 convocò presso il suo ufficio a Palazzo Tursi un gruppo di suoi giovani compagni seguaci di Riccardo Lombardi, uno dei grandi leader del Psi del dopoguerra. Noi ci presentammo puntuali, ma lui era in grave ritardo. La segretaria ci disse, scusandosi, che era stato trattenuto a Molassana da un gruppo di pensionati che avevano voluto conoscerlo dopo l’inaugurazione dei nuovi servizi igienici all’interno di un giardinetto della delegazione.
Quando finalmente Cerofolini ci raggiunse qualcuno di noi borbottò : “…ma come, ci convochi per una riunione importantissima e poi perdi tempo a inaugurare un cesso pubblico?…”.
Il Sindaco andò su tutte le furie, ci disse che non capivamo un c…o, che quell’incontro a Molassana con dei pensionati prostatici era stato importantissimo perché, con ogni probabilità, quegli uomini mai avrebbero più avuto l’occasione di incontrare il sindaco di Genova e di stringergli la mano. Chiuse la sua arringa dicendoci in genovese “…figgieu ricurdeive, u scindacu u l’è insemme guvernu e populu”.
Aveva ragione, e in maniera semplice e diretta ci aveva fatto comprendere l’idea che i socialisti avevano della sindacatura.
Ho ripensato a quell’episodio e a quell’insegnamento quando ho appreso con dolore della scomparsa di Carlo Tognoli, sindaco di Milano dal 1975 al 1985, lo stesso periodo in cui Cerofolini era stato sindaco a Genova.
Nessuno come Carlo Tognoli ha incarnato in maniera alta questa idea del socialismo riformista che i sindaci devono essere al tempo stesso ‘governo e popolo’: avere contemporaneamente la capacità di guidare e governare i cambiamenti di una grande città come Milano, ma farlo sempre rimanendo in mezzo alla gente per capirne le esigenze, le aspirazioni e le paure.
Quegli anni furono difficilissimi per la storia d’Italia e di Milano. Tognoli dovette fronteggiare contemporaneamente due fenomeni parzialmente intrecciati fra loro: il terrorismo e la crisi economica.
I giovani di oggi possono più o meno capire cosa significa la crisi economica, perché per molti versi l’Italia la conosce anche oggi: aziende in crisi, perdita di posti di lavoro, disoccupazione giovanile, emigrazione e povertà. Ma è difficile spiegare loro la follia del terrorismo. Molti uscivano di casa alla mattina per andare al lavoro e temevano di essere uccisi o gambizzati da persone che con questa violenza senza senso pensavano di fare la rivoluzione “contro lo stato imperialista delle multinazionali”.
Milano, come Genova, era al centro di questa carneficina e Tognoli l’aveva drammaticamente capito quando il 28 maggio del 1980 un gruppo di criminali politici aveva trucidato in centro a Milano il suo amico fraterno Walter Tobagi, giornalista del ‘Corriere della Sera’.
Eppure nonostante il dolore, nonostante il pericolo di quella follia cieca, Tognoli era riuscito a governare Milano pensando al futuro, facendolo con intelligenza, pacatezza e senza spirito di parte, cercando di tenere unite la città, le sue istituzioni e la comunità.
Tognoli interpretò in quegli anni lo spirito straordinario per il quale amiamo Milano: pensare in grande, pensare al futuro e alla modernizzazione, attuare pragmaticamente i programmi ma favorire al contempo uno sviluppo inclusivo e solidale. Sostenne anche una grande battaglia culturale contro i conservatori di sinistra, che rifiutavano di abbandonare il modello delle fabbriche e dell’industrializzazione alla Sesto San Giovanni, e storcevano il naso quando i socialisti parlavano di Milano come città internazionale, del terziario avanzato, delle grandi infrastrutture viarie e trasportistiche.
Applicando alla lettera un bellissimo slogan del Psi di allora, ‘Governare il cambiamento’, Tognoli, che in quegli anni gestì decine e decine di crisi aziendali provocate dalla fine di un’era economica del Paese, aveva capito che bisognava accompagnare con gradualità la trasformazione della città dall’essere, come Torino e Genova, una capitale delle fabbriche al divenire una metropoli internazionale, dove gli assi strategici sarebbero diventati i servizi alla produzione, tutte le attività immateriali, le grandi infrastrutture e un moderno sistema di trasporti, i giacimenti culturali e l’eccezionale patrimonio artistico.
Tognoli capì perfettamente che questa trasformazione significava non solo progettare il futuro ma anche farsi carico con spirito solidale e inclusivo delle fasce di società più deboli che dalla industrializzazione prima e dal suo declino poi erano state le più colpite.
Tognoli era rimasto orfano di padre giovanissimo e aveva fatto studi da perito, non liceali (aveva frequentato cioè le scuole dei figli degli operai e non dei figli della borghesia). Aveva incontrato molto presto la militanza socialista, e come studente lavoratore si era iscritto alla Bocconi senza riuscire a terminare il ciclo di studi. Lavorava all’ufficio stampa della Federazione del Psi di Milano.
Il Partito lo mandò a fare esperienza amministrativa a Cormano, prima come semplice consigliere comunale poi come assessore. Ritornato nel capoluogo prima fece l’assessore ai servizi sociali e ai lavori pubblici e poi, a soli 38 anni, divenne sindaco di Milano, sostituendo un altro leggendario sindaco socialista di quella città: Aldo ‘Iso’ Aniasi.
La sua intelligenza e moderazione lo fecero amare moltissimo dai milanesi, che non lo hanno mai dimenticato, e lo fecero rispettare da tutte le forze politiche perché aveva sempre mostrato rispetto per tutti senza demonizzare nessuno.
Non era tipo da salotti, al contrario era molto presente nelle realtà più popolari di Milano, in quei quartieri periferici in cui la gente viveva meno bene e quindi il Comune doveva fare di più; in quei quartieri periferici dove il Psi prendeva più voti e dove vi erano sezioni socialiste con centinaia e centinaia di iscritti. Tognoli entrava in quelle sezioni e i compagni lo amavano perché lo sentivano interprete e legato a una storia politica gloriosa, quella di Turati e di Nenni, che i socialisti milanesi con alla testa Bettino Craxi avevano ripreso e rinverdito chiamandola di autonomia socialista.
Tognoli era amato e rispettato anche dai non socialisti perché era rimasto un riferimento, era l’immagine, che non sbiadisce, del primo cittadino vicino alla gente che piaceva a tutti: operai e industriali, tranvieri e artisti ma anche – come è stato scritto – Cuccia e Montanelli.
Anche lui fu colpito dalla giustizia violenta e di parte di Mani Pulite. Fu indagato a lungo per la sua attività amministrativa di cui si voleva distruggere l’immagine. Dopo più di dieci anni di calvario finalmente l’assoluzione piena in Corte d’Appello. La sentenza recita così: “…non si è mai arricchito ed è stato lontano anni luce dai ladri e dai profitattori…”.
Il Covid se lo è portato via a 82 anni. A Palazzo Marino ai funerali ufficiali c’era un mare di gente, molti avevano il garofano rosso all’occhiello.