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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

Feretto, un chiavarese guida la giuria dell’Andersen: “Le favole per sempre”

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“Se vuole, chiudo gli occhi per un minuto, m’invento una storia e gliela racconto. Qui, su due piedi”. Parola di Goffredo Feretto. Chiavarese doc, grande affabulatore, libraio competente, uomo di lettere preparato, editor con tante scommesse vinte alle spalle. Ma, soprattutto, una persona che ha le favole nel sangue. Che sa coinvolgere, emozionare e stupire. Dai più piccoli ai più grandi.
Feretto ha tutto dello storyteller: il bagaglio culturale, l’esperienza di vita vissuta e – perché no – anche il fisico. Barba bianca ben curata, viso tondeggiante, forme morbide: il classico nonno buono delle fiabe, che salva i nipotini e i loro amici dai cattivi, dalle streghe, dagli orchi. Il signor Goffredo sembra uscito da una delle storie che ama raccontare. E forse non è un caso. Quando si dice calarsi nella parte.
E non è un caso neppure che sia stato selezionato per coordinare la giuria tecnica all’edizione 2018 del Premio Andersen di Sestri Levante. Un chiavarese alla guida del più prestigioso premio letterario dedicato alla letteratura per l’infanzia, nato, cresciuto e sviluppato nella città dei due mari, insieme all’omonimo Festival. Un altro bel segnale di come i comuni rivieraschi si parlino e sappiano cogliere gli uni dagli altri le proprie eccellenze. Non è un mistero per nessuno che, grazie all’Andersen e a tante altre iniziative, Sestri sia diventata sempre più a vocazione turistica, pur rimanendo ben memore delle sue radici operaie.

Feretto, come le è arrivata questa proposta?
“Si tratta di amicizie in comune. In particolare, lo scrittore e storico Sandro Antonini, del quale pubblico i libri dedicati a Seconda Guerra Mondiale e Resistenza con la mia casa editrice Internos. Sandro abita a Sestri Levante e mi ha messo in contatto con gli organizzatori. Per me rappresenta un onore e anche un riconoscimento a tutta la mia vita, passata tra libri e studi”.
La giuria tecnica quale compito ha?
“Noi, senza volercela ‘tirare’ troppo, siamo la giuria più importante, perché è quella che fornisce la prima e più significativa scrematura. Poi, passiamo il nostro lavoro alla giuria speciale, ma a quel punto la rosa è molto più ristretta. Al momento, ho letto circa una sessantina di racconti. Si tratta di un primo blocco, perché i termini per la presentazione sono stati prorogati alla metà di aprile e sicuramente ne arriveranno altrettanti. Due disegnatori, invece, si occupano della sezione dedicata alle graphic novel”.
Per molti anni lei ha fatto l’editor, prima alla Fratelli Frilli, ora alla sua casa editrice Internos. In ultimo, il Premio Andersen. Come si sente a giudicare il lavoro degli altri?
“E’ un’immensa responsabilità. Spesso dietro a un libro, a un racconto o a una favola, c’è un lavoro enorme. Dire ‘pubblico’ o ‘non pubblico’ non è semplice. Bisogna avere un grande rispetto delle persone che hanno scritto. E ragionare bene prima di decidere. Tengo sempre presente, e dovrebbe farlo ogni editor, quanto successe a Elio Vittorini, che scartò ‘Il Gattopardo’ di Tomasi di Lampedusa. Uno scrittore non deve mai darsi per vinto. Ci sono tanti modi per far uscire un libro. Un buon editor non è solo colui che promuove o cassa, ma quello che aiuta. Per esempio, una storia può diventare migliore se rimontata in un ordine differente”.
Pensare che lei non nasce come uomo di lettere, ma come avvocato.
“Il 1975 è stato l’anno più intenso della mia vita. Mi sono laureato in legge, mi sono diplomato in teologia, la mia grande passione. Ho fatto il militare e mi sono sposato. Per due anni, seguendo una tradizione di famiglia, ho provato a fare l’avvocato. Ma non era nelle mie corde. Non mi piaceva. A me piacevano i libri, e soprattutto mi piaceva studiare. Nel 1977, ho smesso di fare l’avvocato e ho preso in gestione la libreria delle Paoline, accanto alla Cattedrale di Chiavari. Mia moglie ha smesso d’insegnare e ci siamo messi lì insieme. Ho coronato il mio sogno. Una vita per i libri, non solo nel commercio ma anche per leggere e studiare. E questo grazie a mia moglie, che mi ha spesso concesso molti spazi occupandosi del negozio in prima persona e con grande impegno”.
Un altro anno importante, scorrendo la sua biografia, è il 2005.
“Agli inizi del 2000, mia figlia si iscrisse a Lingue e Letterature straniere. Feci una pazzia e mi iscrissi anche io. Abbiamo dato tutti gli esami insieme. Poi lei ha scelto lo spagnolo come prima lingua, e io il portoghese. Ci siamo laureati entrambi nel 2005. Così, accanto alla mia attività, ho potuto affiancare quella di traduttore, dal francese, dallo spagnolo e dal portoghese. Sapesse quanti testi e autori ho potuto scoprire”.
Da una cosa nasce l’altra, ed eccoci alla Fratelli Frilli.
“Marco Frilli, che conoscevo perché veniva spesso in negozio in veste di rappresentante di Laterza, mi disse che stava per aprire una sua casa editrice, di ispirazione soprattutto locale. La Frilli aveva sede a Quarto, nei pressi di corso Europa, e insieme a Marco ed io c’erano i nostri figli e uno staff di validissime persone. Mi chiese se volevo fare il direttore editoriale. Io risposi che non mi sentivo pronto, che non lo avevo mai fatto. Ma, di fronte alle sue insistenze, colsi la sfida e scoprii che c’ero portato. In quegli anni uscivano tra i due e i quattro libri a settimana e posso dire con orgoglio di aver lanciato tante scrittrici che oggi hanno successo a livello nazionale”.
Nel 2008 arriva Internos…
“Mi stacco da Frilli e decido di mettermi in proprio, su Chiavari. Internos, espressione latina che significa ‘tra noi’, ovvero mia figlia ed io. Siamo un piccolo editore locale, direi minuscolo. Ma le soddisfazioni sono immense. Ovviamente, non possiamo stare dietro alle grandi tendenze, ci rimane quell’ambito che è proprio dell’editore di zona, ovvero puntare sulle tradizioni e raccontare la nostra terra. Questo cerchiamo di fare”.
Dieci anni in prima linea, nonostante la crisi dell’editoria.
“Quella di Internos è stata una scelta coraggiosa, ma pienamente ripagata. A dire il vero, poi, non tutta l’editoria è in crisi. Ci sono esperienze positive. Noi cerchiamo di essere ‘glocal’, come vi siete prefissati voi di ‘Piazza Levante’. E’ una chiave intelligente e che può davvero funzionare. L’altra editoria di successo è quella per i ragazzi. E qui torniamo al tema dell’Andersen”.
In tanti vogliono diventare scrittori, ma la porta è stretta.
“Non basta avere una storia. Bisogna saperla raccontare. Come pure c’è chi scrive divinamente ma non sa cosa scrivere perché ha un blocco. Occorre una giusta sintesi. Io, sinceramente, tengo moltissimo alla lingua italiana. La ritengo fondamentale. Poi, una storia deve ‘prendere’: ovvero, deve agganciare l’interesse e tenerlo. Cosa molto difficile. Quanto alle favole, non passeranno mai di moda, perché è l’essere umano in quanto tale ad aver bisogno di storie. Di sognare, di emozionarsi”.
La favola però è evoluta. Dalla dimensione scritta a quella illustrata, sino ai cartoni animati e la grande produzione cinematografica.
“Vero, però alla base c’è sempre una storia. I libri per ragazzi devono avere tante illustrazioni, perché sono importanti a una certa età. Poi diventa prioritario il testo. Ma ormai viviamo nella cultura dell’immagine. Ben vengano i cartoni animati, se ben fatti. E i film, in particolare quelli della Disney, che sono sempre i migliori”.

La letteratura è al centro di un altro festival che la vede coinvolto, quello della Parola di Chiavari.
“Per la prossima edizione, che si terrà dal 31 maggio al 3 giugno, mi occuperò di curare la sezione ‘Parole e spiritualità’. Tra gli invitati, ci saranno il presidente delle Comunità Islamiche d’Italia (l’Imam di Firenze), un monaco tibetano, lo scrittore ebreo Gianpaolo Anderlini e Marco Guzzi, filosofo e poeta cristiano, fondatore del Movimento per l’Autocoscienza”.
La generazione di ‘Harry Potter’ legge di più rispetto a quella che l’ha preceduta.
“Un ottimo segnale. Per fortuna anche i miei nipoti leggono molto. Sono contento”.
In più i suoi nipoti hanno un nonno speciale, per quanto riguarda le favole.
“Mi capita spesso di raccontar loro delle storie. L’ho sempre fatto. Anche quando ero più giovane. In montagna convincevo i bambini a camminare perché sulla strada li coinvolgevo con i miei racconti. E’ una sensazione bellissima. Suscitare interesse ma soprattutto emozioni”.
Qui, Goffredo Feretto si commuove. Chissà quale corda del suo cuore ha toccato. Gli vedi due occhi lucidi, sotto la montatura leggera dei suoi occhiali. Poi scopre il polsino e guarda l’orologio. “Sa perché controllo l’ora?”, chiede. “Questa sera tocca a me fare il risotto e tra un po’ devo andare a casa a cucinare”. La ricetta? “Non ho molti ingredienti in questo momento in casa. Lo farò con gli spinaci e un po’ di verdure. A mia moglie piace così e io l’accontento. Lei mi accontenta da tutta una vita”.
Love will find a way through paths where wolves fear to prey, scriveva Lord Byron. Di certo Feretto la conosce.
A proposito di favole, sentieri, montagne.

ALBERTO BRUZZONE

 

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