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di MATTEO MUZIO *
Di sicuro non è lontanamente paragonabile alle presidenziali statunitensi, ma le elezioni per la carica di sindaco di New York attirano sempre molta attenzione mediatica. Un po’ per il posto enorme che la Grande Mela occupa nell’immaginario collettivo, un po’ perché viene considerata una sorta di “capitale” del mondo globalizzato, avanguardia culturale di un futuro sempre meno definibile e infine perché essendo una città che le racchiude e simboleggia tutte, anche nei suoi problemi profondi.
Fino a una dozzina d’anni fa, infatti, era proprio New York a essere avanguardia nella nuova “era delle città”, luoghi dove vivere e lavorare sempre meglio per tutti coloro che volevano fare carriera nelle infinite possibilità professionali offerte da quello che, con un’espressione quasi da sussidiario, si chiama terziario avanzato.
Oggi questo scenario è un ricordo del passato: le città vengono viste come posti dove è sempre più costoso vivere, dove la sicurezza è quasi sempre difficile e infine il simbolo delle emissioni di gas nocivi per l’atmosfera. Su questo scenario quindi si sono tenute le primarie democratiche dopo che peraltro l’attuale sindaco Eric Adams, eletto nella fila dem nel 2021, è poi uscito dal partito in seguito a un’infinita serie di controversie giudiziarie che si sono concluse in un modo ancora più discutibile: con un colpo di spugna da parte del dipartimento di giustizia trumpizzato.
Adams per giunta, nonostante la sua impopolarità, ha scelto di ricandidarsi da indipendente, sperando in un endorsement da parte del newyorchese più famoso nel mondo che oggi siede alla Casa Bianca. Quindi ancora una volta i riflettori sono sulle primarie dem: si esclude che ci sia un nuovo Rudy Giuliani nelle fila repubblicane (e il pensiero di come si sia ridotto colui che è stato sindaco dal 1993 al 2001 forse è la ragione per cui non ci sarà).
A rappresentare l’establishment del partito, l’ex governatore Andrew Cuomo, che è stato anche segretario all’urbanistica durante il secondo mandato presidenziale di Bill Clinton. Nonostante le sue dimissioni improvvise nel 2021 sotto un’ondata di accuse di molestie sessuali (finora mai dimostrate in tribunale) ma soprattutto di aver truccato i dati relativi ai morti per Covid durante la pandemia. Come qualche analista ha però evidenziato: spesso Cuomo, a sua volta figlio d’arte, ha fatto sì che la sua sete di rivalsa diventasse la sua principale arma politica e si pensava che fosse così anche stavolta, con un messaggio tutto centrato su legge e ordine. Non ha funzionato ed è stato battuto dalla candidatura sorprendente di Zohran Mamdani, trentatreenne deputato statale a New York, dichiaratamente socialista e filopalestinese, nonché musulmano. Saggezza vorrebbe che Mamdani perdesse contro la macchina ben oliata di Cuomo che nonostante gli scandali sembrava voler piegare le cose nuovamente a suo favore.
Oltre gli scandali però, i newyorchesi lo ricordavano come un governatore autoritario (l’ex sindaco Bill De Blasio lo apostrofava come “il tiranno di Albany” dal nome della capitale statale) che ha tagliato i fondi sia per la sanità ai più poveri (il programma federale del Medicaid che viene implementato a livello statale) ma anche per aver sottratto fondi per il trasporto pubblico che rimane il principale mezzo di locomozione in città, caso quasi unico negli Stati Uniti. Non solo: il suo continuo richiamarsi al crimine in un momento di relativa tranquillità per la città decisamente non ha funzionato per nulla.
Al contrario le controverse opinioni di Mamdani su Gaza e il Medio Oriente, in una città con più ebrei di Tel Aviv, hanno contato relativamente poco. Il suo messaggio è stato prettamente economico: la città è diventata esageratamente costosa per chiunque guadagni cifre anche da professionista come medico e avvocato. Basti pensare che l’appartamento dove dallo scorso settembre risiede lo stesso Cuomo, a Brooklyn, con due camere da letto, costa più di 8mila dollari mensili di affitto. Decisamente troppo.
Certo, le ricette del giovane socialista, risultato poi vincitore a sorpresa delle primarie, sono da libro dei sogni: mezzi pubblici gratis e congelamento dei prezzi degli affitti. Soprattutto, potrebbero avere effetti opposti. D’altra parte, però appare esagerato l’allarmismo di alcuni membri della business community su una città che “si svuoterà” dai suoi residenti per evitare le nuove tasse sui redditi più alte promesse da Mamdani. Si era detto lo stesso anche quando De Blasio era stato eletto nel 2013 e poi non è successo niente.
Bisogna vedere però che via prenderà il giovane e quasi sicuro prossimo sindaco di New York: se sceglierà la via monocratica del sindaco di Chicago Brandon Johnson, affogato in un’impopolarità che sfiora l’80% per uno stile di governo totalmente distaccato dalla realtà, perso in un mare di sogni iperprogressisti, ci si prepara a un ritorno in grande stile di un secondo Rudy Giuliani o di un altro Michael Bloomberg. Se invece mitigherà alcune sue prese di posizione elettorali e saprà governare in modo più collegiale come la sindaca di Boston Michelle Wu, potrà ottenere qualche buon risultato per la città. Difficilmente però riuscirà a sconfiggere un carovita che appare ben al di là delle sue competenze di primo cittadino.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)