di ANTONIO GOZZI
Tra i passi più significativi del discorso di insediamento del Presidente Draghi alle Camere vi è certamente quello riguardante la politica estera. Un passaggio lungo, considerata la tradizione di discorsi di insediamento di questo tipo, nel quale si ricorda, tra l’altro, che l’Italia nel corso del 2021 eserciterà per la prima volta la Presidenza del G20.
“… Nei nostri rapporti internazionali questo governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione Europea, Alleanza Atlantica, Nazioni Unite. Ancoraggi che abbiamo scelto fin dal dopoguerra in un percorso che ha portato benessere, sicurezza e prestigio internazionale. Profonda è la nostra vocazione a favore di un multilateralismo efficace, fondato sul ruolo insostituibile delle Nazioni Unite. Resta forte la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia e al Mediterraneo Orientale e all’Africa”.
E ancora, dopo aver parlato della necessità di mantenere il rapporto strategico con Francia e Germania, Draghi prosegue: “…Occorrerà anche consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quelle ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro. Continueremo anche ad operare perché si avvii un dialogo più virtuoso tra l’Unione Europea e la Turchia, partner e alleato Nato…”.
C’è un dibattito intenso in questi giorni sulla discontinuità o meno del Governo Draghi rispetto ai precedenti. A nostro giudizio la risposta è che sì, vi è discontinuità, e che la politica estera rappresenta uno di questi elementi di novità.
Distinguerei le novità in due aspetti principali: uno costituito dall’autorevolezza e dalla reputazione di Draghi, che conteranno moltissimo nei consessi internazionali a partire dal G20; e l’altro dalla messa a fuoco, dopo anni di confusione, del ruolo e della prospettiva dell’Italia nelle alleanze internazionali e soprattutto nel Mediterraneo.
Con riferimento al primo tema, prestigio e reputazione personali, c’è poco da dire. La storia di Draghi, il suo curriculum, le relazioni che ha costruito nel tempo mettono lui e l’Italia in una condizione in cui quest’ultima non si è mai trovata a livello internazionale. La considerazione avuta per la nomina a Presidente del Consiglio proveniente da ogni parte del mondo sta lì a confermare la credibilità maturata nel tempo dall’uomo che ha salvato l’euro.
Vogliamo invece soffermarci sulla messa a fuoco del ruolo dell’Italia, che emerge con chiarezza dalle parole di Draghi.
In primis, al di là della conferma del nostro europeismo su cui, dopo le sbandate del governo giallo verde, ormai tutte le forze politiche italiane sembrano essere d’accordo, la novità sta nella riaffermazione forte della prospettiva atlantica e quindi dell’alleanza con gli Usa come storico riferimento, dell’ancoraggio per usare le parole di Draghi, della collocazione internazionale del nostro Paese.
L’atlantismo italiano negli ultimi anni non era stato così convinto, se si ricordano gli sbandamenti filo-russi di Salvini e quelli filo-cinesi e filo-Maduro del M5S.
Il legame con gli Usa, certamente facilitato dalla vittoria di Biden e dalla crisi del sovranismo trumpista europeo, resta un punto fermo della nostra politica estera, e sarà sempre più importante rispetto al tema del Mediterraneo, come si dirà oltre.
In secondo luogo: mai con la chiarezza con cui lo ha fatto Draghi si sono declinati due concetti, l’esistenza e la necessità di tutelare gli interessi nazionali prioritari dell’Italia, e la collocazione di questi interessi nazionali nei Balcani, nell’area mediterranea allargata e in particolare in Libia, nel mediterraneo orientale e in Africa.
Il richiamo agli interessi nazionali ha fatto storcere per anni il naso a una certa intellighenzia di sinistra, che si è rifiutata sempre di riconoscere il tema, che ha preferito negarlo facendo riferimento a un europeismo retorico e di maniera, e ha dimenticato e/o non compreso che lo spazio comunitario molto spesso è un foro in cui si scontrano nazioni reali con i loro interessi economici e geopolitici.
Riaffermare la legittimità e lo spessore degli interessi nazionali è un atto di coraggio che mi ricorda quello di Bettino Craxi e quello di Carlo Azeglio Ciampi, che da Presidente della Repubblica reintrodusse la parola Patria come sacra e il culto del tricolore.
Dire che i nostri interessi nazionali sono nei Balcani, nel Mediterraneo allargato e nella costa nord dell’Africa significa avere il coraggio di affrontare una delle questioni più difficili e controverse degli ultimi anni, rispetto alla quale la sensazione è che l’Italia non faccia più politica da molto tempo, e dove il rischio di perdere ruolo e di essere travolti dagli sconvolgimenti in atto è reale.
Si manifestano al riguardo due scuole di pensiero.
La prima è quella più pessimista e più geopolitica che, partendo dalla tragica vicenda libica e dal manifestarsi del confronto duro per il controllo di quel paese tra Turchia/Qatar da una parte e Russia/Egitto dall’altra, afferma che l’Italia ha perso ogni influenza su quel Paese, dove pure abbiamo interessi economici enormi in particolare dell’Eni (Si veda al riguardo l’ultimo numero di ‘Limes’, ‘L’Italia al fronte del caos. Il medioceano conteso erode la Penisola. Russi e Turchi sulla faglia di Caoslandia. Come proteggere lo stretto di Sicilia’).
Secondo questa visione è indispensabile che l’Italia torni a esercitare un ruolo di potenza nello scacchiere del Mediterraneo così vitale per i nostri interessi economici e geopolitici predisponendo una capacità di deterrenza, anche militare, che non abbiamo mai voluto esercitare lasciando così che lo facessero altri, trasformando appunto il Mediterraneo in Caoslandia. Si ricorda che la flotta della nostra Marina Militare, che dovrebbe vigilare in quest’area, se non verrà rapidamente ammodernata rischia in dieci anni di non poter più esercitare neanche questo ruolo, in particolare nello Stretto di Sicilia, con tutto ciò che in termini di vulnerabilità potrebbe conseguirne per il nostro Paese.
Vi è poi un’altra visione molto più ottimista, più concentrata sull’economia e sull’interscambio. Tale visione sostiene il ruolo di prima grandezza dell’Italia nel Mediterraneo e nei Balcani grazie alla forza economica dei nostri soggetti industriali. I sostenitori di questa tesi affermano in particolare che grazie al commercio internazionale, all’energia e ai trasporti l’Italia si sta velocemente riposizionando al centro delle dinamiche del Mediterraneo allargato e dell’area balcanica (Si veda al riguardo il recente articolo comparso sulla rivista internazionale ‘Foreign Policy’ di M. Tanchum e D. Bechev, ‘Italy’s Mediterranean Belt and Road’).
“Roma sta torreggiando sul Mediterraneo stavolta come potenza economica… Nel 2021 Roma è emersa come la potenza economica in più rapida crescita nella regione del Mediterraneo allargato, dal Nord Africa ai Balcani e oltre. Dopo due decenni la focalizzazione dell’Italia sulla connettività commerciale trans-mediterranea ha prodotto qualcosa di simile a una versione mediterranea dell’iniziativa cinese ‘Una Cintura Una Via…’”.
Abilità commerciale, forte ruolo di alcuni campioni nazionali dell’energia (Eni, Snam, Terna), vivacità delle imprese private piccole e medie che si trovano a loro agio in questo contesto geografico e culturale fanno sì che i sostenitori di questa tesi esaltino il presente ruolo dell’Italia nell’area.
Con riferimento ai temi energetici viene ricordato che Eni controlla all’incirca il 45% della produzione libica di petrolio e gas, ed è uno dei più grandi partner dell’Algeria e del suo operatore di stato Sonatrac, con cui Eni stesso possiede la pipeline denominata Trans-Med che porta il gas algerino attraverso la Tunisia fino in Italia e in Europa. Inoltre presto sarà realizzato un cavo sottomarino di connessione elettrica da 600 megawatt tra Tunisia e Sicilia che potrebbe consentire ai paesi del Maghreb ricchi di energia anche rinnovabile (di nuovo l’Algeria prima di tutto) di commerciare elettricità nelle due direzioni. Il tema dell’idrogeno apre poi nuove prospettive.
Snam, che insieme a Eni possiede la quota del Trans-Med, è impegnata a studiare la possibilità di trasportare l’idrogeno nella pipeline (oggi non utilizzata a pieno per il trasporto del gas naturale), idrogeno che potrebbe essere prodotto da elettrolizzatori alimentati da energie rinnovabili il cui interesse sta sempre di più aumentando in Algeria, Tunisia e Marocco.
Gli interessi italiani si estendono inoltre anche al Mediterraneo Est, là dove sempre Eni possiede il 50% dell’immenso giacimento di gas di Zohr tra Cipro e Israele e possiede in Egitto il 50% di due liquefatori di natural gas.
L’Italia è inoltre operatore primario e esercita la sua influenza sul TAP, gasdotto che conduce il gas in Italia dall’est europeo sud, e ha realizzato con Terna e con un consorzio di privati un’importante connessione elettrica da 600 megawatt con il Montenegro, che apre il nostro Paese all’interscambio elettrico con tutta l’area dei Balcani.
Dal punto di vista del commercio internazionale, dell’interscambio di beni manufatti e dei trasporti che ne conseguono, l’Italia ha un ruolo di prima grandezza sia nei confronti di tutti i paesi del Maghreb che nei confronti dei paesi dell’area balcanica. In particolare l’Italia è il primo partner commerciale di Bulgaria, Croazia e Romania nell’area balcanica e il secondo di Algeria e Tunisia nel nord- Africa.
In altri termini la grande presenza economica supplirebbe all’assenza della politica estera e consentirebbe al nostro Paese di avere un futuro non fatto di declino e insignificanza.
Chi ha ragione? Probabilmente la ragione come sempre sta nel mezzo.
È certamente vero che dopo Craxi e Andreotti vi è stato un progressivo arretramento del nostro ruolo geo-politico nel Mediterraneo. Ma è altrettanto vero che la forza dell’economia e della manifattura italiana e di alcuni ‘campioni nazionali’ tutti prevalentemente orientati all’estero e all’esportazione sono stati di enorme importanza. In un’economia che è cresciuta negli ultimi venti anni meno della media europea, l’unica performance di rilievo e costante è stata la nostra bilancia commerciale in attivo di centinaia di miliardi l’anno. Le nostre imprese e la loro capacità di presenza internazionale hanno garantito all’Italia anche un ruolo e uno spazio significativo nei Balcani e nell’area mediterranea allargata nella quale, come ricordato da Draghi, noi abbiamo i nostri interessi nazionali primari.
Il ruolo e il peso economico conquistati forse non sono completamente sganciati dalla cautela della nostra politica estera. Non facciamo paura a nessuno e anzi nel bacino del Mediterraneo per affinità antropologiche e culturali risultiamo ben accetti da tutti.
Fare business internazionale per un Paese che, come l’Italia, per definizione non può essere imperiale significa avere un approccio da saggi mercanti, da eredi delle tradizioni marittime e mercantili delle antiche repubbliche marinare, in particolare Genova e Venezia; significa, grazie al nostro ‘meticciato’, capire e rispettare le altre culture senza sensi di superiorità e arroganze che spesso spaventano le controparti, specie in un’area così delicata come quella in cui operiamo.
Un atteggiamento aperto di questo tipo, non arrogante e non invasivo, è in definitiva una ricchezza per l’Occidente tutto, Stati Uniti compresi, in cui ci sentiamo organicamente inseriti. L’Occidente può trovare nell’Italia l’interprete e il collegamento con i nuovi mondi che altrimenti sono destinati a essere vittime di nuovi espansionismi.