di DANILO SANGUINETI
Quando ti casca addosso un muro – anche se nella incredibile situazione venutasi a creare con l’epidemia di Coronavirus sarebbe più appropriato parlare dell’intera casa che ti abbatte sulla testa – hai due possibilità: tirare giù un bel po’ di moccoli e restare a strofinarti il punto dolorante, o rialzarti, scollarti di dosso i detriti e iniziare a immaginare come potrai ricostruirla più solida e anche più bella.
Giulio Ivaldi, presidente del Comitato regionale della Federcalcio, appartiene decisamente al secondo tipo di individui. Il gran capo dei dilettanti liguri si è trovato di punto in bianco con ogni campionato, ogni torneo – e sono centinaia, tenendo conto delle giovanili, maschili e femminili, amatoriali e futsal – congelato in corso d’opera senza una fine, senza una convincente possibilità di farlo proseguire anche alla minima intensità.
Si è discusso e ridiscusso delle ambasce dei professionisti, del dramma della Lega Pro, della crisi della serie B e della emergenza della serie A, ma chi ha pensato ai giocatori di serie D, che con il calcio si garantiscono un introito non defalcabile dai loro bilanci familiari? E alle centinaia di migliaia di pedatori che dall’Eccellenzaalla Terza, dagli Juniores ai Piccoli Amici considerano correre dietro un pallone un’attività irrinunciabile?
Il presidente Ivaldi sa che farla finita così, la stagione 2019-2020, sarebbe un delitto, ma sa anche che “devo per scrupolo di dirigente e ragione di cittadino aderire pienamente ai pensieri e alle parole del nostro presidente nazionale Sibilia, fare totalmente mie le sue idee in un momento di inaudita gravità come quello in cui stiamo vivendo. Dobbiamo attenerci a quanto ci viene imposto dalle autorità, avere fiducia nei nostri scienziati in primis e poi seguire quanto indicato dai governanti e detto di applicare da parte dagli organi direttivi della Federcalcio”.
Il dirigente (a sinistra nella foto), che da 43 anni dà il suo contributo alla Federazione, ha accumulato una profonda conoscenza dell’universo dilettanti e ha scelto di operare stando al fianco dei suoi protetti, un’opera di monitoraggio capillare: “È l’intero comitato ligure a esservi impegnato. Seguiamo l’evolversi della situazione, manteniamo i contatti a tutti livelli istituzionali e sportivi per rappresentare le preoccupazioni del nostro mondo di fronte agli eventi che ci stanno colpendo”.
Il presidente Ivaldi vive attaccato al telefono: “Parlo con le nostre società, sento quelle di serie D, mi confronto con i colleghi delle altre regioni. Il sabato di Pasqua ho sentito il presidente Sibilia. È importante capire senza intermediari, poi ci sono i Comunicati Ufficiali e quelli Stampa e i continui aggiornamenti del nostro sito istituzionale atti a portare a conoscenza di tutti dell’evolversi delle situazioni sia di carattere generale sia per quel che concerne la nostra organizzazione sportiva regionale”.
È scontato che si studi sul se e se sì, come, riprendere e portare a termine i campionati. “Gli scenari restano molteplici. Partiamo dall’assoluta inderogabile priorità della salute e della sicurezza, argomenti sui quali le decisioni non spettano a noi ma agli enti preposti. Da qui possono derivare diverse situazioni che dipenderanno dal procrastinarsi o meno del lockdown. Salute ma anche serenità nei rapporti: mi soffermo a pensare come potrebbero essere i rapporti nel ritrovarsi in campo, pur avendo certezze dal punto di vista medico avremmo tutti la necessaria serenità per far funzionare la macchina calcio?”.
Il tempo corre e i dilettanti non hanno a disposizione le soluzioni ingegnose e la possibilità di forzare i ritmi che gli atleti professionisti possono mettere in campo. “Ritengo al momento prematuro, in questa occasione, presentare ipotesi o indicazioni di qualsiasi genere proprio in attesa di quelle decisioni degli enti preposti sopra ricordate, ma sono perfettamente a conoscenza che il tempo rimasto per poter trasformare quelle ipotesi e quelle indicazioni in decisioni non è più molto, anche perché le stesse dovranno essere definite a livello nazionale, attività che comporterà naturalmente tempi decisionali congrui”.
In sintesi la serie D, che comprende gironi del tutto o parzialmente composti da squadre delle regioni più colpite, con in squadra diversi giocatori positivi e gironi del Centro Sud dove il morbo non infuria, avrebbe tempi diversi di riattivazione. “C’è il rischio di andare oltre il 30 agosto perché da quando arriverà l’ok dei comitati scientifici e statali serviranno almeno due barra tre settimane per far recuperare agli atleti un minimo di forma atletica e un po’ di coesione. Non è semplice, non è impossibile, staremo a vedere. Lo ribadisco, il nostro comune sentire è quello di tornare in campo solo ed esclusivamente avendo la sicurezza di non rischiare la salute dei nostri tesserati. Il resto è realmente un corollario”.
Nello scenario peggiore, senza una conclusione concordata che possa attribuire con la prevista regolarità un titolo, una promozione, una retrocessione, ci saranno conseguenze che andranno a riflettersi sulla stagione successiva. “E beh le criticità economiche che la ‘pandemia’ sta creando a livello sociale e sportivo non potranno non riflettersi anche nel nostro ambito, vi posso assicurare che assieme ai vertici federali stiamo ‘certificando’ i diversi aspetti che hanno iniziato a colpirci e creeranno serie situazioni a venire, appunto, di criticità per molti sodalizi. Ci troveremo in acque agitate e cercheremo di farvi fronte con iniziative poste in essere e preannunciate sia a livello nazionale, sia regionale e infine da parte di alcuni Comuni compreso quello di Genova”.
Il dirigente di lungo corso, confortato anche dall’altra sua vita, quella di dirigente di banca, è convinto che la botta sarà dura ma non sarà fatale. E che dal male possa venire fuori anche qualche bene. “Ho osservato l’attenzione che molti hanno posto sul ruolo rilevante del calcio dilettanti. Le parole del ministro dello Sport a questo proposito mi hanno riscaldato il cuore. L’onorevole Spadafora ha detto che la piramide del calcio si regge sulla base dei dilettanti e che se questa base traballa, viene giù tutto. Non era una cosa scontata, per tanto tempo abbiamo avuto difficoltà a far emergere questo concetto ma davvero, lo dico con estrema convinzione e soddisfazione, già da prima di questi brutti momenti avevamo avuto concreti e tangibili segnali incoraggianti concretatisi con la realizzazione di importanti progetti nell’ambito dell’impiantistica sportiva assieme a Regione Liguria e Comune di Genova, progetti che speravamo, e fortemente speriamo, di poter riproporre appena possibile ampliandone la base territoriale a livello anche di altri Comuni Liguri”.
I dilettanti svolgono una insostituibile funzione sociale: pensate ai ragazzini delle periferie del capoluogo o ai figli di immigrati che non avessero nella squadretta della parrocchia, di quartiere, dell’ente assistenziale, un centro di attrazione, un posto dove integrarsi, socializzare. “Per questo sono colpito da come il Governo, gli enti amministrativi tutti stiano pensando anche a noi, avendo criticità sanitarie e sociali da far tremare i polsi. Stiamo pensando ad agevolazioni, proroghe, dilazioni e molto altro verrà fatto”.
E se non dovesse comunque bastare? Se alcuni ne approfittassero per gettare la spugna? “Datemi del visionario, eppure io scommetto che non andrà a finire così. La prima ricchezza, il tesoro del calcio dilettante e giovanile è la passione, lo spirito di abnegazione e di sacrificio, il desiderio di tanti dirigenti, tecnici ed appassionati di far l’impossibile affinché le nostre calciatrici e i nostri calciatori possano frequentare i nostri campi, grandi e piccoli, possano divertirsi, socializzare, imparare a giocare a calcio, crescere come atleti e come persone, che diventeranno adulte e saranno protagoniste della loro vita anche con i valori che hanno appreso con le nostre attività. Chiunque in questi giorni abbia sentito, mi ha ribadito la stessa cosa: ‘Presidente, sarà dura, ma ne usciremo, torneremo sui campi e torneremo a gridare, magare pure a litigare, sempre però per batterci sportivamente, per vincere per gioire e dare gioia a chi assiste’”.
Ivaldi fa una pausa, e nella voce si avverte una nota ironica: “Magari qualche società spenderà i soldi in modo più oculato, qualche giocatore pretenderà qualche privilegio in meno, i ragazzi si accontenteranno di scarpe e magliette un po’ meno cool, i dirigenti viaggeranno in un solo pullmino, compreso sia chiaro il comitato regionale… Lei è convinto che un po’ di sano ridimensionamento ci farà male o che magari ci renderà più robusti e meno piagnoni?”.
L’Italia che uscì dalla Seconda Guerra Mondiale aveva le pezze al sedere ma stava mettendo in cantiere la generazione di atleti che tra il 1963 e 1970 avrebbe riportato il calcio italiano in vetta al mondo.