di DANILO SANGUINETI
È appena stato annunciato che Genova sarà la Capitale europea dello Sport 2024. E subito campane a stormo sono risuonate da un palazzo all’altro. Politici, dirigenti sportivi, amministratori vari fanno a gara per spiegare quanto saranno magnifiche e progressive le opportunità che un simile riconoscimento comporta. Un po’ meno estasiati quelli che hanno l’età per aver vissuto altri appuntamenti epocali di questo genere.
Qualcuno ha detto Colombiadi 1992? E chi rammenta l’hype che accompagnò i Mondiali di Calcio 1990? Vennero presentati come altrettante palingenesi della Superba, il rimedio per contrastare il declino già evidente. Più che svolta, furono delle modeste virate. In generale, ci furono momenti positivi e un paio di progetti riusciti, accompagnati da chiazze di ombra, per lo sport ligure a voler essere generosi un barbaglio di speranza.
Il fiume di soldi e la marea di progetti per celebrare i 500 anni della scoperta dell’America lambirono gli impianti e le organizzazioni sportive. Piscine, stadi, palestre, stadio del tennis e del rugby, stadio del baseball, palazzetto del ghiaccio: metà realizzati in fretta e furia, un altro quarto rifatti sempre di corsa, una bella fetta rimasta nel libro dei sogni. Per non parlare della scommessa principale: lo stadio Ferraris buttato giù e trasformato in uno scatolone arancione da un architetto Gregotti in fase di ripensamento dagli entusiasmi Neoliberty. Un tempio del calcio trasformato in qualcosa che ancor oggi nessuno tra tifosi, società ed ospiti paganti e non ha mai realmente accettato.
Tanto che, a neppure trent’anni dalla sua creazione, si moltiplicano le voci di chi vorrebbe se non demolirlo almeno scambiarlo con qualcosa di più moderno e funzionale. Per essere brevi – e caritatevoli – sarà meglio saltare a piè pari le storie del complesso sportivo della Sciorba, dello stadio Carlini, del parco e delle piscine di Albaro, del Palasport mai nato, delle piste podistiche e ciclistiche scomparse o nate con difetti strutturali. Oggi come oggi il capoluogo non può ospitare eventi sportivi di portata mondiale, se non sfruttando l’unico impianto che neppure lo sforzo congiunto di decine di amministratori inetti riuscirà a portarle via: il mare del golfo di Genova. Il Porto Antico e le basi nautiche dello Y.C.I. reggono il passo dei tempi ma sono in splendida solitudine. Adesso c’è questa nuova opportunità ed è tassativamente vietato sprecarla, lo sport ligure subirebbe il tracollo definitivo.
Il titolo di Capitale europea dello sport (European Capital of Sport) è un riconoscimento assegnato annualmente (a partire dal 2001) da ACES Europe a città che si contraddistinguono con dei progetti che seguono i principi etici dello sport. Possono candidarsi al titolo le città del continente europeo con almeno 500mila abitanti. La città vincitrice si impegna, per l’anno di assegnazione, all’organizzazione di almeno 36 eventi sportivi di spiccato rilievo nazionale e internazionale.
Per andare al sodo: Genova dovrà avere entro quattro anni impianti e società all’altezza del cimento europeo, una sfida che potrebbe portare un’altra pioggia di finanziamenti ma che richiede in contropartita uno sforzo organizzativo non indifferente.
Genova, che era in corsa da diverso tempo, negli ultimi mesi ha scalato le classifiche stilate da un’apposita commissione formata da uomini dell’ACES e professori delle università di Lisbona, Zagabria e Kosice. Nell’ultima graduatoria risultava a pari merito con Glasgow, la commissione ha deciso salomonicamente di attribuire il titolo alla città scozzese per il 2023 e a Genova per il 2024.
Nell’anno in corso la città a vincere è stata Budapest, tra qualche mese cederà il testimone a Malaga, nel 2021 sarà la volta di Lisbona, poi nel 2022 a L’Aia. Nel successo della Superba ha avuto un ruolo determinante la Delegazione Italia di ACES, costituita per essere più ‘vicina’ ai numerosi municipi italiani che si candidano ogni anno al premio per migliore Capitale (Capital), Città (City), Comune (Town) e Comunità (Community) Europea dello Sport e per seguire i municipi italiani premiati che concorrono anche per il Premio di Migliore Città Europea dello Sport (Best European City of Sport).
Oltre al titolo di capitale, c’è anche dal 2007 quello di European City of Sport per comune con una popolazione ufficiale tra 25.000 e 499.999 abitanti del continente europeo. Un riconoscimento che Rapallo si aggiudicò per il 2014 grazie all’opera dell’allora sindaco Costa, che era anche presidente del Panathlon International. Una vittoria che diede indubbiamente lustro al Comune e che fece parlare molto. Le conseguenze pratiche molto meno, tanto che i problemi strutturali maggiori (la mancanza di un Palasport, lo stato di permanente crisi delle piscine di S. Pietro inalterato o quasi) sopravvissero.
Lezioni che Genova farà meglio a studiare con cura e farne tesoro. Si è parlato dopo l’assegnazione di costruire, mettere a nuovo, lucidare, rilanciare. Il Comune, tramite il delegato allo Sport, il consigliere Stefano Anzalone, ha fatto sapere che darà vita a un comitato organizzatore con persone scelte dal sindaco Bucci, che inizierà a lavorare tra qualche mese e che includerà rappresentanti delle istituzioni, di Aces Europe e del Coni. Anzalone sta pensando a un presidente scelto tra gli sportivi genovesi di maggior fama.
Il comitato proporrà il programma per il 2024 con gli interventi da fare, valuterà e promuoverà i progetti per gli impianti da costruire e quelli da rimodernare, presenterà le relative richieste di finanziamenti alla UE al governo. Si parla del Palasport naturalmente, di una pista per le MTB tra i forti, un palazzetto per l’atletica indoor e il ciclismo su pista. Un passo un po’ troppo lungo per gambe di istituzioni che fanno i conti con i morsi della stagnazione mondiale? Non ci vorrà molto tempo per capire se questo libro dei sogni può avere un aggancio nella realtà.
Se una robusta dose di pragmatismo venisse mischiata a una manciata di buona sorte, chissà, forse si eviterà di allestire dei ‘Villaggi Potemkin’, i leggendari paesi di cartapesta che il principe omonimo costruì in fretta e furia per impressionare la zarina Caterina II di passaggio nelle sue terre.