di ANTONIO GOZZI
Come già riferito nell’articolo di Alberto Bruzzone del numero scorso di ‘Piazza Levante’, nel silenzio generale si è consumato a fine 2020, con l’assorbimento di Atp (la vecchia Tigullio Pubblici Trasporti) nella genovese Amt, l’ultimo atto di una vicenda travagliata che marca un ulteriore indebolimento dei servizi del Tigullio, e un altro perfetto esempio di come l’istituzione dell’area metropolitana genovese con l’inclusione del nostro comprensorio (che con l’area metropolitana non c’entra niente) sia stata e continui ad essere, per noi cittadini del Levante, un vero disastro.
Ma procediamo con ordine. Nell’era dei tweet nessuno ricorda mai niente, nessuno ha voglia di studiare, si perde il gusto per l’analisi e per la riflessione rincorrendo slogan ed effimere popolarità, eppure la storia della Tigullio Pubblici Trasporti è una bellissima storia di come, tra la metà degli anni ’70 e tutti gli anni ’80 del secolo precedente, il Tigullio fosse stato capace di giocare insieme alla Provincia di Genova una partita molto importante sul terreno dei trasporti pubblici ma anche di altri fondamentali servizi per la popolazione.
Sono stato testimone di questa storia come giovane vicesindaco di Chiavari, dal 1980 al 1992, nella prima amministrazione di centrosinistra della nostra città.
La Tigullio Pubblici Trasporti, come la chiamavamo allora, nasce dall’intuizione e dall’iniziativa del Comune di Chiavari e del suo Sindaco, l’indimenticato e indimenticabile Ammiraglio Luigi Gatti, democristiano, che si trovò, verso la metà degli anni ’70, a dover fronteggiare la crisi e il disimpegno dei privati dell’azienda di trasporti Fiumana Bella, e con coraggio decise di ragionare su una pubblicizzazione del servizio.
Nello stesso momento vi erano nel comprensorio altre piccole aziende in crisi, sempre di trasporti privati di persone, che non riuscivano più a garantire il servizio per i cittadini, specie nelle direttrici tra la costa e l’entroterra. Allora, d’intesa con gli altri Comuni del Tigullio e con la Provincia di Genova, si decise di dare vita a un’azienda grande, importante ed efficiente, con una suddivisione dell’azionariato e quindi della proprietà della stessa che vedeva un 49% ai comuni del Tigullio e un 51% alla Provincia di Genova.
Presidente della Provincia di Genova, retta a quell’epoca da una Giunta di sinistra, era un importante, anch’egli indimenticato, esponente socialista, Rinaldo Magnani (che più tardi sarà Presidente della Regione Liguria e poi del Porto di Genova), il quale alla testa di un Ente che veniva eletto non solo con i voti del capoluogo ma anche con quelli di tutti i comuni della Provincia, era particolarmente sensibile al Tigullio dove il suo partito, il PSI, specie a Chiavari, Lavagna e Sestri Levante governava con un grande peso politico.
Si crea in quella circostanza una miscela magica nella quale conta moltissimo il rapporto di fiducia e amicizia tra Gatti e Magnani, ma anche i rapporti di amicizia e di leale collaborazione tra sindaci e amministratori democristiani e socialisti del Tigullio (primi fra tutti i democristiani Cordano e Mondello, primi cittadini di Rapallo e Lavagna, ma anche i Sindaci socialisti di Sestri Levante, Ghio, Piccinini e Brina e il socialista che diventerà il Presidente della società per molti anni, Giuseppe Carlo Maberino, che incarnerà meglio di tutti lo spirito e le ambizioni della società stessa). Tale formula magica fa sì che la Provincia, pur essendo socio maggioritario, lasci sempre la Presidenza a esponenti del Tigullio.
In questo contesto si dà vita a una società che è sì di proprietà pubblica ma che vuole essere anche ben gestita ed efficiente, sottratta il più possibile al clientelismo politico e sindacale, e che guarda agli equilibri di gestione con grande attenzione, anche perché i deficit devono essere ripianati quasi ogni anno con interventi di ricapitalizzazione dei Comuni e della Provincia. Questa impostazione efficiente e rigorosa dura per molto tempo ed è alla base delle differenze, ancora oggi esistenti, nei parametri gestionali (costo del lavoro per chilometri fatti e rapporto tra personale viaggiante e personale a terra) tra l’azienda del Tigullio e Amt.
Con la crisi della Prima Repubblica e dei partiti anche la miscela magica del Tigullio va in crisi. Il legame di fiducia e amicizia tra amministratori scompare, a Chiavari diventa Sindaco un proto-isolazionista e sovranista nella persona di Vittorio Agostino, che fa abbandonare alla città il ruolo di comune capofila, si concentra sulle opere pubbliche che piacciono tanto al suo elettorato e fruttano anche potere e influenze illegali. La storia di Agostino Sindaco, come è noto, finisce male con una grave condanna ad anni di reclusione per tentata concussione (6 anni a lui e 4 al figlio architetto ).
La scomparsa della politica e il venir meno della fiducia e della lealtà anche tra esponenti di forze politiche diverse indebolisce enormemente il Tigullio, che inizia allora l’inesorabile parabola di declino che ancora oggi viviamo. E il tratto distintivo è che in questa crisi il Tigullio non riesce ad avere un’idea di se stesso, non ha rappresentanza e viene schiacciato, come tante volte è stato nella sua storia, dal capoluogo genovese e dagli egoismi della Superba.
Non riesce l’istituzione della Quinta Provincia Ligure, la Provincia del Tigullio con capoluogo Chiavari, un progetto a lungo coltivato da democristiani e socialisti e in particolare dal Sindaco Renzo Repetto di Chiavari, ma che aveva sempre visto freddo il PCI/DS, forte nel Capoluogo ma debole nel Tigullio. Tale freddezza trasmessa alla Regione e alla Provincia (controllate dal PCI/DS) sarà alla base del diniego nazionale, quando contemporaneamente nascono provincie molto meno importanti demograficamente, economicamente e culturalmente, ma sostenute dai governi regionali e provinciali.
Non riesce l’istituzione di corsi universitari a Chiavari, cosa quasi fatta, perché Agostino nel 1992, appena insediato, non vuole neanche ricevere dalle mie mani (allora ero l’Assessore competente del progetto Università a Chiavari) il passaggio di consegne della pratica, praticamente conclusa, per la creazione nella nostra città di un Centro Interuniversitario che avrebbe avuto sede all’Oratorio della Crocetta e a Palazzo Rocca.
Il Presidente della Tigullio Pubblici Trasporti cessa di essere un esponente del Tigullio perché Marta Vincenzi (ex PCI, allora DS) pretende come Presidente della Provincia di nominarvi, alla Presidenza e alla sua gestione, uomini di sua stretta osservanza che come prima cosa si aumentano gli emolumenti tenuti da noi particolarmente bassi, praticamente simbolici, per molti anni.
Gli anni che seguono, in assenza di un’idea e di una narrazione di se stessi e di una vera e forte rappresentanza politica, vedono il ripiegamento dei comuni su particolarismi ed egoismi, e marcano il dilagare dell’egemonia genovese con la progressiva perdita di identità del Tigullio.
Tra i tanti segni di declino due sono gli episodi più gravi: l’istituzione dell’area metropolitana genovese che sulla base di una sciagurata legge nazionale ingloba anche il Tigullio che con Genova non ha alcuna omogeneità e comunanza di interessi, e la chiusura del Tribunale di Chiavari. In entrambi i casi i genovesi lavorano contro il Tigullio e qui non succede quasi niente anche perché il Tigullio in quel momento ha poca o nulla rappresentanza parlamentare e le categorie economiche non riescono a farsi sentire.
Nella convulsa fase istitutiva dell’area metropolitana genovese solo Mario Chella, già parlamentare del PCI e Sindaco DS di Sestri Levante dal 1994 al 2003, lancia l’allarme e si scontra, anche pubblicamente, con i dirigenti della Federazione del Tigullio del PD (ex PCI, ex DS) accusandoli di essere incapaci di farsi valere nella difesa dell’autonomia del Tigullio e di essere completamente succubi ai diktat dei dirigenti genovesi. Ma la sua è una voce che cade nel deserto.
Come su un piano inclinato si giunge ai giorni nostri. Cambiano le maggioranze in Regione e nella Città Metropolitana ma non cambia l’approccio ‘Genovacentrico’ che anzi l’Amministrazione Bucci sta esasperando ad ogni occasione.
Sembra che Genova alle prese con la sua crisi demografica, economica, sociale e di visione, con le sue aziende pubbliche dai bilanci disastrati e ipersindacalizzate, cerchi di scaricare parte delle sue inefficienze e dei suoi costi sul Tigullio e sui suoi abitanti.
E qui c’è un paradosso.
Ritorniamo alla Tigullio Pubblici Traporti. Una delle ragioni per le quali i Comuni del Tigullio si fanno annacquare progressivamente nel capitale della TPT, fino a divenire una minoranza irrisoria e totalmente ininfluente, è che fino al cambio di maggioranza al Comune di Genova con l’avvento di Bucci (giugno 2017) il Sindaco precedente, Marco Doria, esponente della sinistra radicale, lavora intensamente per la privatizzazione dell’Amt, un carrozzone diventato ingovernabile per l’estremismo di un sindacato sempre più irragionevole e corporativo. La gestione dell’azienda, esposta a influenze sindacali fortissime, diventa sempre più inefficiente e deficitaria e Doria, uomo di sinistra radicale, ma intelligente e intellettualmente onesto, pensa che un privato possa risanare là dove un’Amministrazione Comunale troppo condizionata dalla politica e dai sindacati non ce la fa.
In vista della ipotetica privatizzazione, ai comuni del Tigullio, alle prese con i vincoli finanziari del patto di stabilità, e forse preda di un opportunismo miope, non è parso vero di sfilarsi e risparmiare l’obolo annuale della ricapitalizzazione della società, accettando di farsi progressivamente annacquare nel capitale della stessa fino a quasi scomparire. Nessuno pensa in quel momento all’importanza per la comunità del presidio delle attività di trasporto e senza riflettere troppo si rinuncia a qualunque voce in capitolo.
Il paradosso, ma solo fino a un certo punto, è che sia proprio un Sindaco del capoluogo di centrodestra, per seguire impulsi populisti e per compiacere sindacati estremisti, a cancellare ogni ipotesi di privatizzazione e a rilanciare sull’impresa pubblica in cui però, a tutt’oggi, non si vede alcun segno di miglioramento nell’efficienza e nella gestione.
La nuova tappa di questo processo di inesorabile accentramento sul capoluogo della gestione dei servizi sembra essere quella della gestione dei rifiuti urbani. Una delle ipotesi formulate da Bucci è quella di affidare senza gara (in house come è di moda dire oggi) la gestione dei rifiuti all’Amiu, la disastrata azienda municipalizzata del capoluogo, con il rischio più che concreto di far gravare sui cittadini del Tigullio gli extra-costi e le inefficienze del carrozzone genovese. È evidente che la strada giusta non è affidare senza gara all’Amiu il servizio ma è quella invece dell’appello al mercato, al confronto tra offerte, alla scelta della soluzione più efficiente. Quale è la ragione per cui si vuole rilanciare un anacronistico monopolio pubblico? Vedremo come andrà a finire.
Ultimo, ma non ultimo capitolo, è il tema della sanità, dove da anni si rincorrono voci su un ridimensionamento del livello dei servizi resi alla popolazione del Tigullio. Taluni paventano addirittura la scomparsa dell’Asl 4. L’esiguità di risorse previste dalla Regione per la sanità del Tigullio in caso di disponibilità derivanti dal Recovery Fund è lì a testimoniare la scarsa considerazione dei bisogni della nostra comunità.
Anche in questo caso la vigilanza è d’obbligo per evitare brutte sorprese.
Ma come è possibile che il Tigullio non riesca a far valere le proprie ragioni e a difendere i propri interessi? Perché non si riesce attraverso la mobilitazione di categorie economiche, forze sociali, istituzioni locali a difendere la specificità e la qualità della vita e dei servizi del nostro comprensorio?
Sono stati eletti in Regione alla ultima tornata ben 6 consiglieri regionali su 40 provenienti dalla nostra terra. Ciò significa che il Tigullio è addirittura sovrarappresentato in Consiglio Regionale rispetto alla sua popolazione sul totale della popolazione della Liguria.
Domenico Cianci, Claudio Muzio, Sandro Garibaldi, Giovanni Boitano fanno capo alla maggioranza di Giovanni Toti che ha vinto; Luca Garibaldi e Fabio Tosi fanno capo alla minoranza. Questi consiglieri sono una forza importante che certamente potrebbe giocare un ruolo di primo piano a favore delle popolazioni del comprensorio.
Ma come detto occorre visione, iniziativa e capacità di farsi valere all’interno delle forze politiche di appartenenza. Nella politica democratica i partiti non sono il male ma i soggetti della rappresentanza popolare e gli attori delle decisioni. Bisogna avere il coraggio insomma di ritornare a fare politica sotto le proprie insegne ma essendo capaci anche di dialogare e collaborare con gli altri per il bene comune, come fu negli anni ormai lontani del centrosinistra.