di LUCA GARIBALDI *
Gentile redazione di ‘Piazza Levante’,
intervengo nella riflessione sul tema Entella, anche perché alcune considerazioni negli ultimi editoriali, come il punto sull’ipotesi di un parco fluviale, penso siano utili a guardare con un occhio nuovo una vicenda ormai assai compromessa.
Quasi fuori tempo massimo, se non oltre, infatti, sta riprendendo la discussione sulla messa in sicurezza del fiume Entella, ormai bollata – in maniera assai ingenerosa – ‘Diga Perfigli’, e divenuta da quasi un decennio motivo di scontro politico e spesso di campagna elettorale.
Oramai il terreno è talmente consumato da tale scontro, che è difficile ricomporre i fili di un ragionamento, ma per onestà intellettuale penso sia necessario porre alcuni punti fermi, ricostruire alcune questioni e porre alcune domande.
Non condivido chi sostiene – anche avendo avuto responsabilità istituzionali di rilievo – che ci debba essere “un rischio ragionato” nei confronti della gestione delle alluvioni per chi vive sulla piana dell’Entella. Nessun territorio è immune dai fenomeni meteo estremi, l’abbiamo visto anche pochi giorni fa, e a sostegno di scelte future non può soccorrere la memoria collettiva dei decenni scorsi, visto che il contesto è completamente cambiato. Nel momento in cui si parla di transizione ecologica, di cambiamenti climatici, di fenomeni estremi, pensare che questi non possano interessare anche il nostro territorio in forme e modi inediti, è un segno di irresponsabile superficialità. Per cui è necessario individuare delle soluzioni che rispondano all’esigenza di proteggere le persone ed il territorio dai cambiamenti climatici, senza snaturare le aree oggetto di intervento.
Fatta questa necessaria premessa, nella vicenda messa in sicurezza dell’Entella si sono contrapposte diverse posizioni, figlie di una mancata responsabilità della politica – ad ogni livello – rispetto a un’opera che a parole nessuno vuole e che, invece, nel momento in cui si rimette in discussione, gli enti preposti ribadiscono si debba fare.
Dal 2013 ad oggi lo scaricabarile è stato frequente. Nel 2015 le competenze della difesa del suolo sono passate dalla Provincia di Genova a Regione Liguria, che se da un lato sosteneva le ragioni di associazioni e comitati, dall’altro confermava nei piani triennali delle opere di difesa suolo l’intervento.
Nel 2017 chiesi in Commissione Ambiente un approfondimento con i Comuni interessati e le strutture tecniche e le associazioni per capire come si intendesse procedere sull’opera: se era intenzione accantonare il progetto esistente, o continuare nell’esecuzione dell’opera. Non si prese una decisione né in un senso né nell’altro, e si arrivò ad una paradossale situazione: per far partire l’opera, ormai di competenza regionale, con un emendamento della Giunta si staccò il settore competente per affidarlo in gestione alla Città Metropolitana, con il compito di realizzare i lavori di messa in sicurezza. Un modo per provare a salvare capra e cavoli, senza assumersi troppe responsabilità sul tema.
Negli anni successivi, l’opera ha continuato il suo iter, fino all’assegnazione dei lavori. Nei mesi scorsi, ho richiesto un ulteriore approfondimento per capire quale fosse la posizione di Regione Liguria sull’alternativa dello scolmatore, e il confronto in Commissione Ambiente è ancora aperto, ed a oggi sono in attesa di sapere, tramite interrogazione, la posizione di Regione Liguria in merito al possibile progetto dello scolmatore.
Nessuna opera è infatti un totem immutabile e incontestabile, neppure questa, perché ogni questione tecnica può essere aggiornata, modificata e integrata, e quello che conta sono gli obiettivi che ci si pone, per risolvere questioni annose, e su questo esiste una responsabilità della politica di rispondere alle esigenze dei cittadini, a partire dalla sicurezza e dalla sostenibilità.
Mi si permetta di dire che il tempismo del rinnovato protagonismo di contrasto dell’opera da parte dei Sindaci su cui si svolge l’intervento, a lavori assegnati e a iter pressoché ultimato, sicuramente rende molto più difficile bloccare l’opera, dal punto di vista giuridico, e che ci sia una dose di posizionamento politico indipendentemente dal merito e dall’esito, come è abbastanza evidente anche dal “vorrei ma non posso” del Comune di Chiavari. E che questa decisione non è accompagnata da ipotesi alternative, che andrebbero messe in campo rapidamente.
Su questo ci sono diversi aspetti da sottolineare.
La responsabilità della messa in sicurezza non può essere lasciata all’autonomia (e alla responsabilità) dei Sindaci ma deve coinvolgere attivamente chi ne è competente. Per cui la Regione deve dire se si va avanti e in che modo o se si vuole chiudere questa pagina e riaprirne un’altra. Su questo è necessaria un’operazione di chiarezza, e non basta far proseguire i lavori, se questa è l’intenzione della Regione, perché così com’è l’opera è non è risolutiva della messa in sicurezza, ma ne costituisce una prima parte, senza alcuna ipotesi di proseguimento. Si colloca quindi su un binario morto.
Infatti – sia che l’opera venga realizzata o meno – non esiste alcun ragionamento, né progetto né finanziamento per la messa in sicurezza complessiva del fiume Entella. Le soluzioni abbozzate nel passato non sono né praticabili né condivisibili, a mio avviso, e colgo l’occasione per dire con chiarezza che – a proposito di protocolli di intesa – sarebbe l’ora che i Comuni accantonassero definitivamente le ipotesi di intervento sull’Entella a monte del Ponte della Maddalena collegate all’eventuale prolungamento di viale Kasman, non compatibili con l’idea di sostenibilità che deve guidare tutte le scelte su quell’area.
Esiste una richiesta di tutela della piana dell’Entella, della sua vocazione agricola e della sua integrità. Un punto che condivido pienamente e che penso sia giusto vada sostenuto anche negli strumenti di pianificazione urbanistica sovraordinati, ad esempio con un vincolo regionale nel nuovo Piano Territoriale Regionale, che preveda il mantenimento delle vocazioni agricole e no al consumo di nuovo suolo. Questo significa dover essere coerenti e operare per far sì che in quell’area non ci siano attività incompatibili con quella prospettiva.
È emersa, come alternativa di lavoro, l’ipotesi di un Entella come un possibile parco fluviale, di conservazione, valorizzazione e mobilità dolce. È una suggestione che condivido e da approfondire, che risponde anche a quell’esigenza di sviluppo sostenibile di cui abbiamo necessità e che orientano le scelte finanziare (si veda il PNRR), ma che pone alcune scelte urbanistiche – delocalizzazione, rifunzionalizzazioni, decostruzione – anche su chi opera in quell’area e non è coerente con quella vocazione, di cui sarebbe utile comprendere la posizione dei Comuni interessati.
È un progetto che deve tenere conto sia degli aspetti di messa in sicurezza che di valorizzazione, ma perché funzioni si deve rapidamente fare un salto di qualità e recuperare una capacità di programmazione, di finanziamento e di iniziativa sui temi ambientali che ad oggi non c’è stata e che deve andare al di là del no a progetti che, come ripeto, nascono come soluzioni tecniche alla questione politica di prima grandezza della salvaguardia delle persone e delle cose in zone alluvionabili.
Perché, in tutta questa vicenda, il tempo non è una variabile indipendente, e sarebbe irragionevole porre la questione dello stop all’attuale progetto e poi demandare il tutto all’avvio di iter infiniti, studi e ipotesi da zero, per cui ci si troverebbe tra molti anni senza soluzioni per la messa in sicurezza dell’Entella e la valorizzazione sostenibile di quell’area.
(* Capogruppo del Partito Democratico al Consiglio Regionale della Liguria)