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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Funzionaria della Soprintendenza diffamata: il Comune di Chiavari perde anche in appello. E il conto sale a 45mila euro di soldi pubblici

Il consigliere Nicola Orecchia: “Chiedo al testimone del giudizio, Antonio Segalerba, che partecipava ai sopralluoghi con la funzionaria nel cantiere in questione, di dire alla cittadinanza chi sia stato a scrivere il testo”
Il centro storico di Chiavari con la Cittadella e il Comune in primo piano
Il centro storico di Chiavari con la Cittadella e il Comune in primo piano
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(r.p.l.) Quarantacinquemila euro di soldi pubblici spesi dal Comune di Chiavari per aver diffamato pubblicamente una funzionaria della Soprintendenza. Una spesa sempre più ingente, e ancora non si capisce, né viene fuori, chi sia stato l’autore della scritta che venne collocata sulle recinzioni dei cantieri in via Federico Delpino.

La notizia, che Palazzo Bianco si è guardato bene dal comunicare (sia perché fortemente negativa sia perché, in questo caso, non c’era evidentemente modo di accusare i predecessori né gli avversari politici per la clamorosa leggerezza commessa, per quanto perfettamente sintomo dell’insopportabile protervia con cui si ragiona dentro a certe stanze dell’amministrazione), viene annunciata dal consigliere comunale d’opposizione, Nicola Orecchia: “Nel totale silenzio della Giunta Messuti, il Comune di Chiavari perde di nuovo la causa in appello, ma la manina dell’autore rimane ancora nascosta e cresce il conto a carico dei cittadini. A seguito della mia istanza di accesso agli atti, ho appreso che la Corte d’Appello di Genova con sentenza n. 1274 del 21 novembre scorso ha respinto l’appello proposto dal Comune d Chiavari. È stata, quindi, confermata la sentenza del Tribunale di Genova che ha condannato il Comune al risarcimento dei danni in favore della funzionaria della Soprintendenza, causati dall’esposizione in pieno centro cittadino del cartello diffamatorio firmato anonimamente ‘L’Amministrazione Comunale’”.

La Corte ha condannato il Comune a pagare anche le spese processuali dell’archeologa, oltre al doppio del contributo unificato e così il conto per i cittadini ha già superato i 45mila euro. “La Corte – prosegue Orecchia – ha confermato che: ‘Il cartello, per come strutturato, è lesivo dell’onore e della reputazione professionale della funzionaria pubblica’; ‘La condotta del comune fu tanto più grave, ove si consideri che questa non offrì alla cittadinanza un’informazione doverosa e, cioè, che i controlli richiesti dalla Soprintendenza e dalla funzionaria non erano campati in aria, ma imposti dalla legge’; ‘Il comune si guardò bene dallo specificare che i lavori erano stati sospesi per i necessari approfondimenti storici, imposti dalla legge (…) e non da un capriccio della funzionaria’; ‘Essere additati pubblicamente come una persona che abusa dei propri poteri e non sa fare il proprio lavoro, a discapito dell’interesse di quella collettività, i cui interessi il diffamato deve realizzare, determina uno svilimento della propria persona, che non può non ripercuotersi sulla vita quotidiana, lavorativa e relazionale’. A leggere queste motivazioni, stupisce che questa amministrazione sia così facile alla denuncia contro tutti coloro che la criticano (ad esempio, sul gruppo Facebook dei Mugugni del Comune di Chiavari) e, nel contempo, si dichiari in continuità con la precedente che è stata la prima a diffondere fake news (sul blocco dei lavori), oltre ad offendere e diffamare una funzionaria pubblica per avere fatto il suo lavoro”.

Il consigliere ricorda anche che “alla mia interrogazione con cui ho chiesto di sapere chi sia stato l’autore del cartello diffamatorio, ad oggi, non ho ancora ricevuto risposta. Chiedo al testimone del giudizio, Antonio Segalerba, che partecipava ai sopralluoghi con la funzionaria nel cantiere in questione e che, essendo al corrente dei fatti, sicuramente conoscerà chi sia stato l’autore del cartello incriminato, di dire alla cittadinanza chi sia stato a scrivere il testo e a chiedere di installare quel cartello improvvido. Non rimanga nascosto: è giusto e doveroso che la manina dell’autore del cartello diffamatorio venga messa nel proprio portafoglio, non in quello dei chiavaresi”.

Ma come andarono le cose? Il 9 marzo 2022, il Comune di Chiavari fu condannato in primo grado dal Tribunale di Genova a risarcire con ventimila euro una funzionaria della Soprintendenza, che dalla stessa amministrazione si era sentita diffamata attraverso un cartello posizionato sul cantiere di via Delpino nel maggio del 2018. La dottoressa Nadia Campana aveva denunciato Palazzo Bianco. Palazzo Bianco era stato dal giudice ritenuto colpevole per aver criticato il lavoro di una professionista, in modo arrogante e provocatorio, per giunta facendone e scrivendone nome e cognome. Un mese prima, nell’aprile del 2018, il cantiere per la pulizia dei canali di scolo in via Delpino era stato interrotto a causa della necessità, da parte della Soprintendenza, di svolgere alcuni approfondimenti di tipo archeologico. Ad un certo punto era comparso, a spiegazione dei ritardi, il cartello incriminato.

“La dr. Nadia Campana, funzionario archeologo della Soprintendenza di Genova, ha ritenuto che il muro che intralcia il canale di scarico fosse rilevante dal profilo storico. Con provvedimento del 27 aprile 2018 ha bloccato i lavori e ha imposto indagini conoscitive ed un progetto che dovrà essere sottoposto ad una apposita commissione costituita presso la Soprintendenza. Si potrà riprendere il lavoro dopo che la burocrazia avrà fatto il suo corso. Questo è lo stato dell’arte. Ci scusiamo con i cittadini per i disagi. L’amministrazione fa il possibile per eseguire importanti lavori per evitare gli allagamenti del centro ma il sottosuolo presenta molteplici sorprese e la burocrazia non aiuta”.

Già al momento del fattaccio, gli Archeologi del pubblico impiego, che sono riuniti in un’associazione, si erano pubblicamente indignati: “Il proprio nome appeso alla rete di cantiere. Il proprio nome nel pieno centro di Chiavari, sotto gli occhi di tutti. Un cartello come un dito puntato, maldestro quanto grottesco tentativo da parte di un’amministrazione comunale inadempiente di cercare un capro espiatorio per quei lavori ormai fermi da tempo, offensivo nei modi e ampiamente inesatto nei contenuti. È accaduto a una collega funzionaria archeologa della Soprintendenza della Liguria, rea soltanto di aver fatto il proprio dovere, operando un sopralluogo ispettivo presso un cantiere pubblico per il quale era mancata la regolare procedura di archeologia preventiva, e nel quale era emersa una struttura archeologicamente rilevante”.

Quel cartello era costato 20mila euro in primo grado. Ne costa 45mila in appello. Ma tutti a Palazzo Bianco stanno zitti. Quando a loro conviene, il silenzio lo conoscono.

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