di ANTONIO GOZZI
Abbiamo già raccontato su queste pagine che la nascita della Società Economica il 15 aprile del 1791 avviene in pieno periodo illuministico, meno di due anni dopo la Rivoluzione Francese, ad opera di un gruppo di persone quasi tutte chiavaresi tra cui nobili, borghesi, religiosi; questi vollero costituire un’associazione che ispirandosi ad analoghe iniziative sorte in altre città italiane ed europee avesse come finalità il miglioramento dell’agricoltura, delle arti e del commercio.
Abbiamo detto come fin dalla prima riunione si decise di dare a questa associazione il nome ‘La Società Economica del Territorio di Chiavari’. Nel termine scelto, ‘Economica’, c’è certamente il senso di sostegno e di promozione dello sviluppo locale e quindi un fatto di straordinaria novità: lavoriamo insieme per lo sviluppo, ma costituiamo anche un riferimento culturale illuministico al razionale impiego dei mezzi disponibili per conseguire buoni risultati nelle azioni svolte.
La tesi della riflessione di oggi è che anche la nascita dell’Economica sia la prima espressione di quei venti anni ‘francesi’ che modificarono radicalmente la storia di Chiavari e che in pochissimo tempo, se comparati alle lungaggini dei tempi odierni delle riforme e della politica, cambiarono il senso della storia nostra ponendo le basi di uffici dell’amministrazione moderni, di istituzioni democratiche, della libertà di commerci e di attività economiche, di strutture urbane e viarie molto più importanti di quelle fino ad allora esistenti. Senza quei vent’anni di idee e opere Chiavari e il Tigullio non sarebbero riusciti a conquistare quell’identità e quella specificità che ancora oggi sorreggono l’anelito di autonomia, e non sarebbero stati luoghi così importanti nella vicenda risorgimentale.
Ma andiamo con ordine.
La storia è strana e piena di contraddizioni. Quest’onda di modernità e progresso portato dai francesi nei nostri territori nasce nel 1797 con una specie di annessione della Repubblica di Genova nell’orbita francese e con l’istituzione della Repubblica ligure, una delle cosiddette ‘repubbliche sorelle’ o ‘repubbliche giacobine’. Un atto di espansionismo e di imperialismo, si direbbe oggi. Il referendum del 1805 che sancì anche formalmente il predominio francese non fu certamente uno dei più democratici, visto che con la regola elettorale si stabilì di considerare come voti favorevoli quelli degli assenti o degli astenuti.
Eppure da quell’atto di imperio, da quelle mire espansioniste di Bonaparte, si avviò per Chiavari e per il Tigullio un periodo di enormi progressi.
Il 2 giugno del 1805 Napoleone firmò il decreto che conferiva a Chiavari la nomina a capoluogo del ‘Departement des Apennins’. Il dipartimento fu costituito dalle due giurisdizioni liguri dell’Entella e del golfo di Venere, alle quali fu unito il circondario di Bardi distaccato dal Granducato di Parma e Piacenza.
La decisione che fu presa direttamente da Napoleone fu dallo stesso motivata dal fatto che Chiavari era la città più comoda, la più conveniente e la più amica dei francesi fra tutte le città della riviera. E chissà che nel formarsi di quella opinione e in quella decisione non abbia pesato anche l’influenza del marchese Stefano Rivarola, padre fondatore della Società Economica che nel periodo napoleonico fu anche ambasciatore a Parigi e che aveva manifestato negli anni precedenti all’influenza francese affinità culturali con i movimenti d’oltralpe.
Il rango di capoluogo comportò l’arrivo di molte famiglie di funzionari francesi e dei loro stipendi; ciò creò un grande movimento economico rappresentato dai consumi di questa nuova borghesia amministrativa, che iniziò a risanare vecchie abitazioni, a costruirne di nuove, a cambiare il modo di vestire introducendo la moda francese, a incrementare letture e spettacoli, a propagare la cultura della modernità e dell’illuminismo, a togliere dall’isolamento la comunità chiavarese e del Tigullio.
Alcuni fatti emblematici: proprio in quegli anni nacque la tipografia di San Giovanni che visse per quasi duecento anni e che molti di noi ancora ricordano (Umberto V. Cavassa la celebra come luogo di incontro dei risorgimentali ne ‘I giorni di Casimiro’); nel 1805 si insediò in via Ravaschieri il primo ufficio postale; nel 1809 si contano in città ben 23 botteghe di parrucchieri per signora e 14 barbieri, nel 1811 nasce il primo giornale chiavarese, ‘Il Giornale degli Appennini’.
Ma le cose più importanti che i francesi fecero sono rappresentate dalle opere pubbliche, dalla costruzione degli uffici amministrativi e giudiziari, dall’aver rotto i vincoli delle corporazioni di tutti i tipi che ingessavano la Repubblica di Genova impedendone la crescita economica e che avevano per tanto tempo compresso anche l’economia del Tigullio sotto il tallone delle corporazioni della Superba.
Il Palazzo del Municipio, il Tribunale alla Cittadella, la concezione urbanistica moderna della città con larghi viali, l’apertura al mercato nazionale e internazionale per i tessuti delle migliaia di telai del Tigullio fino ad allora impossibilitati a essere autonomi e obbligati a vendere tutto il prodotto alla corporazione genovese, sono tutte conquiste di quel periodo e rappresentano un formidabile salto verso la modernità.
La Società Economica avvia in quegli anni la sua intensa e benemerita attività di lancio di iniziative formative e scolastiche: prima un Asilo d’Infanzia, poi nel 1820 presso la propria sede lancia due scuole, una di disegno e una di ornato; più tardi proseguendo la sua attività in campo formativo apre una scuola di geometria e chimica applicata alle arti. Anche il primo stabilimento di educazione femminile in Chiavari si deve alla Società Economica che avvierà l’Ospizio di Carità e Lavoro il quale arriverà ad ospitare tra le 60 e le 70 orfanelle e a provvedere alla loro educazione elementare e alla formazione professionale in attività domestiche.
Ma ritorniamo all’azione di governo dei francesi.
Scrive C. Garibaldi, storico locale, in una prolusione sulla provincia di Chiavari pubblicata in occasione del Congresso Agrario del 1853: “….aggregati all’Impero Francese sotto il nome di Dipartimento degli Appennini, quel governo conoscendone i bisogni non solo rifondea quanto ritraeva dalle pubbliche gravezze (tasse, n.d.r.), ma anzi vi versava altro denaro per i grandiosi lavori intrapresi di ponti, strade, fortificazioni, palazzi…”.
Anche il famoso ‘seggiun’ della piana dell’Entella è una delle grandi opere pubbliche di quel periodo, un’opera di difesa idrogeologica imponente per l’epoca e volta alla difesa dalle inondazioni della piana e della città di Lavagna. Dal che se si riuscirà a vincere la battaglia per la tutela della piana dell’Entella e si riuscirà a impedire lo scempio della diga Perfigli, molto sarà ancora una volta dovuto al bene che fu fatto dai francesi in quel periodo.
L’età aurea purtroppo dura poco. Al cadere di Napoleone nel 1814 anche per Chiavari e il Tigullio si profila una dura restaurazione. Scrive ancora Garibaldi: “…uniti al Piemonte, improvvisi rovesci commerciali, e diverso sistema di governo mutarono la sorte nostra. Cessata intieramente l’azione governativa in tutte le opere di pubblica utilità, il denaro nostro serviva a impinguare le casse dello stato, il commercio non protetto, i miglioramenti o vietati o impediti assolutamente, o resi nulli da un cieco sistema di diffidenza…”. E ancora: “…ma il danno maggiore fu l’avere abbandonato questi paesi alle individuali lor forze senza mai riversarvi la benché minima somma di quanto entrava nel pubblico Tesoro. Sebbene la provincia di Chiavari abbia sempre contribuito annualmente per meglio che un milione alle entrate dello Stato non vide mai farsi spese dello stesso o opera alcuna; e se esistono strade queste fur fatte a spese totali della Provincia e dei Comuni… Per cui se non fosse stata la naturale attività degli abitanti, e quell’irresistibile movimento che spinge l’umanità sulla via del progresso, saremmo caduti nella più deprecabile condizione”.
Genova matrigna drenava la maggior parte delle risorse destinate dai Savoia alla Liguria e sulle ali della regione non arrivava niente.
Son passati più di centosessanta anni e il quadro non è di molto mutato.
Ma il seme dell’emancipazione, dell’autoconsiderazione, della formazione, del gusto per la cultura, del progresso era lanciato da quegli anni gloriosi e un soggetto capace di raccoglierlo e di farlo crescere era nato ed è vissuto fino ad oggi.
Grazie Società Economica, buon compleanno, non ci lasciare mai. Che i giovani lavorino e proseguano la tradizione, facciano ancora sventolare la tua bandiera, ti venerino come i romani facevano con i loro Penati!!!