di DANILO SANGUINETI
Non fate arrabbiare i pescatori! Il tipo di sportivo più paziente che ci sia, sopporta qualsiasi imprevisto ed è allenato a non perdere la tranquillità, la conserva come una delle sue doti migliori, se però la perde – in casi rarissimi – beh è meglio girare al largo. Uno di questi eventi si è verificato proprio in questi giorni.
La Fi.Ma Chiavari ha preso decisamente posizione sulla questione del ripopolamento dei corsi di acqua prosciugati da una estate arida e da… altri contrattempi. Il presidente del sodalizio chiavarese, Umberto Righi, non la prende alla lontana. “Il Torrente Lavagna, nel tratto tra Coreglia Ligure e Carasco, ormai da settimane si presenta con 7 chilometri di alveo asciutto, e poche pozze gremite di pesce che si stanno prosciugando. Attenzione, non è solo la siccità a causare questo, ma le pompe degli acquedotti che prosciugando la falda aspirano anche lo scorrimento superficiale, mandando tutto a Rapallo e Santa Margherita”.
La questione, si intuisce, rischia di diventare scabrosa. Non è più un interesse di parte, una rivalità sportiva, dietro ci sono diatribe amministrativo-economiche, tensioni di campanile, siamo a un passo dal far intervenire la politica. Alla Fi.Ma sono stufi di doversi sobbarcare le magagne altrui. “Sono anni che ripetiamo le stesse cose e sono anni che i pescatori con le guardie Fipsas recuperano i pesci trasferendoli in zone sicure. Ma questa volta i pescatori ed in particolare la Fi.Ma, si rifiutano di intervenire, lasciando il compito di salvare la fauna ‘autoctona’ agli ittiologi e al Ministero che ha imposto i blocchi alle semine di trote allevate (fario, iridee e salmerini). Con il blocco semine, abbiamo perso tesseramento e licenze, le società di pesca stanno morendo, per cui non ci prestiamo più allo sfruttamento gratuito del nostro operato”.
A portare in salvo i pesci ci pensino gli ‘espertoni’… “Aspettiamo che ittiologi, animalisti e ambientalisti agiscano, si rimbocchino le maniche e vadano a faticare nel greto del fiume a rimescolare nelle pozze maleodoranti con retini e storditori come facevano quegli ‘stupidi’ pescatori gli anni scorsi, a salvare decine di quintali di anguille, cavedani, barbi, alborelle, tinche, cobiti, lasche, tutti ceppi autoctoni, che moriranno con atroci sofferenze”.
Articoli e reportage apparsi nelle scorse settimane spiegavano cosa stava succedendo nella gestione della pesca e patrimonio ittico, le ‘imposizioni’ del Ministero della Transizione Ecologica che di fatto ha bloccato le immissioni di specie ritenute ‘alloctone’ (ossia non originarie del luogo), per preservare i ceppi ‘autoctoni’. Ma tra il dire e il fare, o meglio tra l’imporre e vietare, c’è la dura realtà, che delle teorie e delle norme ‘perfette’ se ne infischia.
Righi si lancia in un’arringa appassionata quanto documentata: “Ci sono cause impattanti. Ambienti disastrati e inquinati, da situazioni causate dall’uomo, l’Italia non ha solo acque pure e cristalline di fonte, rogge e torrenti spumeggianti e ossigenati. Esistono anche acque meno pregiate che scorrono tra pianure e città, con interferenze dell’uomo che le preleva, le inquina, le spiana, le canalizza, le imbriglia e le sfrutta per scopo potabile, irrigazione, idroelettrico, o industria, pertanto vi sono acque di serie A e di serie B, non si può e non si deve fare di tutta l’erba un fascio, ogni valle ha la sua situazione, creata dall’uomo per le sue esigenze quotidiane di vita, e non parlo di esigenze di pesca sportiva, ma esigenze civili e industriali. Pertanto, se le esigenze civili e industriali sono prioritarie nei confronti della tutela dell’ecosistema e ancor di più sui ceppi autoctoni, viene spontanea la domanda: perché il Ministero ha drasticamente ‘imposto’ il blocco semine senza specificare almeno la categorie e classificazione delle acque ove tali divieti devono essere applicati?”.
Va anche ricordato che in Italia esistono da tempo regole per il rispetto del DMV (Deflusso Minimo Vitale), che chissà perché non viene applicato per le derivazioni e pompaggio a uso potabile. Il caso del prosciugamento del Torrente Lavagna ne è l’esempio lampante, si sono succedute nei decenni, varie amministrazioni provinciali e regionali, ma il danno si ripete con cadenza annuale, più o meno evidente, e le cinque pompe di ‘Coreglia Ligure’ non si fermano mai. “Pertanto, adesso ci siamo stufati, e non ci prestiamo per l’ennesima volta al recupero del pesce. Che vadano i tecnici della Regione a recuperare i pesci, ma senza pescatori, e da ‘camalli’ usino gli ambientalisti e animalisti subito schierati a favore di queste scelte estremiste che di fatto sono già sulla carta irrealizzabili, e sul territorio ancora meno sin quando i torrenti saranno oggetto di derivazioni, centraline elettriche, scarichi fognari e industriali, spianati da ruspe e imbrigliati da argini in pietra o cemento, banalizzati e senza rifugi (tane) per i pesci, depredati dagli uccelli ittiofagi, moltiplicatisi a dismisura per opere di tutela degli stessi animalisti”.
Brutta questa guerra tra chi protegge e chi vuole iperproteggere. Sembra uno scontro tra due ragioni, occorrerebbe l’intervento della politica, segnatamente di chi ha responsabilità amministrative.
Una voce in questi giorni si è alzata. “Serve al più presto una proroga a livello nazionale per consentire l’immissione in fiumi e torrenti di trote fario e iridea. A causa della linea adottata dal Ministero per la Transizione Ecologica e dal Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente sono a rischio non soltanto la possibilità per tanti pescasportivi di praticare questa loro passione, ma anche tante attività e tanti posti di lavoro legati all’indotto. La pesca alla trota coinvolge ogni anno in Liguria circa 25mila persone, delle quali oltre la metà proveniente da fuori regione o dall’estero. È un pezzo importante della nostra economia regionale, in particolare nel nostro entroterra, che va salvaguardato”. Lo ha dichiarato il consigliere regionale Claudio Muzio, capogruppo di Forza Italia, al termine della discussione in aula della sua interrogazione relativa al diniego del Ministero della Transizione Ecologica. “Ben venga – ha proseguito Muzio – l’iniziativa della Regione di predisporre una nuova richiesta al Ministero per ottenere l’autorizzazione all’immissione di queste trote in tratti di corsi d’acqua della Liguria, rielaborando e puntualizzando lo studio presentato nel marzo scorso. Si potrebbe però trattare di quantitativi di avannotti e di tratti d’immissione molto limitati. Per questo credo che vada fatto un passo ulteriore, mettendo in campo la richiesta, in sede di Conferenza Stato-Regioni, di un accordo che fissi quanto prima un congruo periodo transitorio per consentire da subito le immissioni in ottemperanza alle Carte Ittiche e ai vigenti Piani Ittici regionali, accompagnando il sistema gestionale della pesca nelle acque interne ad un graduale adeguamento della normativa. Il Ministero della Transizione Ecologica, che è chiamato a mettere in campo provvedimenti importanti per il nostro Paese per andare nella direzione della salvaguardia ambientale, lo deve fare attraverso decisioni che siano comprensibili, motivate e ragionevoli”. Si attendono sviluppi.