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Giovedì, 25 maggio 2023 - Numero 271

La riscossa del calcio femminile, contro ironie e pregiudizi

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Nell’estate del nostro scontento – calcistico e non – ha fatto irruzione nell’immaginario del calciomaniaco italico un pugno di ragazze che indossa e onora la maglia azzurra con grande dignità e allo stesso tempo con invidiabile leggerezza.

Incattiviti da un lungo periodo di figuracce di ogni tipo, sistematicamente scornati appena si mette il naso fuori dai patrii confini, svanito il diritto ‘minimo’ a esserci nelle finali mondiali – diritto inviolato da sessant’anni – tutti noi, maschietti con la fissa del pallone, pensavamo al Mondiale Femminile come una trascurabile parentesi.

I più ‘politically correct’ non andavano oltre alla definizione della manifestazione in terra di Francia come omeopatica terapia per anestetizzare le settimane che intercorrevano tra la fine di una serie A e l’inizio dell’altra, un paio di mesetti circa. Gli irriducibili puntavano sui Mondiali Under 20 e sugli Europei Under 21 (nota a margine: non siamo riusciti a vincere neppure qui) ed aggiungevano con un sorrisetto di sufficienza: “Meglio i baby che le signore in calzoncini”.

Ancora più diretti quelli che sostenevano: “Calcio e donne sono due cose che nella vita possono appassionare, a patto che rimangano b en distinte…”. Avevano, anzi avevamo – perché è il momento di essere totalmente onesti – torto su ogni singolo centimetro della linea.
La nazionale femminile, dopo aver conquistato con pieno merito la sua terza qualificazione ad una fase mondiale della rassegna iridata, è andata in Francia non per fare passerella, ma per dimostrare che il movimento italiano era cresciuto, e molto. Messe in un girone di qualificazione proibitivo (solo la Giamaica era alla nostra portata, Brasile e Australia erano tra le favorite per il podio) hanno battuto ‘aussie’ e ‘rasta’, perso solo con le ‘carioca’ e vinto il girone.

Non contente, nella fase a eliminazione diretta hanno superato la Cina arrendendosi solo all’Olanda, avanti, molto avanti come organizzazione e mezzi rispetto al nostro ancora implume movimento rosa. Eguagliato il risultato del 1991 con le non piccole differenze dell’aver superato per la prima volta un turno ad eliminazione ed essersi confrontate con avversarie di livello infinitamente superiore a quello di 28 anni fa. Eppure queste sono quisquilie rispetto al vero trofeo conquistato dal capitano Sara Gama – “a proposito” che dire di questa trentenne che si esprime come un libro stampato e che riassume il pensiero suo e delle compagne senza che gli scribacchini al seguito debbano depurarlo di strafalcioni e anacoluti? – e dalle altre 22 partecipanti al Mondiale: il rispetto di chiunque osservi lo sport senza gli occhiali del pregiudizio.
Legioni di latenti maschilisti hanno dovuto ammettere, alcuni a denti stretti, che si sono divertiti, interessati, addirittura emozionati nel seguire le vicende dell’’altra metà del cielo azzurro’. Non donne in calzoncini, non bamboline che arrancano dietro un pallone troppo veloce e imprevedibile, ma atlete che con tecnica, corsa, sudore, grinta, passione lo domano e, se il caso, si inventano anche modi inediti per spedirlo in fondo al sacco.

Le ragazze di Milena Bartolini – altro “a proposito”: educata, sorella maggiore che fa scelte nette e severe senza che una si azzardi a dire mezza parola, capace di di spiegare chi è e che cosa intende fare in maniera chiara e diretta, altro sogno irrealizzato per chi ha a che fare con i colleghi maschi… – non hanno solo perforato le difese avversarie, hanno sfondato le barriere invisibili, messo a tacere quelli che ritenevano il calcio femminile una sotto categoria dell’insieme ‘Sport Inutili’.
Uno spot promozionale formidabile per farlo crescere ulteriormente. Un fertilizzante che non andrà disperso su un terreno che in molte parti di Italia si mostra estremamente favorevole alla semina.
Tra queste parti il Tigullio in generale e Chiavari in particolare vanno annoverati. In una città di 27mila anime troviamo due realtà che hanno lasciato la fase pionieristica e crescono a ritmo stupefacente. La Virtus Entella ha inaugurato la sezione femminile nel 2016 con un Under 10, nella prossima stagione allestirà Under 17 che quindi si aggiungerà all’Under 15, Under 12 e Under 10.
Il dirigente responsabile Massimo Russo è convinto che il meglio debba ancora venire: “La società appoggia con convinzione il movimento, fare le leve non è più un problema, abbiamo superato i 50 tesseramenti, i numeri sono in crescita esponenziale. La scorsa settimana nella nostra sede alla Colmata a Mare abbiamo festeggiato con oltre 70 presenze alla pizza finale del calcio femminile targata Virtus Entella. Hanno partecipato le atlete delle leve Under 10, Under 12 e Under 15. Tanta allegria e voglia di divertimento con ancora nel cuore la cavalcata della nostra nazionale ai mondiali in Francia. Un movimento forte e in continua evoluzione che si prepara a portare con orgoglio i colori dell’Entella anche nella prossima stagione”.

Non c’è tempo per sedersi sugli allori: in questa settimana, da lunedì 8 luglio a venerdì 12 luglio si terrà sempre alla Colmata sul campo sportivo Celeri una Open Week per cercare nuovi talenti: “Aspettiamo bambine, ragazzine e pure ragazze che vogliano diventare le prossime giocatrici dell’Entella. Dalle ore 8,30 alle ore 12 ogni giorno”.
Più mirato ma egualmente straordinario il percorso della squadra femminile del Rupinaro Sport: la società di quartiere, presieduta da don Fausto Brioni e guidata dal d.t. Ilario Ghiorzo ha assemblato dalle ceneri della Lavagnese femminile, una squadra Juniores che ha dato il bianco in Liguria vincendo il campionato regionale di categoria, la Coppa Liguria di Eccellenza, dopo essersi piazzate in campionato nella categoria di Eccellenza ligure-piemontese al settimo posto.
Un gruppo che si è confrontato senza paura con squadre di ‘grandi’ e che ha ampi margini di miglioramento in esperienza e tecnica.
Il calcio femminile a Chiavari vira dal rosa al roseo, in quanto a prospettive. Sarà un punto d’onore seguire le ‘Conchiglie’ del Rupinaro e le ‘Entelline’ della Virtus durante il loro intero percorso.
Non dimenticare il calcio femminile una volta passato l’afflato di entusiasmo per le imprese d’Oltrealpe sarà operazione di igiene mentale oltre che di giustizia. Il portiere Giuliani, il cecchino Galli, il martello Bartoli, il bomber Giacinti, il metronomo Giugliano ci, anzi mi, hanno insegnato molto. Per esempio ho imparato, anzi reimparato, che il calcio resta un gioco. Mi avete fatto ricordare con salvifica operazione maieutica che anche in una competizione importante si può vincere e perdere senza rinunciare alla dignità.
Niente lamentazioni, zero vittimismi, il risultato accolto con il giusto mix di orgoglio per quanto ottenuto e di tristezza per quello che si pensava di poter ancora fare. Accettare il verdetto, non accontentarsi di esso. In più la riscoperta delle facce pulite, del pudore delle emozioni singole e l’esuberanza della gioia di gruppo. Con il notevole accompagnamento del rifiuto delle facili esibizioni, del negarsi a look al limite del ridicolo, a tenere per sé i fidanzati o le fidanzate. Meno quarti di bue in vetrina, più sostanza cerebrale.

P.s. Per quelli che dicono che è un calcio ancora troppo lento, costellato da errori marchiani, in una parola troppo rudimentale. Sì, è tutto vero, però è anche un calcio con meno simulazioni, meno sceneggiate, meno botte, con maggior rispetto di avversarie e giudici. Perché, secondo voi, volley, basket e waterpolo femminili sono eguali ai corrispettivi maschili? Non è un calcio migliore o peggiore, è un calcio diverso.
Quindi ancora una volta: “Vive la difference!”.

(d.s.)

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