di ANTONIO GOZZI
Il vero problema come al solito è l’incompetenza. Ciò che colpisce e terrorizza nelle vicende dell’Ilva di Taranto è che coloro che sul lato del Governo e in generale della politica si occupano del dossier non sanno nulla o quasi di siderurgia.
Essere ignoranti sulle questioni specifiche per dei politici che devono occuparsi di mille cose diverse non è una colpa, direi che è quasi la normalità.
Diventa una colpa quando non si sopperisce al normale gap conoscitivo ricorrendo ad esperti, ma si pretende di continuare a gestire cose complesse con la propria sovrana ignoranza.
In questi giorni se ne sono sentite di tutti i colori, senza un minimo di rispetto per i fondamentali economici e tecnologici di un impianto super complesso come quello di Taranto: fare l’acciaio con il gas, chiudere la linea a caldo, mettere dei forni elettrici al posto degli altiforni e via discorrendo.
Politici e amministratori di vario orientamento si sono espressi e si esprimono estemporaneamente su cose che non conoscono e/o che nella migliore delle ipotesi hanno appena orecchiato.
Tutto ciò contribuisce solo a una grande confusione e atterrisce non solo ArcerlorMittal ma qualsivoglia potenziale investitore alternativo perché nessuno sa rispondere alla seguente domanda: ma cosa vogliono fare l’Italia e il Governo italiano a Taranto? Si vuole avere lì ancora una siderurgia e, se sì, di quale tipo e dimensione?
L’unica cosa che si percepisce è la solita aspirazione alla ‘botte piena e la moglie ubriaca’: una siderurgia, non si sa bene di quale tipo, che produce la metà di quello per cui è nata ma occupi lo stesso numero di persone.
Ci sono invece alcuni ‘fondamentali’, alcuni punti di chiarezza solare che gli esperti del settore conoscono alla perfezione e che è bene ricordare senza alcuna presunzione ma solo con senso di rispetto della realtà e della verità.
1 – Non è vero che non si può produrre acciaio da ciclo integrale (cioè da altoforno) senza inquinare gravemente il territorio circostante e le persone che ci vivono. In tutti i paesi europei occidentali, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania all’Austria, al Belgio, all’Olanda e all’Inghilterra, ci sono impianti a ciclo integrato come quello di Taranto che convivono con territori abitati senza provocare danni. Non è credibile che la sensibilità ambientale delle popolazioni di quei paesi sia inferiore a quella italiana.
L’unico punto di differenza è che quegli impianti hanno avuto continui interventi di manutenzione e migliorie tecniche, mentre Taranto dall’uscita dei Riva (luglio 2012) non ha avuto sino all’arrivo di Mittal significativi investimenti ambientali. Le tecnologie disponibili consentono di mettere sotto controllo con altissimi risultati i due impianti più impattanti, e cioè cokeria e agglomerato (sinter), gli altiforni non inquinano. Basta andare a Linz, in Austria, per vedere cosa è possibile fare su un impianto a ciclo integrale con investimenti e grande cura: noi lo chiamiamo Disneyland!
2 – Non è vero che si può produrre l’acciaio con il gas. Al massimo con il gas si può produrre carica metallica (92/93% di Fe) da mettere nei forni elettrici. Peccato che questi impianti che si chiamano Dri (Direct Reduction Iron) costino una fortuna e vengano realizzati soltanto in paesi dove il gas non costa niente (Algeria, Libia, Qatar, Venezuela, ecc). In Europa non ne esiste nessuno tranne uno vecchissimo di Mittal, utilizzato pochissimo per ragioni di costi.
3 – Taranto senza una filiera integrata (altiforni, laminati, verticalizzazioni) non ha senso perché alimentare i laminatoi con semiprodotti (bramme) acquistati da fuori è economicamente impossibile. Chi dice di chiudere l’area a caldo in realtà vuole chiudere tutto lo stabilimento. È circolata la voce che ArcelorMittal vorrebbe tenersi i laminatoi e lasciare l’area a caldo allo Stato perché si occupi della sua manutenzione straordinaria ed ambientalizzazione per poi eventualmente riprenderla dopo. Questo spiegherebbe gli esuberi di 4/5mila persone. Tanti sono gli occupati nell’area a caldo.
La proposta, se davvero è stata fatta, è inaccettabile. Che competenze ha lo Stato per rifare altiforni e mettere le mani su cokerie e sinter? A chi venderebbe lo Stato le bramme prodotte dell’area a caldo? A Mittal? E a che prezzo?
4 – Certamente si possono installare forni elettrici per sostituire almeno parzialmente gli altiforni. Anche qui c’è qualche problema, però. Bisogna trovare il rottame per alimentare i forni elettrici e in Italia ce n’è poco e ne importiamo molto, il che significa che una grossa domanda aggiuntiva come quella di Taranto rischierebbe di far esplodere i prezzi del rottame stesso, danneggiando sia la competitività dell’acciaio di Taranto sia quella dei forni elettrici della siderurgia del Nord Italia. Inoltre, non tutto l’acciaio attualmente richiesto dal mercato può essere prodotto da forni elettrico; per taluni utilizzi l’acciaio prodotto con il ciclo integrale è insostituibile.
Alla fine si torna al punto di partenza. Si chiarisca una volta per tutte cosa si vuol fare dell’ex Ilva; le decisioni devono essere però economicamente sostenibili, oltre che ambientalmente accettabili.
E nella definizione di quello che si può o non si può fare vanno coinvolti gli esperti e si deve avere a riferimento quanto fatto dalle migliori siderurgie degli altri paesi europei.
Infine, la magistratura non deve fare politica industriale. Il compito di decidere quali sono le norme ambientali da rispettare e come far funzionare o no gli impianti spetta alla Pubblica Amministrazione e non ai giudici.
Ho ancora negli occhi l’enorme distruzione di ricchezza rappresentata da centinaia di migliaia di tonnellate di coils sequestrati come ‘corpo del reato’ e lasciati per mesi ad arrugginire e marcire sulle banchine dell’Ilva.
Ho ancora negli occhi l’impugnativa per incostituzionalità da parte dei pm e dei gip di Taranto del decreto del Presidente della Repubblica che dissequestrava quell’acciaio e la sentenza della Corte Costituzionale che lo riteneva invece perfettamente costituzionale, e sconfessava su tutta la linea i magistrati di Taranto.
A proposito di certezza del diritto.