di ENRICO ROVEGNO *
Sono quasi vent’anni che – con la pubblicazione del romanzo Nostalgia – Eshkol Nevo (nato nel 1971 a Gerusalemme) ha preso un posto di primo piano sulla scena letteraria israeliana, confermato con le prove successive, da La simmetria dei desideri a Soli e perduti a Tre piani (in Italia tradotto in film da Nanni Moretti). Oggi, dopo la morte di Oz, Yehoshua e Shalev, ne è sicuramente il maggior rappresentante. Questo romanzo, Le vie dell’Eden, uscito qui da noi nel 2022 per Neri Pozza, ne è l’ennesima prova.
Annalena Benini, recensendolo sul ‘Foglio’, scriveva che la caratteristica comune a tutti i libri di questo scrittore è il “contagio”: “Mi contagiano le bugie, mi contagia la speranza che vada tutto bene, insieme alla continua, spossante tentazione di fare andare tutto male. Mi contagia, soprattutto, la comprensione per le debolezze, per l’insoddisfazione, e cedo alla seduzione di una scrittura che chiede perdono e allo stesso tempo allude al fatto che il prossimo passo sarà di certo un errore, oppure un imbroglio”. Aggiungerei che Nevo rappresenta al massimo grado quella tensione del racconto che è un po’ la cifra di tutta la moderna narrativa israeliana e anche, credo, uno dei motivi del suo successo internazionale: anche qui (come appunto nella maggior parte delle storie degli altri grandi romanzieri israeliani) il lettore è portato di pagina in pagina a seguire il sentiero di una trama che ha svolte improvvise e inaspettate, ma comunque lo porterà alla vetta (o all’abisso) di una conclusione, quasi non importa quale. E non importa, per la ragione che comunque Nevo non tradisce mai il patto implicito stretto con noi lettori: raccontarci una storia con dei protagonisti, con un inizio e una fine (per quanto labili e variabili possano essere questi concetti).
Qui abbiamo tre storie e tre protagonisti, con minime zone di contatto tra loro. La prima è quella di una “attrazione fatale” che si svolge tra la Bolivia e la Galilea. Protagonista un musicista appena divorziato che, per sottrarsi alla sensazione di perdita e quasi di lutto che lo pervade al pensiero della figlia bambina rimasta con la ex moglie, si concede una lunga vacanza. In Bolivia incontrerà una coppia israeliana in luna di miele e cadrà vittima di una infatuazione per la giovane sposa. Ma l’autore svela le sue carte a una a una, e cattura il lettore attraendolo a sua volta in maniera irresistibile verso la fine della storia, originale e diversa da come il suo sviluppo aveva fatto pensare (o temere).
Anche il secondo racconto riguarda il rapporto fra un uomo (lo stimato primario di un ospedale sulla soglia della vecchiaia) e una donna (una ragazza specializzanda nel suo reparto). E anche qui l’uomo è appena stato lasciato dalla moglie (che è morta per una malattia incurabile), e non riesce ad abituarsi alla sua mancanza. Ma nel suo caso agisce quasi soltanto la forza dei pensieri e delle emozioni, non c’è alcuna “avventura” di tipo sessuale, se non un sospetto di possibile molestia, e anche in questo caso lo sviluppo della narrazione prende strade inaspettate.
Nella terza storia assistiamo alla sparizione di un uomo dentro un frutteto, raccontata dalla moglie, di cui scopriamo via via nuovi aspetti: madre, presunta vedova, amante… Verso la fine della sua ricerca del marito la donna incontra anche i protagonisti dei primi due capitoli (il musicista e il medico), senza che tuttavia ci sia una vera interazione con loro (quello che in un film sarebbe un cameo, nulla più). Anche in questo caso la conclusione della vicenda viene da una svolta narrativa abbastanza imprevedibile (e forse meno convincente di altre, così come per mio gusto personale apprezzo maggiormente Nevo nelle vesti di io narrante al maschile).
Si potrebbe pensare che questo sia in realtà un libro di racconti, e invece si tratta veramente di un romanzo diviso in tre capitoli: al di là dei punti di contatto fra i protagonisti e le loro storie, bisogna tenere conto anche del titolo, Le vie dell’Eden, che grazie a una nota della traduttrice possiamo ricondurre al Talmud, dove si narra di quattro rabbini che entrano appunto nell’Eden (il “Pardès” ebraico, corrispondente al nostro “Paradiso” terrestre), mentre uno solo ne uscirà incolume. Nevo avrebbe potuto, in maniera un po’ didascalica, seguire questa traccia modulando opportunamente quattro storie e relativi protagonisti. Invece ci rivela (lui, scrittore di formazione assolutamente laica e non religiosa) che l’Eden cui allude il titolo può esercitare un fascino simbolico cui è difficile resistere: salvezza o dannazione il risultato. E lo fa in maniera diversa per il musicista divorziato, per il primario rimasto vedovo, e per la moglie il cui marito è scomparso (ma anche per lo stesso marito: non per nulla il titolo originale era proprio in ebraico Un uomo entra nel frutteto, che rimane come titolo dell’ultimo capitolo). Insomma, in questo frutteto-Eden tutti possono entrare, non tutti però ne possono uscire… Ognuno dei tre protagonisti cercherà di salvarsi in qualche modo: dallo sconvolgimento seguito al divorzio, dal lutto per la morte della moglie adorata, dal vuoto inaspettato che segue la scomparsa di un marito forse non più amato. E non tutti, appunto, ci riusciranno.
Va detto poi che i tre racconti-capitoli del romanzo sono caratterizzati da uno stile narrativo diverso: anche se l’autore ha scelto la narrazione in prima persona per tutti e tre i protagonisti, infatti, ognuno di loro ha un suo timbro, una sua voce: in una intervista la traduttrice per l’Italia di tutti i libri di Nevo, Raffaella Scardi, spiega che ha cercato proprio di rendere nella nostra lingua questa diversità che era una scelta precisa dello scrittore.
Così, ognuno a suo modo i tre protagonisti del romanzo si confessano, chiedono ascolto, comprensione, perdono: “La sera scolora nella notte fuori dalla mia finestra. La casa è vuota. Dal salotto non arrivano le voci dei bambini. Nella doccia l’acqua non scorre sul corpo di Niva. Le sonate di Schubert continuano a suonare in sottofondo, a basso volume. Se devo confessare tutto, questa è l’ora” (così il dottor Caro nel secondo capitolo).
E la loro profonda umanità fa da specchio a quella di noi lettori, mettendoci di fronte al nostro essere fragili, al nostro custodire segreti più o meno inconfessabili, ai nostri errori che non vorremmo mettere a nudo, come invece il narratore di queste storie fa con ognuno di loro, senza però infierire nelle vesti di un giudice superiore, ma lasciandosi, come si diceva, “contagiare”. Alla fine capiremo che anche di fronte a noi si può aprire non già il “paradiso terrestre” che la parola Eden evoca per la nostra tradizione, bensì un frutteto misterioso che ci invita ad entrare, a guardare fino in fondo la verità della nostra condizione umana, ad accettare il rischio di non uscirne mai più…
(* Vice presidente della Società Economica e assessore alla Biblioteca)