di DANILO SANGUINETI
Uno scudetto nel calcio, a qualsiasi livello, in qualsiasi categoria, non arriva mai per caso. Il titolo conquistato dalla Virtus Entella nel campionato Under 16 per società di serie C, è la certificazione che il club del presidente Gozzi, del responsabile del settore giovanile Montali e dell’allenatore ‘fedelissimo’ dei biancocelesti, Andrea Scotto, non ha mai smarrito la strada intrapresa 15 anni or sono e che ha portato a raccogliere lungo il cammino altri due tricolori, nel 2011 e nel 2012. A dirla tutta il trofeo alzato a Tolentino due settimane fa è più pesante, per chi si intende di traguardi giovanili, dei precedenti che premiarono le categorie Berretti e Primavera.
Più giovani questa volta i campioncini biancocelesti, 15enni e 16enni che stanno per entrare nel mondo del professionismo; sono i virgulti e non piante già sbocciate, gemme che possono fiorire per almeno un altro paio di stagioni. Se ripetersi è sempre un’impresa, farlo con in panchina la stessa persona è un colpo riuscito in campo nazionale a pochi, e quei pochi sono non a caso considerati dei miti.
Andrea Scotto non si rende conto, oppure è molto bravo a nasconderlo dietro la sua bonaria umiltà, ma con il titolo strappato alla Pro Sesto (il club lombardo ha un settore giovanile di assoluta eccellenza) è entrato nel ristretto club nel quale militano i Sergio Vatta e gli Alberto De Rossi, riconosciuti guru dei giovani. Ha appena concluso una stagione nella quale una squadra presa in carico lo scorso agosto ha concluso imbattuta stagione regolare e play off, facendo fuori una dopo l’altra Sud Tirol, Cesena, Padova che erano nei pronostici messe ai primi posti avendo formazioni assemblate senza badare a spese e fatte crescere con una oculata programmazione. Per non parlare di quanto ‘combinato’ nel faccia a faccia decisivo allo Stadio della Vittoria a Tolentino nelle Marche. Una partita secca che ha avuto un andamento da action movie: equilibrio assoluto, ottanta minuti regolamentari nei quali le contendenti hanno avuto e mancato il colpo del ko. Nei 20’ supplementari è esploso il bomber della squadra, Perrone, che con un gol per frazione, all’85’ e 93’, ha prima rotto l’equilibrio e poi chiuso il conto. Una stagione perfetta per una squadra quasi perfetta. E l’allenatore? “Il tecnico ha fatto quanto gli chiedeva la società. Ha preso un gruppo nel quale tutti credevano e puntavano e l’ha portato a tagliare il traguardo evitando le sbandate e gli incidenti”.
La fa troppo facile mister Andrea Scotto. Che a distanza di 11 anni si è ripetuto. “Io però posso vedere le differenze tra le due vittorie. Forse quella fu più frutto di incoscienza. Quando presi la guida della Berretti non sapevo dove poteva arrivare, a quei ragazzi dissi ‘facciamo del nostro meglio’. Il che poi si rivelò essere lo scudetto. Questa volta io me lo sentivo dentro che avevo tra le mani una formazione fantastica”.
Una premonizione? No, una scientifica interpretazione dei segni. “Già anni fa quando questa leva era nella categoria Esordienti osservandola in azione mi accorsi che aveva grandi qualità e grandissimo potenziale. Non ero il loro allenatore ma sentii che dovevo ‘avvertirli’. Dissi loro che potevano arrivare molto in alto. L’agosto scorso, quando la società mi diede l’incarico di allenarli, li riunii e ci tenni a ribadire il concetto: ‘Ragazzi questo è il nostro anno, andiamo a prenderci lo scudetto’. Non lo abbiamo detto forte, ma lo sapevamo”.
Scotto conferma di essere un mister atipico: va controcorrente e non gli importa del giudizio degli altri. “Io mi espongo, soffro e gioisco insieme ai ragazzi, che lo sanno e sono pronti a dare il 101%. Ho chiesto loro di essere se stessi e allo stesso tempo di dare un esempio. Non sono un fanatico di schemi, piani tattici, regole e moduli. Più che al 3-5-2 o al 4-2-3-1, alla zona mista o al pressing alto guardo a come i ragazzi si comportano dentro e fuori il rettangolo di gioco”. Un impulsivo ma non un guascone, uno verace che dice sempre quello che pensa, senza troppo curarsi delle conseguenze.
“Qualcuno pensa che è per questi motivi che dopo il primo scudetto, quello di 11 anni fa, non abbia fatto… carriera. Chissà, pensavano che sarei andato a guidare qualche prima squadra. Invece preferii continuare a crescere nel e con l’Entella, a studiare e fare pratica con i ragazzi. Ed è di nuovo arrivato il mio momento”. La vittoria lo rimette sotto i riflettori, eppure lui non devia di un millimetro dalla rotta che ha scelto. “Adesso riprenderanno i discorsi sulle mie scelte, su cosa farò ‘da grande’, magari che andrò ‘con i grandi’. Io non ho un procuratore (anche se adesso pare obbligatorio pure per i mister, ndr), non ho rivincite da prendermi. Solo la soddisfazione di aver fatto il bene dei ragazzi e della società. Sono sicuro che molti di loro abbiano un enorme potenziale”.
Per capire il personaggio, basta conoscere i suoi modelli. “Tento di essere il più autonomo e originale possibile. Diciamo che mi sento molto vicino per indole e pensiero a Silvio Baldini, il mister carrarino che ha appena portato, contro ogni previsione, il Palermo a vincere i play off di C. Siamo entrambi diretti e poco inclini ai compromessi”. Rustici vincenti? “Dipende da cosa si intende per vincenti. Io non ne faccio una questione di trofei e medagliere. Io mi sento un educatore prima che un allenatore. Sin dal primo giorno ho spiegato ai ragazzi che si poteva perdere la partita, non il rispetto proprio e degli altri. Sin dalle prime cene e dalla prime uscite ho visto che avevo a che fare con persone di assoluto valore”. Una sola precisazione. “Vi posso assicurare che la gioia per il trionfo di Tolentino è stata grande ma non quanto quello di sentirmi dire dagli organizzatori delle fasi finali: ‘Da anni non vedevamo una squadra comportarsi come la vostra, con educazione e rispetto verso tutti, avversari, pubblico, dirigenti propri e altrui, gli inservienti e gli addetti al campo’. Questa medaglia, permettetemi, me la appunto sul petto e non me la tolgo più”.