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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Elena Bono, dieci anni dopo: Chiavari ingrata?

Non si può certo dire che la sua città d’adozione sia stata ingenerosa nei suoi confronti, perché fin dal 2014 si è cercato di tenerne alta la memoria attraverso una varietà di iniziative
Elena Bono è mancata il 26 febbraio di dieci anni fa
Elena Bono è mancata il 26 febbraio di dieci anni fa
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di ENRICO ROVEGNO *

Il 26 febbraio scorso correva il decimo anniversario dalla morte di Elena Bono (1921-2014), scrittrice nata a Sonnino, nel Lazio, ma dal 1931 – dopo una infanzia trascorsa a Recanati – vissuta a Chiavari, dove scrisse tutte le sue opere: poesie, racconti, romanzi, opere teatrali.

Dopo essere stata negli anni Cinquanta uno degli autori di punta della casa editrice Garzanti (per la quale aveva anche tradotto le tragedie di Sofocle), per lunghi anni subì una sorta di ostracismo dopo il suo rifiuto di acconsentire al progetto di Pasolini di trarre un film da una sua opera, La testa del Profeta. “A Pasolini non perdonavo – spiegava – che lui, che aveva avuto un fratello ucciso dalla brigata Osoppo, facesse il comunista”. Analogo rifiuto, sia pure con diverse motivazioni, oppose anche a Luchino Visconti per un altro progetto. E così, nonostante Emilio Cecchi ne avesse segnalato il talento dopo la pubblicazione delle poesie dei Galli notturni (1952) e dei racconti di Morte di Adamo (1956), fu abbandonata da Garzanti. Dagli anni Ottanta un piccolo editore di ReccoPierangelo Scapolla con la sua casa editrice Le Mani, avrebbe poi pubblicato tutta la sua opera, che ha avuto (nonostante la scomparsa quasi totale dell’autrice dalla scena letteraria) numerosi e prestigiosi riconoscimenti sia dal pubblico che dalla critica (come testimonia a tale proposito il libro Il castello in fiamme e l’unguento della parola, Le Mani, 2007, che a cura di Stefania Venturino raccoglie testimonianze e interventi critici). 

Lo storico della letteratura Giovanni Casoli, in particolare, ebbe a definirla, nel suo Novecento letterario italiano ed europeo, “la scrittrice italiana più importante della seconda metà del Novecento”, accostandola in un altro scritto all’americana Flannery O’Connor: “Entrambe le scrittrici si inchinano alla realtà come a un sacramento, ciò che essa precisamente è, e per ciò il loro realismo appare spietato, non fascinosamente orrido come nella televisionaccia, crudo, mentre è fedele, non complice […] Flannery ed Elena stanno lì a mostrare che le cose, anche le più atroci e insopportabili, non sono solo cose, ma sono anche messaggere; che il visibile è luogo e icona dell’invisibile” (G. Casoli, Chiudere gli occhi e guardare, per l’omaggio della Soc. Dante Alighieri di Roma a Elena Bono, nel 2011).

Che cosa leggere dunque oggi per capire l’importanza di questa scrittrice? direi, per il teatro, sicuramente La grande e la piccola morte (sul processo a Giovanna d’Arco), ma anche I templari e Le spade e le ferite; delle sue prove narrative, oltre a Morte di Adamo almeno il primo volume della trilogia Uomo e superuomo, e cioè Come un fiume, come un sogno. Per le poesie, il libro di riferimento è il volume del 2007, edito sempre da Le Mani, che raccoglie l’Opera omnia

Dopo la sua morte, una ripresa di interesse per la Bono è testimoniata dalla pubblicazione nel 2015 in una nuova veste, da parte dell’editore Marietti 1820, del racconto lungo La moglie del procuratore e nel 2016 dell’intera raccolta Morte di Adamo; nello stesso 2015 sempre Marietti pubblicava Quando io ti chiamo. Invito alla lettura di Elena Bono, un saggio di F. Marchitti; nel 2021 usciva per la casa editrice Ares una antologia (a cura di S. Guidi, F. Marchitti e S. Segatori): Chiudere gli occhi e guardare. Cento poesie per cento anni

Importante per la conoscenza della scrittrice è anche il suo sito ufficiale (www.elenabono.it), molto completo e bene organizzato da Stefania Venturino.

E a Chiavari? In questi dieci anni, in modi diversi e in diverse circostanze la città ha ricordato la “sua” Elena Bono: credo che di particolare rilievo sia stata la “Giornata Internazionale di studi” che nel 2019, nell’ambito del Festival della Parola di quell’anno, abbiamo organizzato presso la Società Economica con il professor Roberto Trovato e la partecipazione di numerosi studiosi, tra cui alcuni docenti delle università di Genova, Granada, Salamanca e Siviglia (“Indagine sull’opera di Elena Bono. La sacralità della parola e la ricerca della verità”, 30 maggio 2019): gli Atti sono stati poi pubblicati nel 2021 dalla casa editrice Internòs).

Sempre nell’ambito di quel Festival, l’anno prima – in una giornata tutta nel nome della Bono – a un dibattito da me coordinato tra Stas GawronskySilvia GuidiFrancesco Marchitti (“Elena Bono 2.0, un classico della letteratura nelll’agorà digitale”) era seguita alla sera, sotto il tendone della cosiddetta “Agorà digitale”, la rappresentazione teatrale ispirata all’opera della Bono dal titolo Mi sembrò che una voce, di Marchitti e Galasso, prodotta dal Comune di Chiavari per il Piccolo Teatro Orazio Costa: questa rappresentazione ne segnò sia pure indirettamente il ritorno alle scene, dopo i successi ottenuti al Festival del Teatro di San Miniato con Le spade e le ferite nel 2000 – regìa di Ugo Gregoretti, interpreti tra gli altri Massimo Foschi ed Eros Pagni – e I Templari nel 2002, per la regìa di Pino Manzari). 

Ma nel complesso, a parte questi due appuntamenti particolarmente significativi, non si può certo dire che Chiavari sia stata ingrata nei suoi confronti, perché fin dal 2014 si è cercato di tenerne alta la memoria attraverso una varietà di iniziative.

Prima, nell’ambito del Festival della Parola, la piccola ma affettuosa “Mostra di manoscritti, manifesti e immagini” da me curata presso la Biblioteca che per volontà della stessa Bono custodisce manoscritti, dattiloscritti, lettere, locandine delle rappresentazioni teatrali e delle conferenze (mostra corredata da una installazione su “Le parole di Elena” con proiezione di citazioni dalle sue poesie). 

Poi, nello stesso contesto, quell’anno ritornarono a Chiavari per un recital a lei dedicato, dal titolo “Vengono i giorni”, Salvatore Ciulla e Claudia Koll, che nel 2007, alla presenza della scrittrice, io stesso avevo coinvolto in un omaggio alla sua poesia in un vero e proprio spettacolo anche musicale, con la partecipazione dei musicisti Roberto Frugone e Canzio Bucciarelli e del critico Elio Gioanola

Ancora un recital di testi non solo poetici l’anno dopo, 2015, nel primo anniversario dalla scomparsa (“Ricordando Elena. Lettura in amicizia delle opere di Elena Bono”) spettacolo nel quale fui affiancato dall’attrice Daniela Franchi e Roberto Frugone al pianoforte, seguito dopo due mesi da una rappresentazione teatrale a cura della compagnia giovanile “Il portico di Salomone” di Marina Maffei, con la messa in scena dei due racconti La figlia di Giairo e La moglie del procuratore (di cui era stata presentata poco tempo prima, sempre a Chiavari, la nuova edizione Marietti 1820). 

Più recentemente, nel 2021 – in cui ricorreva il primo centenario della nascita – sempre nell’ambito del Festival cittadino due sono state le occasioni che con il Comune e l’Economica abbiamo creato per ricordarla: prima la presentazione della Antologia edita dalla Ares cui già accennavo, e della quale la Biblioteca ha acquistato delle copie per distribuirle alle scuole del territorio; poi la presentazione degli Atti del convegno del 2019 con una conferenza-spettacolo dal titolo “Una scrittrice, una città e la sua memoria. Ricordando Elena Bono”, che vide la partecipazione dei critici Francesco De Nicola e Roberto Trovato, dell’editore Goffredo Feretto e del sottoscritto, con le letture di Daniela Franchi.

Personalmente, sono legato a Elena da un duplice legame: il primo come suo amico e il secondo come responsabile della Biblioteca della Società Economica, che per decisione della scrittrice conserva, come già detto, il suo prezioso archivio (dove, oltre agli originali delle opere, si trova l’epistolario, che in questi anni è stato quasi del tutto indicizzato). Diversi studenti hanno chiesto di consultarlo in occasione di tesi di laurea dedicate a vari aspetti della sua opera: l’ultima, per un dottorato di ricerca, pochi giorni fa.

Ma è nelle vesti di amico, oltre che di chiavarese, che vorrei concludere questo ricordo. Elena aveva apprezzato alcune delle cose che andavo pubblicando (e suo marito Gian Maria Mazzini aveva prontamente recensito il mio primo romanzo), ma un legame particolare nacque quando lesse in una mia poesia questa epigrafe: “Insegnaci a contare i nostri giorni, e giungeremo alla sapienza del cuore”. Scoprire che questo versetto del salmo 89 aveva anche per me una particolare importanza fu per lei come il suggello della nostra amicizia, nel segno da un lato della comune consapevolezza della precarietà umana, e dall’altro della necessità condivisa di ricercare un discernimento più profondo della realtà intorno e dentro di noi, appunto la “sapienza del cuore”. 

Da lì tutta una serie di occasioni di incontro, a casa sua (dove spesso trovavo lei e suo marito in una nuvoletta di fumo, intenti a fumarsi un toscanello, o dove in diverse circostanze si riunivano molti amici per conversazioni e letture ad alta voce) o in pubblico (a San Miniato per le rappresentazioni teatrali, a Chiavari per il recital cui accennavo, o per alcune conferenze in cui fummo coinvolti insieme…). 

Questo legame era tra l’altro rafforzato dalla particolare amicizia e ammirazione che Elena professava per mio suocero Italo Fico, il comandante partigiano Nàccari, che lei – amica di Bisagno e giovane staffetta della Resistenza, alla cui epopea aveva dedicato tante pagine straordinarie in poesia e prosa – apprezzava come uomo semplice, che pur non avendo tratto vantaggi da quel passato, ancora con forza si adoperava per farlo conoscere, soprattutto agli studenti.

Infine, poiché sono convinto che il miglior modo di celebrare uno scrittore sia sempre quello di dargli letteralmente la parola, di lasciar risuonare la sua voce, vorrei farlo qui riproponendo una poesia dalla prima raccolta, I galli notturni, in cui una Elena Bono ancora agli inizi della carriera dimostrava di avere un’idea molto chiara di quella che sarebbe stata la sua poetica:

“Dalla betulla si effonde oscurità nel cielo e sulla terra. / Forse la sera vi è rimasta tutto il giorno nascosta / per sfuggire alla luce / aprendo gli occhi, invano, a vedere se stessa, / spaurita e percossa da un rombo sconosciuto: / la voce del fiume o il vento tra le montagne o il suo cuore. / Ma a poco a poco ciò che si ignora non fa più male; / così semplice era tutto: chiudere gli occhi e guardare. / Il tempo che lacerava il suo cuore è ora un immobile / sogno ed ha un attimo solo”.

(* Responsabile della Biblioteca della Società Economica)

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