Qualche giorno fa, intervenendo in Senato, Matteo Renzi ha tenuto un discorso di venti minuti sulla vicenda legata alla Fondazione Open e ai presunti finanziamenti illeciti. L’ex premier e fondatore di Italia Viva ha difeso strenuamente l’indipendenza della politica e attaccato quella magistratura “che pretende di decidere cosa è un partito e cosa no. E se al Pm affidiamo non già la titolarità dell’azione penale ma dell’azione politica, questa Aula fa un passo indietro per pavidità e lascia alla magistratura la scelta di cosa è politica e cosa non lo è”.
Secondo Renzi, su Fondazione Open c’è stata “una violazione sistematica del segreto d’ufficio sulle vicende personali del sottoscritto. Non è uno stato di diritto questo, siamo alla barbarie”. E ancora: “Non ci faremo processare nelle piazze”, citando Aldo Moro sul caso Lockeed.
“Avere rispetto per la magistratura – secondo il leader di Italia Viva – è riconoscere che magistrati hanno perso la vita per il loro impegno. A loro va il massimo rispetto. Ci inchiniamo davanti a queste storie. Ma a chi oggi volesse immaginare che questo inchino diventi una debolezza del potere legislativo, si abbia la forza di dire: contestateci per le nostre idee o per il Jobs Act ma chi volesse contestarci per via giudiziaria sappia che dalla nostra parte abbiamo il coraggio di dire che diritto e giustizia sono diversi dal giustizialismo”.
Su questo discorso, ricco di contenuti e di spunti, come raramente ormai ne offre la politica, noi di ‘Piazza Levante’ ci sentiamo di sottoscrivere, parola per parola, quanto pubblicato dal ‘Secolo XIX’ e da ‘La Stampa’ nella loro edizione di venerdì 13 dicembre: l’articolo di prima pagina ‘Il soccombente’, a firma di Mattia Feltri. Lo riproponiamo integralmente.
“Era un giorno d’ordinaria depressione, per aver letto l’appello alla magistratura di Luigi Di Maio a indagare chi nel suo partito vota in dissenso o se ne va, secondo quanto è garantito dalla Costituzione di cui Di Maio nulla sa e nulla rispetta. E per aver letto l’invito di Nicola Zingaretti a Matteo Salvini di andare dai magistrati a dimostrare la sua innocenza, frase orribile forse oltre le intenzioni, ma orribile, segno del naufragio poiché in democrazia è l’opposto, si è già innocenti e finché un giudice non dimostri il contrario, sempre per la Costituzione.
Poi ho sentito il discorso di Matteo Renzi al Senato. Ha citato il non ci faremo processare in piazza di Aldo Moro e l’orrore di Bettino Craxi per il vuoto in politica aperto dall’arretrare dei partiti davanti alle procure. Ha rivendicato la separazione dei poteri, architrave di civiltà giuridica e politica delle democrazie liberali. Ha ripetuto la necessità della politica di finanziarsi, e il diritto di farlo senza che sia automaticamente un atto sanzionabile. Ha additato violazioni o forzature di legge della magistratura su cui si tace sempre, o quasi, anche noi dei giornali, talvolta correi, spesso volenterosi carnefici per eroismo a buon mercato. Ha ricordato l’obbligo del potere legislativo di difendere il proprio ruolo di supremo rappresentante della volontà popolare, al quale si è rinunciato per paura e mediocrità.
Un discorso come non se ne sentivano da un po’ e, sebbene non sia né Moro né Craxi, su queste basi di civiltà si sta con Renzi, non ultimo perché soccomberà come Moro e Craxi, che pure attorno avevano un Parlamento e non una baby gang”.
Noi però speriamo che per una volta il copione cambi. Sarebbe ora, dopo tante vittime del giustizialismo e della battaglia politica condotta attraverso i tribunali anziché nelle sue sedi legittime: il confronto civico quotidiano, le urne, il Parlamento. Ne beneficerebbe la convivenza democratica, e con essa tutto il paese.