di ANTONIO GOZZI
Mario Draghi sul ‘Financial Times’ è tornato a scuotere l’Europa invitandola a cambiare strada. Di nuovo ha evocato la necessità di una svolta radicale.
Fra crescita bloccata e minaccia di dazi Usa, “le ultime settimane hanno fornito un duro promemoria sulla vulnerabilità dell’Europa”. Draghi individua la dipendenza dalla domanda estera come elemento di forte debolezza dell’Unione ed è la prima volta che lo fa in maniera così esplicita.
L’insufficienza decennale della crescita interna causata dal declino demografico e dall’invecchiamento della popolazione, dall’incapacità dell’Europa di lanciare e finanziare politiche di sviluppo al passo con quelle dei competitors mondiali, Usa e Cina, ha spinto le imprese dei due grandi Paesi industriali dell’Unione, Germania e Francia, a cercare nell’export la via di uscita.
È ovvio che questo modello, in un mondo turbolento e in cui il commercio mondiale si sta regionalizzando, mostra le sue debolezze.
È per questo che l’ex premier italiano sostiene che solo un cambiamento profondo può portare la UE fuori da questa situazione difficile.
La situazione di crisi attuale è dovuta secondo Draghi a due motivi: “Il primo è la lunga incapacità dell’Unione Europea di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi. Tali vincoli e barriere sono molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli USA potrebbero imporre e i loro effetti dannosi stanno aumentando nel tempo. Il FMI stima che le barriere interne dell’Europa equivalgano a una tariffa del 45% per la produzione e del 110% per i servizi”. Draghi, ed è questo il secondo motivo, lamenta come la normativa UE “abbia ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche europee. Ma ora è chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale, che al contrario è minacciata dalle pressioni dall’estero. Ecco perché è necessario un cambiamento radicale.”
Tutto molto condivisibile, ma sarebbe interessante capire quali secondo Draghi debbano essere gli elementi del cambiamento radicale.
Come fare per abbattere le barriere interne in presenza di un’ipertrofia regolatoria figlia della granitica cultura della burocrazia guardiana di Bruxelles che non sembra avere alcuna intenzione di mollare la presa?
La bassa crescita dell’UE non è anche il portato di scelte e di politiche sostanzialmente anti-industriali che hanno visto crollare negli ultimi 10 anni non solo il PIL europeo e il reddito pro-capite dei suoi cittadini, ma anche l’attrattività dell’Europa per investitori stranieri?
Chi è che viene ad investire in un’area economica in cui la crescita delle imprese è stata contrastata in ogni modo negli ultimi anni e i tassi di profitto sono strutturalmente inferiori a quelli degli USA?
Draghi non ha speso parole sull’estremismo del green deal, che invece è alla base delle enormi difficoltà di gran parte del sistema industriale europeo a partire dal settore dell’automotive.
Come si fa a cambiare questa situazione con decisioni e provvedimenti rapidi e concreti e non con annunci di principio e buone intenzioni che non si traducono in fatti?
Si ha un po’ questa impressione dai primi passi delle nuova Commissione Von der Leyen. Buoni propositi tanti, ma scelte concrete, “radicali”, non se ne vedono ancora.
Il mondo corre veloce e non aspetta le incertezze europee. Molte imprese e imprenditori europei, anche italiani, vogliono andare ad investire in USA perché pensano che là ci sia un clima più favorevole alla crescita, alle imprese, al profitto.
Bisogna davvero fare presto.