di FABRIZIO DE LONGIS
Può esistere una nuova forma di laicità? È quello che si chiede nel suo libro, ‘Non è un paese per laici’, il filosofo Vittorio V. Alberti (Bollati Boringhieri, 132 pp. 12 euro).
Il tema è di quelli ostici e di certo non sintetici. Capire quale spazio nella società italiana sia concesso alla laicità e come questa possa essere esercitata e rinnovata, è tema cruciale ma complesso più che mai. Il merito che proprio in questo va dato ad Alberti, è la sua capacità sintetica e chiarificatrice di esprimere un punto di vista. E partiamo proprio da questo concetto. Alberti esprime il suo punto di vista e nell’onestà intellettuale dell’autore, lui stesso lo ascrive a tale, purché, possiamo dire noi, sia un punto di vista qualificato, edotto e ben spiegato.
Perché, se si prova a dare un sunto della tesi dell’autore, è quello che la laicità sia un faticoso modo di vivere, un costante equilibrio fatto di dubbi e ricerca genuina di risposte, in cui l’individuo è un tutt’uno (né solo sentimento, né solo ragione), che va contestualizzato nel mondo.
Così detta potrebbe apparire tutto e niente al contempo. Se forse è vero che il laico puro è esso stesso tutto e niente al contempo, Alberti ha sprazzi luminosi di sintesi (e quindi prima di tutto di chiarezza interiore che lui pone come lumicino della ricerca del laico). Infatti non la tocca piano, come direbbero in gergale oggi i più giovani. Perché per lui “la laicità è un tormento, ed è bene che lo sia”. Insomma, non è che proprio ci rassicuri in una zona di confort, dato che la sua tesi è in vero quella opposta.
Infatti prosegue: “Se fosse facile, lineare e serena non si misurerebbe con la realtà, con le inquiete ricerche del libero pensiero, il quale apre strade che poi gli si serrano davanti, e allora ne immagina di nuove e diverse, in una continua indagine fatta di sconfitte e vittorie attraverso il buio e la luce che compongono una vita”.

Con queste parole l’autore ci riassume un pensiero intero. Così possiamo capire che la laicità di Alberti intanto è una vita intera, una costante con cui misurarsi nell’intera esistenza. Figurativamente, forse si potrebbe rappresentare come un eterno slalom. Questi muri che si ergono e che vanno schivati, sono la metafora che solo laicamente si può progredire nella vita, altrimenti ci si arresta con una bella facciata.
Sostanzialmente solo la laicità, alla fine, ci rende liberi, come conclusione di questo pensiero.
Non sveliamo niente al lettore affermando ciò. Questo è un tema che nel testo risulta chiaro fin da subito, ma infatti, non è tanto la tesi di per sé, il cuore pulsante del libro, quanto il percorso, il tracciato che l’autore pone davanti al lettore, ad essere vitale. Trasposizione plastica dello stesso pensiero di Alberti sul concetto di laicità. Perché in fondo, se l’uomo laico è l’uomo libero, la libertà va ricercata sempre, e quindi la stessa laicità va perseguita a sua volta.
Scrive in merito: “La laicità ha a che fare con il conosci te stesso, ma visto che nessuno conosce definitivamente se stesso, tutto è in ricerca. È certamente inquietante, ma può essere bello proprio per questo”.
In soldoni, essere laici per l’autore è una bella fatica. E qui è utile tornare all’origine del suo pensiero, perché Alberti premette un fatto chiaro fin da subito: l’uomo è uomo pensante, raziocinate, ma emotivo e sentimentale, con un distinguo non da poco, fra emozioni e sentimenti. Fra uomo e animale, di summa.
“Ragionare è faticoso e in genere si è pigri, portati alla pigrizia; è più facile fermarsi alle pulsioni e alle emozioni, non dico ai sentimenti, perché sono impegnativi quanto i ragionamenti” (Qui un rinnovamento filosofico che Alberti propone e che gli va riconosciuto. D’altronde, se si analizza il tema della libertà, nel pensiero umano, prima di tutto emerge una condizione di sentimento. La liberà è un istinto che progredisce in sentimento e si scatena).
In questo percorso, per il lettore, risulta centrale quindi il tema dell’onestà intellettuale. Merce rara che influenza la politica, la società e le religioni (i tre pilastri analitici su cui si regge la teoria di Alberti). In questo, tutto è strumento di aiuto o repressione. A partire dalla cultura e dall’informazione. Strumenti nodali di giustizia e libertà utili a eliminare i falsi idoli dell’immobilismo culturale o dell’estremo relativismo. Perché, citando Hegel (di cui leggendolo, lo si riconosce adepto), per Alberti la ricchezza è nel possesso di strumenti, non di beni.
Tradotto, servono punti fermi utili ad analizzare ogni singola situazione senza preconcetti. A partire dall’attenzione che l’autore (scrivendo molto bene), dedica alla lingua e alla sua corruzione. Lingua vuol dire, infatti, parole e le parole vogliono significare concetti. Quindi le parole sono strumenti preziosi che vanno usate giustappunto. Usarle bene, dunque, è un ruolo ascritto per definizione all’intellettuale che è soggetto a un processo di ragionamento doloroso ma che permette l’estrema liberta, finanche quella sa sé. Dai propri pregiudizi e bigottismi.
Mentre in questo, sfidante è la degenerazione posta oggi da una comunicazione sempre più pubblicitaria che porta a immiserimento e omologazione che danno vita alla corruzione culturale. Summa orripilante che ha dato vita alla scissione degenerativa fra cultura e politica.
Perché identità e cultura fanno politica, o meglio, buona e dignitosa politica. Il resto è per gli animali politici, che più che fluidi, sembrano bandiere al vento che soffia dall’opportunità verso l’opportunismo ricco di furbi e incapaci.
Qui, secondo Alberti, di aiuto vengono i corpi intermedi. Sostanzialmente tutti quei soggetti che permettono all’individuo una formazione di sé atta a interpretare il mondo e ad aiutarlo nella costante correzione che deve attuare nel proprio cammino di laicità. Ciò ci restituisce la democrazia libera e reale.
In questo, ruolo centrale ha la storia, la quale può essere, addirittura, spezzata dalla corruzione culturale. Non a caso, l’autore, per spiegare i principi iniziali del suo ragionamento, si rifà a un’analisi lodevole dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi.
In questo fatto, forse, si nota la giovane età dell’autore (classe 1978). Perché, se, come si riporta bene nel libro, l’omicidio di Calabresi è sempre stato strumento delle fazioni politiche, esso necessità di un’analisi schietta. Analisi che forse può attuare (nel senso di laicità qui introdotta) solo chi, per ragioni anagrafiche, è svincolato e scevro dal dibattito e dal clima culturale, sociale, sentimentale e, dunque, umano di quegli anni.
Riassumiamo (ci perdonerà Alberti) l’intellettuale è quindi un educatore. Un educatore sentimentale, oltre che culturale, e di popolo. Perché, per rubare le sue parole, l’istruzione dice all’individuo cose che non sapeva, l’educazione, invece, permette di diventare ciò che si è. Quindi nuovamente torna l’inscindibile paradigma di Alberti per cui laicità, prima di tutto, significa coscienza di sé; formazione personale; costruzione dell’individuo che agisce e analizza il mondo. Finanche nella formazione dei pensieri e quindi ella parole, in cui il laico deve ottenere il raggiungimento di un vocabolario interiore.
E in questo la laicità sembra l’unica in grado di tenere in considerazione tutte le differenti strade di ricerca della verità presenti nel mondo, senza attuare forme gerarchiche. E qui emerge la grande fatica, l’immane sforzo a cui il laico è chiamato, ma senza vocazione, senza incasellare il suo ruolo in un falso idolo (spunta, in Alberti, il pensiero di Norberto Bobbio, mai citato, ma che aleggia).
In fine il tema della laicità, è un tema del laico. Banale e quasi ovvio a dirsi, ma non a farsi. In quanto è un tema profondamente culturale ed umano. Difatti è una profonda sfida identitaria. E in prima battuta lo è per chi non si può adagiare sugli allori, ossia l’intellettuale. Il quale ha un mantra:
“Insomma, tornare alla radice delle cose, ecco lo spirito critico al quale sono chiamati gli intellettuali in quest’epoca di decadenza”. Ed è qui che emerge come per Alberti, il laico, nella ricerca stessa della libertà, quindi della laicità, ricerchi se stesso.
“Il laico, al nocciolo, è l’intellettuale onesto che cerca di contenere i pregiudizi, soprattutto viscerali. Laico è essere ragionevole e obiettivo, senza però essere gelido come un calcolatore, perché un giudizio (laico) non esclude lo spirito di umanità. Non può escluderlo, non perché siamo buoni, ma perché per capire le cose non basta il calcolo, non si può eliminare la sfera sentimentali”.
Sostanzialmente per Alberti, essere laici, vuol dire essere profondamente umani. Unire ragione e comprensione umana. Vivere senza costrutti culturale e sociali. Perché laicità alla fine è una naturale e inevitabile inclusione. “È l’immensità dell’essere a obbligarci a essere aperti ai diversi modi di cercare la verità nell’esistenza”.
Infatti per Alberti, detta semplice, laicità è umanesimo. “Penso che questa sia la laicità, osservare la realtà così com’è, senza falsificarla, attraverso le diverse piste che abbiamo a disposizione”. Dunque, per chi vorrà provare ad essere almeno un poco più laico, buona lettura.