(r.p.l.) Un nuovo prevosto per la Cattedrale Nostra Signora dell’Orto. Lo ha eletto lunedì 6 marzo il Capitolo dei Canonici in seguito alla rinuncia presentata da don Gian Lorenzo Borzini per raggiunti limiti d’età. Si tratta di don Andrea Buffoli, sacerdote trentottenne chiavarese che si è fatto apprezzare per il suo modo di interpretare la vita pastorale. Qualcuno lo descriverebbe come un ‘prete da campo’ per il suo ruolo di cappellano della Virtus Entella e di direttore sportivo del Marina Giulia, ma forse ‘prete che vive la città’ meglio descrive la sua attitudine a confondersi tra le persone, a uscire dalle canoniche per farsi testimone con l’esempio.
Parroco della Cattedrale a 38 anni, uno dei prevosti più giovani in Italia. Un peso o uno stimolo ulteriore?
“Entrambe le cose, ci sono dei pesi ma anche tante bellezze, tante preziosità e tanti stimoli a far bene. Quando quello che fai ti prende il cuore, alla fine, prevalgono sempre gli stimoli sulle difficoltà. Ho accettato questo incarico con l’amore che mi lega alla Cattedrale fin da quando sono piccolo, da un lato con il desiderio di servire la Chiesa e le persone che la vivono, dall’altro con quello di servire la città. La città di Chiavari ha diversi cuori pulsanti, uno di questi è e deve essere sempre di più la Cattedrale, questa è una responsabilità di cui voglio farmi carico”.
Teme di essere ‘profeta in patria’?
“Prestare servizio nella città in cui sono cresciuto presenta sicuramente degli ostacoli, ma anche la potenzialità di conoscere le doti e le capacità delle persone, così come i loro punti di debolezza. Anche chi è cosciente della realtà in cui si immerge, però, deve sempre guardare le cose in modo nuovo. Con questo spirito non si è profeti in patria ma profeti che hanno a cuore ciò che vivono”.
Un guardare le cose in modo nuovo che per diverso tempo è un po’ mancato alla Chiesa…
“Le sfide della Chiesa di oggi ci impongono di guardare alla novità come qualcosa di promettente e non come una minaccia. Il nuovo spaventa tutti, non solo gli uomini di Chiesa, ma bisogna coglierne il bello. Tutto ciò che è tradizione non va assolutamente gettato via ma deve rappresentare le fondamenta su cui basarsi per aprirsi al nuovo. Sogno di essere radicato in cattedrale ma con le porte aperte alla città. Le porte della nostra cattedrale devono essere spalancate per far entrare le persone ma anche per far uscire noi, per andare in strada a mostrare qual è la luce che ci abita. Solo così possiamo essere profeti, altrimenti siamo solo funzionari, e questo oggi non basta”.
In che modo si può tradurre nel concreto?
“Bisogna esserci, abitare i luoghi e stare accanto alle persone. Ecco la prima novità: stare. Bisogna dedicare del tempo agli altri, accogliere le persone, parlarci. In una società dove il tempo è poco, decidere di dedicarlo agli altri è una grande novità”.
Il suo modo insolito di interpretare la missione pastorale le ha creato qualche problema dentro e fuori la Chiesa?
“All’interno della Chiesa un po’ di incomprensione c’è stata, ma è normale. Il mondo del calcio, in questi anni, mi ha insegnato che è giusto che la gente mi conosca per il sacerdote che sono e per i valori che mi abitano. Le scelte sacerdotali che ho fatto, e che a volte sono state un po’ impopolari, non le cambierei per nulla al mondo. Sono chiamato a stare in mezzo alla gente per come sono, senza fingere o indossare maschere. Le persone riconoscono la tua umanità e si rivolgono a te, questo è importantissimo non solo per la Chiesa ma per tutta la società civile”.
Si è dato una spiegazione alla crisi delle vocazioni di questi anni? I seminaristi negli ultimi 10 anni sono il 10% in meno.
“Ci sono tante componenti. La Chiesa ha vissuto una fase di crisi della sua credibilità, ma voglio allargare il problema. Lavorando nella scuola mi rendo conto che è difficile far capire ai ragazzi la loro vocazione. I ragazzi oggi faticano più che in passato a trovare la loro strada. Noi per primi dobbiamo essere esempi virtuosi di credibilità per i nostri ragazzi”.
Impossibile chiudere questa chiacchierata senza parlare di Entella…
“Sabato andrò in trasferta a Reggio Emilia con i tifosi, vedrò la partita insieme a loro nel settore ospiti. In questi giorni ho notato un bell’entusiasmo, una voglia di stare vicino alla squadra che si sta ritrovando dopo un periodo difficile, complicato dalle gare a porte chiuse per la pandemia. Dobbiamo custodire questo valore, questo amore per i colori biancocelesti. L’Entella è un altro di quei cuori pulsanti della città di cui parlavo prima, sta a noi continuare a farlo battere forte”.
Dalla redazione di ‘Piazza Levante’ un augurio di buon lavoro a Don Andrea per la nuova difficile ma stimolante missione.